Il merito, ovviamente, va in gran parte attribuito alla doppia performance della cantante romana: rabbiosa e sensuale nel graffiante power-pop di "Fatti bella per te" e altrettanto potente nella scivolosissima cover di "Un'emozione da poco", portata a casa con una interpretazione piena di vibrazioni rock, in grado di restituire nuova linfa al capolavoro che lanciò Anna Oxa proprio a Sanremo, nell'anno 1978, con tanto di illustre griffe Fossati-Guglielminetti. Insomma, una sorta di chiusura ideale del cerchio per la Turci, che a Sanremo, di fatto, è nata, con un quadriennio di fortunato abbonamento alla sezione Giovani (da "L'uomo di ieri" del 1986, firmata Mario Castelnuovo, alla vittoria nel 1989 con "Bambini").
Questo nuovo album giunge a coronamento di un percorso di maturazione di Paola, che si è definitivamente lasciata alle spalle i traumi e le cicatrici dell'incidente stradale del 1993, per ritrovare una nuova consapevolezza di sé, come ben espresso dal testo di "Fatti bella per te" in cui, ispirandosi al suo monologo teatrale "Mi amerò lo stesso", Giulia Ananìa disegna un ritratto dolente e fiero dell'attuale stato d'animo dell'artista romana ("Qualcosa dentro ti si è rotto e sei più bella"), suggellato poi simbolicamente dalla cassa in quattro, pulsante come un nuovo cuore che riparte, di "La prima volta al mondo".
Energia e grinta non mancano nelle undici tracce, realizzate dalla Turci in co-scrittura con la stessa Ananìa, oltre che con Marta Venturini, Fabio Ilacqua, Niccolò Agliardi, Enzo Avitabile, Fink e Luca Chiaravalli, che siede anche alla console. Si spazia così dalla dinamica di una relazione piena di aspettative e mai realmente vissuta ("Ci siamo fatti tanti sogni") al flashback di "La vita che ho deciso" (con un frame che ritrae la giovane Paola avvinghiata alla sua chitarra, su una spiaggia di Porto Ercole, a dare il la al suo sogno artistico), dalla dolcezza sommessa della ballata in compagnia con Enzo Avitabile che dà il titolo al disco ("Nel mio secondo cuore") alle fascinazioni black di "Sublime", frutto dell'incontro con Fink (alias Fin Greenall, musicista e dj britannico), per approdare alla consapevolezza rasserenata di "Tenerti la mano è la mia rivoluzione", che restituisce una sensazione di leggerezza, non scalfita nemmeno dal velo di malinconia della successiva "La fine dell'estate".
Non tutto fila liscio, a volte la produzione tende a smussare più che ad esaltare i picchi emotivi e il suono - saturo di chitarroni e strati elettronici - appare un po' troppo gonfio per le corde di una folksinger nell'animo come la Turci (ascoltare, ad esempio, le bellissime versioni di "Saigon", "Ti amerò lo stesso" e altri brani in versione unplugged del 2013 per credere).
È bello comunque ritrovare la vocalità calda e struggente di Paola Turci al pieno della sua energia, finalmente in pace con la parte più inquieta di sé, libera da tutti i fantasmi e le fobie che l'hanno accompagnata in questi anni.
E a sublimare questa liberazione giunge, dulcis in fundo, la vera perla del disco: un duetto con Marco Giallini sulle note di "Ma dimme te", in cui la Turci - alla prima prova in romanesco della carriera - svela potenzialità molto promettenti per un futuro percorso di memorie capitoline ritrovate, sulle orme nobili di Anna Magnani e Gabriella Ferri.
Forse l'imminente tour potrà donare ulteriore vigore (e un po' di pepe in più) al "Secondo cuore" di Paola Turci. Forse in futuro si potrà anche osare di più sul piano cantautorale. Ma in una scena italiana ormai inflazionata da urlatrici ordinarie e gorgheggiatrici al cloroformio, lasciateci riassaporare quantomeno il piacere di ritrovare una voce vera: viscerale, rabbiosa, struggente. Di quelle che ormai i discografici in overdose da talent non cercano più (smentiti, stavolta, perfino dalle classifiche).
(09/04/2017)