Sheffield, la città delle acciaierie, è forse un luogo d'elezione, il perfetto scenario Dickens-iano in cui ambientare una storia di degrado, di assassini, di prostitute, di giocatori d'azzardo, come quella di "Standing At The Sky's Edge".
Il rischio di suonare come un "vecchietto arrabbiato" esisteva (e un po' si lambisce nella tirata alla Who di "Down In The Woods", di gran lunga il pezzo più debole), ed è indubbio che la musica del disco sia rock "per adulti", come potrebbe essere quella di Weller ora, o di Noel Gallagher tra qualche anno (se gli va bene). Così, wah-wah e cori di sottofondo per il gospel psichedelico di "She Brings The Sunlight", foschie cosmiche avvolgono di filamenti intangibili "The Wood Colliers Grave".
Eppure, come il titolo pare evocare le immagini di una civiltà sull'orlo del baratro, anche Hawley rimane a distanza di sicurezza, flirtando un po' con le nuove leve dello psych-rock nella fuligginosamente ottocentesca title track, dirigendosi fino al tredicesimo piano in "Time Will Bring You Winter" e, finalmente, mostrando un po' la mercanzia nel britpop vero e proprio della bella e convinta "Leave Your Body Behind You".
Appare un po' di crooning vero e proprio, anche, per non scontentare nessuno, nella ballata psichedelica, da musical, di "Before" e nel "lento" di "Don't Stare At The Sun". Sonnecchiante Velvet-ismo in "Seek It" e pare un incubo, questo volo in planata sui comignoli di Sheffield. Sound tirato a lucido, magari per andare a conquistare quel Mercury Prize che Alex Turner ammise di avergli "rubato".
Un disco però "dispensabile" senza troppi patemi.
(15/05/2012)