La notte è fatta per dormire. Lo dicevano le nonne, lo ripetevano le mamme, i medici poi… E si vocifera che le ore di sonno perse non si recuperino, anche se provi la clamorosa tirata di 12 ore in compagnia dell’amato/odiato cuscino. Non serve, non funziona, il cervello ne risente, e con esso la memoria. L’insonnia porta a straparlare, a relazionarsi troppo con il proprio inconscio, con i sogni che non si avverano e quindi si trasformano in incubi, lo struggimento fa capolino, la tristezza insorge, la pazzia è l’ultimo passaggio, fatale.
Ma la voce della luna è tentatrice, come l’ultima sirena di Ulisse, ti galvanizza, ti fa più bello, coraggioso, eroico, ti consente la costruzione di mondi inediti, la sua tintarella ti rende più ispirato, forse invincibile, apre porte prima invisibili, probabilmente illusorie, perché la mattina è sempre lì dietro ad attenderti, a scoprire i
bluff. Ma di notte c’è un mondo a parte, dove gli elementi assumono connotati stravaganti,
freak, avvincenti, pericolosi, dove risiedono i segreti della vita reale, solitamente abbagliata dalla luce del sole. Tutto diventa più chiaro nell’oscurità notturna.
E voi, una passeggiata al buio, concettuale o reale, ve la siete mai fatta? Antonio Moresco sì e a quel punto è stato trascinato dai canti e nel caos e ha visto mutare, con progressiva indolenza, la sua città di adozione, Milano, il controverso capoluogo lombardo, la capitale dell’Italia che lavora e che rende, il centro urbano da sempre sospettato di freddezza, di stravolgimenti meteorologici tendenti al disastro, di troppa nebbia. Milano, la città con la più elevata qualità di vita dello Stivale, isole comprese, Milano specchio delle speranze, delle aspettative, dei trionfi e dei fallimenti, Milano un trattato di antropologia socio-culturale.
I mostri innamorati sul metrò, e un po’ ovunque, i loro tragitti, i loro delitti, le pazzie scambiate per normalità, usi e costumi che cambiano, di settimana in settimana, e poi mesi, anni e decenni. Moresco e la sua birra che inciampano, che si imbattono, che constatano, che si spaventano, che fuggono, che collaborano, che provano a capire, che non ci riescono. Uno spettacolo teatrale ("L'uomo che cammina") che diventa un disco, uno scritto, recitato con voce dolce e insicura dall’autore che sembra Geppetto, che ti avvisa ma poi è sempre troppo tardi, fino al prossimo vicolo, svincolo, tranello. Lame, sputi, aggressioni, disperazioni, gonne che si accorciano, ventri che si scoprono, manifesti fissi e cartelloni che parlano e ti osservano, venditori di fiori e di fumo, migrazioni costanti.
Milano e Moresco. Un racconto docile, malfermo, che invece acquista ritmo, che diventa frenetico (e politico), anche grazie alla sua sonorizzazione, progettata ed eseguita ovviamente da
Fabio Zuffanti, che non dorme mai: un
ambient cinematico, tetro, sibilante, come un sicario che ti attendi ma non sai dove si trovi. C’è la quiete spettrale
Gone To Earth, come pure gli agguati ai Guerrieri seguiti passo passo da Barry De Vorzon, ticchettii, rumori, bassi che sembrano tacchi in avvicinamento, note che si aggrovigliano fino a somigliare a metronomi che fanno il conto alla rovescia. Fino al prossimo lampione. Si è fatto giorno, andate a dormire.