Nibiru è il pianeta che non esiste, pianeta maledetto il cui ingresso nel sistema solare provocherebbe fenomeni disastrosi, causa delle periodiche estinzioni di massa. Allo stesso tempo - secondo le sballate teorie di Sitchin supportate da antichi testi sumerici - sarebbe anche il pianeta abitato dai nostri antichi progenitori. Nibiru sarebbe quindi un pianeta portatore di vita e morte, due elementi inscindibili ma opposti tra loro, la cui dicotomia attira l’attenzione di gran parte del mondo del metal estremo.
I piemontesi Nibiru sono una formazione a tre di grande interesse, attiva dal 2013, che merita l’ascolto anche da parte di chi non si trova totalmente dentro i rigidi confini del mondo metal. La loro musica, incentrata sulla figura carismatica e mente creativa Ardat (voce e chitarra), trova nell’aspetto rituale e sciamanico il punto di riferimento principale. In effetti le coordinate dalle quali partire per comprendere davvero un ascolto così estremo non nascono esattamente dal metal, luogo dove i piemontesi trovano più frequentemente cittadinanza. E’ probabile che i loro caotici rituali nascano dalle ceneri della musica cosmica più psichedelica e dilatata degli Ash Ra Tempel per continuare sino al canto da sciamano del guru degli Swans, Michael Gira, sino ai viaggi lisergici più intransigenti dei Bardo Pond.
Tutto appare come un caos non programmato, improvvisato ma coerente nella capacità di fare da colonna sonora di un viaggio in menti alterate, sorta di messe nere che venerano oscuri e ignoti astri celesti. Le urla di Ardat si inseriscono su una texture che spesso rimane fissa su una sola nota di chitarra ripetuta su cui batteria e basso entrano ed escono a piacimento, con saltuari accenni di synth e improvvisi assoli iper-psichedelici.
“Netrayoni” è la meritoria ristampa del loro secondo album del 2014, che fin dalla cover rende chiaro quanto il vero obiettivo dei Nibiru sia lontanissimo dal metal classico, ma sia quello di trascendere una visione corporea della musica per avvicinarsi alle filosofie orientali, a una ricerca dentro il proprio Io, in un viaggio che provochi una sdoppiamento tra mente e corpo.
I colossali diciassette minuti di “Kshanika Mukta” o i sedici di “Kwaw-loon” sono il manifesto più integralista e coerente del progetto Nibiru, così come l’energia pura che si evolve minuto dopo minuto del trip senza fine di “Apsara”. Tutte le tracce sono esempi di avventurose esplorazioni nella psichedelia più dura, caratteristica rintracciabile anche nei brani più brevi.
Sarebbe tutto da segnalare, dalla fantastica cavalcata tra metal e post-rock di “Qaa-om Sapah” (tredici minuti), al lento incedere di ripetizioni di chitarra e synth di “Sekhmet”, all'avanguardia drone di "Carma Geta", fino a quel sottile filo che unisce esoterismo, magia nera, cultura orientale e sincero senso di alterità rispetto alla scena rock e metal contemporanea.
22/09/2018