Domanda per aspiranti follower di musica pop, astenersi perditempo: è possibile che una band, il cui ultimo album davvero riuscito è targato 1983, sia ancora in giro, oggi, come se niente fosse, a intasare il già moribondo mercato musicale con inutili dischi-fotocopia? Della serie i misteri della musica, ecco a voi gli Orchestral Manouvres In The Dark, detti più volgarmente Omd, amati e lodati da chi scrive per i primi quattro bellissimi album, e poi sprofondati lentamente nella mediocrità più banale (sempre per chi scrive, obviously), come nemmeno un corpo inghiottito dalle sabbie mobili.
È in giro la loro ultima fatica, "The Punishment Of Luxury", che non sfugge alla regola. E visto che di lussuria comunque si parla, cominciamo col dire che qui siamo piuttosto lontani dalla "Luxury Gap" degli Heaven 17, dove regnavano ben altre atmosfere sonore, e soprattutto canzoni. Perché nonostante buoni dati di vendita e ingressi trionfanti nella UK Chart, al netto di recensioni positive oltre Manica, da queste parti, più modestamente, si rimane convinti che, stringi stringi, quello che riesce meglio è proprio il titolo dell'album, ricavato da un dipinto su tela del pittore italiano Giovanni Segantini del 1891, noto come "La punizione della lussuria".
Le belle notizie praticamente finiscono qui, con buona pace di chi, da cotanto titolo, si aspettava persino un bell'album. E invece siamo alle solite, poca inventiva e tanto mestiere, da intendere come noia. Una porzione di disco dove la premiata ditta McCluskey/Humphreys si ricorda di essere (stata?) fondamentalmente una band synth-pop e tira fuori una manciata di brani di onesta fattura - nulla di rilevante o sconvolgente o di non ancora sentito, sia chiaro - che però hanno l'indiscutibile pregio di scivolare via senza fastidi, quasi piacevolmente, senza recriminazioni di sorta per i bei tempi che furono. Per esempio la title track, collocata giustamente in apertura, dal piglio grintoso e con percussivi ben pompati e attuali a ricamo di una buona synth-melody. O magari la ballata "As We Open So We Close", che ha l'indubbio merito di avere una struttura più complessa e articolata rispetto al classico Omd-style, così come lo pseudo-valzer di "What Have We Done", per l'occasione vocalizzato da Humpreys.
Poi, siccome per fare un album ci vogliono almeno nove/dieci pezzi, e magari qualcosina in più per una deluxe edition che non fa mai male e porta a casa qualche soldino extra, arriva il momento del travestimento. Si tirano fuori da qualche cassa baule le tute fluorescenti e al riparo nell'home studio pieno di specchi si gioca a fare i Kraftwerk. E vai di vocoder, oscillatori di frequenza, orchestrazioni, arpeggi e voci terze in narrativa (per la verità, queste ultime prese in prestito direttamente dagli Elektric Music di Bartos, tanto alla fine sempre lì si cade...), come la più sfegatata delle cover band.
E visto che il giochetto va avanti da diversi anni, o meglio da quando ci fu la reunion della line-up originale del 2010 con il deludente "History Of Modern", sovviene forte il dubbio che in realtà questa pantomima/ossequio nei confronti della robot-band teutonica, così smaccata da risultare persino fastidiosa in certi momenti, serva a celare solo una ormai cronica mancanza di idee e di nuovi percorsi musicali da intraprendere. Perché a Liverpool c'è scritto pure sui muri che McCluskey è nato e cresciuto coi Kraftwerk e se ha iniziato a fare musica lo deve a Hutter e soci, ma tutto questo non gli ha impedito a inizio carriera di licenziare album dove il marchio di fabbrica Omd era una garanzia e la band aveva un proprio suono, immediatamente riconoscibile.
E attenzione, qui il plagio non riguarda più il solo suono in tutte le sue sfaccettature, ma in un crescendo quasi wagneriano si estende pure ai titoli delle canzoni ("Isotype" e "Robot Man" su tutte), e non risparmia nemmeno lo stile dei videoclip, dove ovviamente sono presenti le biciclette e altre simbologie che riportano direttamente a Dusseldorf.
Appurato quindi che il sottoscritto e gli Omd hanno preso strade divergenti, essendo Natale non così lontano, con grande magnanimità per "The Punishment Of Luxury" è pronto un bel 5 tondo tondo che media tra metà lavoro appena sufficiente e l'altra metà davvero imbarazzante.
07/10/2017