Perché bisogna ammetterlo, anche assistito da un quartetto di gran mestiere e dall'esperta mano produttiva del fidatissimo Dave Sardy, Noel Gallagher non è Paul Weller e non è Pete Townshend, né, tantomeno, Steve Winwood o Peter Green (figuriamoci!) ma neanche, a volare qualche centimetro più bassi, John Squire o Lee Mavers. Un brillante artigiano, fresco di bottega e pieno di spirito, questo sì, ma se quindici anni fa (sigh... quindici anni fa!) poteva essere "noelrock" e nulla avremmo avuto da obiettare, con la nostra copia del Melody Maker d'importazione arrotolata sotto l'ascella, oggi che il Melody Maker, ahinoi, più non esiste, rimane soprattutto la noia e un mestiere zoppicante che ricalca fedelmente se stesso, fino alla vertigine esponenziale di una maniera a tratti intollerabile ("AKA... Broken Arrow" è una palese autoriscrittura).
Canzoni come "AKA... What A Life" o "If I Had A Gun" parlano chiaro: suono lindo e pinto, una solerte orchestra che drappeggia con addobbi e fasciature seriose le architetture spesso malcerte delle canzoni (incluso effetto spaghetti western in "The Death Of You And Me" e nella discreta "Soldier Boys And Jesus Freaks") e un plettro intinto troppo spesso nel calamaio del patetismo più diluito. Un giovane puledro di buona scuderia come Miles Kane oggi può fare le stesse cose, ma molto meglio. Per il resto il miglior Noel Gallagher continua a godersi il suo elisir di lunga vita nell'arcipelago remoto di "The Masterplan" e da lì in poi, a pensarci, solo sporadici avvistamenti di un'ispirazione che forse in "Dig Out Your Soul" aveva iniziato, per quanto timidamente, a muovere di nuovo le ali. E da quel disco tutto forse dovrebbe ricominciare (mentre la curiosità per l'annunciato album kraut-floydiano con i Future Sound Of London, l'anno prossimo, è pari soltanto al terrore).
Dunque, tema del giorno: Oasis, vi prego, per noi e soprattutto per voi, tornate al più presto insieme...
(02/11/2011)