Il viaggio sonoro intrapreso da Giulio Aldinucci con “Borders And Ruins” non poteva risolversi in un progetto immediatamente conchiuso e isolato: il materiale confluito nel primo album a marchio Karlrecords equivaleva allo scoperchiamento di un vaso di Pandora, una via possibile tra gli echi sacri della polifonia rinascimentale e le dolenti waste lands dell’ambient/drone contemporanea.
Forse inconsciamente, il titolo “Disappearing In A Mirror” rappresenta un richiamo ancor più diretto all’espressionismo di Lawrence English e del suo “Wilderness Of Mirrors” – sebbene in parte prenda le distanze dalle sue opprimenti saturazioni – e di fatto ci proietta ancora una volta in un orizzonte immaginifico che sembra travalicare i confini del semplice supporto audio.
Dunque idealmente complementare, per molti versi simile al predecessore ma decisamente più lirico e intimista, anziché incentrato su una narrazione sonora “epica” e perturbante. Nondimeno, la sensibilità di Aldinucci riesce ad abbracciare e conciliare le perfette architetture del maestro cinquecentesco Pierluigi da Palestrina con l’emotività avvolgente e universale di Arvo Pärt e John Tavener: “Jammed Symbols” e “Aphasic Semiotics” sono tra le più intense e ipertrofiche manifestazioni della lucidità compositiva sviluppata da Aldinucci, capace di infondere linfa vitale a un coro che inonda lo spazio acustico di armonie senza tempo.
Il tema dell’identità personale e collettiva, del conflitto interno ed esterno all’individuo trovano forme anche più segnatamente introspettive: “Notturno Toscano”, basato su fasci di sintetizzatori, è insieme paesaggio e autoritratto dell’anima, sottilmente inquieto e dettagliato con pennello fine, sineddoche di un’incertezza che ora come ora aleggia in ogni parte del mondo civilizzato.
Il dittico finale di “The Burning Alphabet” e “Mute Serenade” sembra invece rispecchiare la luminosa conclusione del precedente album, assumendo però una tonalità opaca e se possibile ulteriormente eterea, come se da ultimo le voci risuscitate dalle fitte trame della storia tornassero a confondersi entro una campana di vetro, lasciando filtrare da ultimo soltanto le frequenze più acute e celestiali.
Con un’impronta sempre più riconoscibile e di rilievo internazionale, Giulio Aldinucci corona degnamente l’approdo sull’etichetta berlinese, possibile preludio a un aumento di notorietà e apprezzamento tra gli appassionati del settore, bisognoso di nuove figure di riferimento che conducano a un ricambio generazionale nel sempre più nutrito panorama della composizione d’atmosfera. Rende orgogliosi che tra queste, plausibilmente, potremo annoverare anche il suddetto.
21/09/2018