Due anni fa Roosevelt – moniker di Marius Lauber, dj, produttore e cantante di Colonia - ci consegnò il disco dell’estate. Portava il suo nome e mischiava ritmi house, sintetizzatori languidi e caldi, ma anche una manciata di ritornelli carichi di nostalgia. Una miscela perfetta per le ultime notti di vacanza, da mandar giù danzando, o guardando il ghiaccio dei cocktail colorati sciogliersi poco lontano dalle luci di un dancefloor.
E’ proprio dalla malinconia che Marius è voluto partire per questo suo sophomore, finendo per forza di cose a concentrarsi più sulla scrittura dei testi e delle parti cantate che sulle sezioni ballabili che definivano le varie hit di “Roosevelt”. Anche la scelta del produttore Chris Coady, che Roosevelt ha raggiunto a Los Angeles dopo aver scritto le canzoni nella sua Colonia, sembra mirata ad accentuare la componente nostalgica delle canzoni.
Infatti, recentemente quest’ultimo ha messo mano sui lavori di Beach House e Future Islands, due formazioni estremamente a proprio agio con questo genere di sentimenti. Vero e proprio manifesto dell’operazione è il singolo che ha preceduto il disco, la sabbiosa “Forgive”, condivisa con Washed Out – uno che ha fatto della capacità di evocare ricordi estivi sbiaditi dal sole la cifra stilistica della sua musica. Gran bella canzone, come diverse altre di questa lunga compilation: dodici pezzi per cinquanta minuti tondi. “Under The Sun” è tutta un fiorire di synth che si espandono nell’aria e il suo ritornello una delle cose più appiccicose sentite quest’anno. “Illusion” alza ritmo dei battiti e lascia intravedere colori più nitidi.
Anche “Shadows” ha un bell’andamento, così deciso da far dimenticare molto presto quanto le sue chitarrine funky siano rubate a pie' pari da “Random Access Memories”. Uno dei momenti più languidi del disco è certamente “Yr Love”, deliziosamente giocata su sintetizzatori scioglievoli e in qualche modo debitrice delle dolcezze dei Coldplay di una decina d'anni fa o poco più.
Il sound di “Young Romance” non brilla certo in originalità, ma la produzione iridescente e precisa di Coady lo fa suonare avvolgente e accattivante; quando nella opening track “Take Me Back” i sintetizzatori dell’arsenale a disposizione di Roosevelt vengono accesi uno ad uno, come fossero i motori di un’auto prima di una gara o di un aereo prima del decollo, c’è da rimanere ipnotizzati.
Il disco soffre però la sua grande uniformità. Probabilmente, Lauber non è ancora totalmente a suo agio nello scrivere canzoni vere e proprie – in “Roosevelt” le parti cantate non erano così preponderanti – e così finisce per ripetere quasi sempre la stessa struttura, tanto da farci pensare che una decisa sforbiciata sarebbe stata provvidenziale. Si prova infatti sollievo quando “Getaway”, che del disco è la chiusura, sfoggia toni più notturni – avesse girato “Drive” quest’anno invece che nel 2011, Nicolas Winding Refn se ne sarebbe certamente appropriato – mutando di colpo le atmosfere di un lavoro omogeneo anche in termini di suono.
03/10/2018