Quando un’emozione ti attanaglia mettendo in luce debolezze e fragilità, sei quasi sempre di fronte a un bivio: puoi tenere dentro, il dolore, o esternarlo fino a renderlo estraneo; poterlo poi condividere attraverso la musica è uno dei privilegi di un artista. Ed è quello che avviene in “Make Way For Love”, nuovo album del neozelandese Marlon Williams.
Conclusa la storia d’amore con la collega
Aldous Harding, il giovane cantautore mette a servizio della sua arte narrativa storie personali e dolorose. I personaggi delle canzoni non sono più foto-
frame di pagine di cronaca catturate attraverso uno sguardo fugace ai notiziari televisivi o tra i fiumi d’inchiostro dei giornali.
Questa nuova prospettiva creativa produce effetti notevoli sull’
humus del nuovo progetto discografico, non tanto sulla qualità della scrittura, che resta sempre piacevolmente nella media ma mai particolarmente innovativa, quanto nell’atmosfera più
noir. Da eroe del nuovo country, Marlon si trasforma in novello
crooner stile primo
Scott Walker (”Come To Me”), sfruttando al meglio le già note qualità vocali e interpretative: qui al loro vertice nella sofferta “Can I Call You”, una ballata che si fa apprezzare anche per il suono greve e spoglio. Ma è solo un’anticipazione dell’intenso
outing emotivo dell’autore, peraltro costretto nei primi giorni di registrazione a uno
stop forzato a causa di un forte crollo fisico e psicologico.
Spetta alla riflessiva e intimista “Love Is A Terrible Thing” mettere in musica tutto il dolore e la disperazione dell'autore: piano e poche note di synth accompagnano la voce tremula di Marlon per una canzone che sembra uscire dai primi album di
Antony & The Johnsons o da un
demo di
John Grant.
Il rischio più evidente è che “Make Way For Love” si trasformasse in un piagnucoloso ritratto dei sentimenti. Una deriva che Marlon evita con abilità, prima accarezzando il rock’n’soul alla Roy Orbison in “What’s Chasing You”, poi sfoderando una vivace
pop song anni 60 inzuppata di synth vintage e chitarre petulanti (“Party Boy”).
Il produttore Noah Georgeson (
Joanna Newsom,
Cate Le Bon,
Devendra Banhart) emancipa sapientemente quel lieve tocco barocco che aleggiava nell’esordio, ed è quindi naturale pensare a
Richard Hawley quando scorrono le note avvolgenti di “Beautiful Dress” o quelle più confidenziali della malinconica “I Didn’t Make A Plan”.
Nella comunque austera trasposizione in musica del comune senso di solitudine che fa seguito all’abbandono, il cantautore neozelandese usa le stesse chine di
Nick Cave ed
Elvis Presley lasciando libera una giusta dose di emozioni (“The Fire Of Love”) e anche un briciolo di cinismo (“I Know A Jeweller”), che diventa ancor più pungente quando in “Nobody Gets What They Want Alone” duetta con l’ex-amata Aldous Harding (in un dialogo catturato attraverso un colloquio telefonico) lasciandosi trascinare da un clima spensierato che ha il profumo di una giornata di sole prima della tempesta.
“Make Way For Love” è il primo deciso passo di Marlon Williams verso un’autonomia stilistica più pregnante, un disco che sembra essere sempre sull’orlo del precipizio per poi fare un passo nella giusta direzione, ed è in questa frase: “What am I going to do when I’ve seen that you’ve been crying and you don’t want no help from me?” ("Che cosa dovevo fare quando ho visto che hai pianto e non hai voluto il mio aiuto?") che forse è racchiuso il futuro del musicista neozelandese, ora costretto a prendersi le responsabilità del proprio destino invece di adagiarsi comodamente sui cliché del suo interessante esordio. Benvenuto nel mondo reale, Marlon.