NamNamBulu

Borders

2017 (Infacted Recordings)
synth-pop, future-pop

Sotto il moniker Namnambulu si cela la decennale (quanto rarefatta) collaborazione di Vasi Vallis, tastierista e compositore greco, e Henrik Iversen, cantante danese-norvegese. I due si incontrano in università in Svizzera nel 1988 e rapidamente mettono su un duo synth-pop, sull'onda del successo dei Depeche Mode e della darkwave. Scelgono il nome prendendo ispirazione dal conflitto in Vietnam ("Nam" era anche il nome di una rivista di reportage sul posto) e da una scritta dell'etichetta delle confezioni di bicchieri per birra di marca Cardinal ("BULU", ma il duo ne ignora il significato).
Tuttavia non pubblicano niente fino al 2002, quando rilasciano l'Ep "Blind?" e il mini "Sacrifice", seguiti l'anno dopo dal primo full-length vero e proprio, "Distances". Con queste uscite, Vallis e Iversen mostrano di essere rimasti fortemente influenzati da una particolare corrente musicale emanatasi dall'unione di synth-pop ed Ebm, e cioè il future-pop, capitanato da gruppi come VNV Nation, Covenant o Apoptygma Berzerk.

I Namnambulu, però, mantengono il legame con gli anni 80 e danno vita a una raccolta deliziosa e retrò di brani molto melodici, incentrati interamente sulle numerose e variopinte melodie di sintetizzatore in accompagnamento alla voce calda, limpida e profonda di Iversen. La scena critica un po' la relativa "vecchiaia" dei suoni ma applaude la ricchezza melodica del duo, che però rilascia qualche altro Ep e mini prima di sciogliersi all'improvviso nel 2005. I due proseguono per la propria strada, dando vita ad altri progetti (come i Frozen Plasma, molto simili ai Namnambulu, o i Reaper, che invece virano sul versante electro-ebm), fino a ricongiungersi sempre all'improvviso nel 2014 con un Ep intitolato "Borders". Il ritorno su full-length arriva tre anni dopo, con questo "Borders".

Se già il precedente "Distances" mostrava uno spirito legato agli anni 80 e 90, di cui cercava di catturarne l'essenza sonora, riproponendola con spirito di tributo, questo "Borders", un po' prevedibilmente a dire il vero, non si discosta molto nelle coordinate stilistiche. Il duo, però, opera un certosino lavoro negli arrangiamenti, che si differenziano nella forma di atmosfere più malinconiche e soffuse, a volte simili a quanto già fatto con i Frozen Plasma - più emotivi ma lievemente meno ricercati. 
Gli ingredienti di partenza sono sempre gli stessi: quegli intrecci di tastiere e sintetizzatori organizzati da Vallis, che coniugano eleganza e orecchiabilità dei suoni, il tutto condito con la voce mesta e profonda di Iversen. Qui, però, ci sono meno stratificazioni elettroniche, il disco piuttosto insiste sui ritornelli cantabili, non disdegnando di alternare tanto un relativo barocchismo (come in "Last Goodbye") quanto momenti un po' più minimali (come in "Save"). A lungo andare può mostrare un sapore di manierismo, ma è un lavoro curato alla perfezione, anche nei brani più "semplici" e immediati (tanto la sbarazzina "Damals", cantata in tedesco, quanto gli spunti dance/synth di "One Breath" tradiscono una ricercatezza sonora profonda in fase di composizione). La tendenza comunque è sempre quella della malinconia "catchy".

Fra tutti i brani, ci sentiamo di citare come più intriganti "Idol", "Return" e "Ghost", che idealmente tracciano un punto di incontro fra Kraftwerk, Depeche Mode e Clan Of Xymox, e poi la chiusura dark affidata a "Gone", sebbene un po' stereotipata.
In conclusione, "Borders" è un album umorale e notturno, che offre un campionario di melodie vasto e molto più orientato alla contemplazione che al dancefloor, ma senza rinunciare mai all'orecchiabilità. Si tratta, in ogni caso, di un lavoro di genere, che potrebbe tendenzialmente annoiare chi cerca maggiori contaminazioni o rivoluzioni.

30/03/2017

Tracklist

  1. Idol
  2. Mind
  3. Last Goodbye
  4. Save
  5. Damals
  6. One Breath
  7. Return
  8. Ghost
  9. Sorry
  10. Gone

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