Collider: non potevano scegliersi nome migliore, questi quattro ragazzi di Copenhagen. Perché la loro musica fa pensare proprio alla collisione, all’urto insistito e volutamente cercato tra stili e generi diversi. Immergersi tra le onde di “-><-” (loro primo Lp) significa abbandonarsi a un suono densissimo e sempre sull’orlo del caos, ma di un caos che nasconde infiniti rivoli di creatività e bellezza. Nel continuo affastellarsi di shoegaze, noise & jangle-pop, math-rock, folk, progressive e psichedelia, Johan Polder (basso, synth, glockenspiel, xylofono), Marie Nyhus Janssen (voce, sax, flauto, synth), Mikkel Trøjborg Fink (batteria, chitarra, voce, percussioni, synthpad) e Troels Damgaard-Christensen (voce, chitarre, chitarra a 12 corde, batteria, piano) riescono a trovare la quadra di un sound frenetico ed elettrizzante, multisfaccettato e finanche visionario, ma sempre controllato, anche quando la band sembra suonare più canzoni diverse all’interno della stessa canzone.
Si parte con l’attacco deciso e le chitarre cristalline di “Daisy”, un brano che ci trascina subito in un vortice di distorsioni, scambi matematici, strappi carichi di dolcezza, ghirigori di flauto, torride piroette di rumore e scomposizioni ad effetto. Potrebbe essere il loro brano-manifesto. E si procede quindi con “Just Start It”, tra impennate hard-rock, oasi pastorali, continue stratificazioni di voci (a generare un ulteriore senso di dispersione e smarrimento nell’ascoltatore) e, ancora, nella successiva “Inept”, assalti e ripiegamenti, lampi di bombastico funk, allucinazioni sci-fi e coda in downtempo, il tutto come se ci trovassimo dinanzi a un omaggio, carico di bruciante passione, ai Mew. Il momento più emozionante dell’opera si manifesta all’interno di “Oblivion”, esattamente all’altezza del primo minuto e mezzo, quando la musica galleggia a mezz’aria, lì trasportata da chitarre liquide, e la voce di Marie Nyhus Janssen si trasforma in un’eco di meraviglie lontanissime, preludio a un altro giro di giostra, ma uno dei migliori.
Quando attaccano con “Glockster”, pare di ascoltare un’outtake di “Isn't Anything” dei My Bloody Valentine, ma tutto il brano può essere letto come una variazione impazzita del sound della band di Kevin Shields, qui trasfigurato in una carrellata di power-pop suonato con foga post-hardcore, vampe noise, implosioni geometriche e decelerazioni oniriche con le chitarre a mimare il suono di un collasso chimico.
E se, lungo le trame tambureggianti di “Sniper”, la voce della Janssen copre un arco espressivo che va dal bisbiglio sensuale all’urlo delle “riot grrrl”, in “DG”, scoperchiata a suon di bombardamenti insistiti, la band si permette anche il lusso di un intermezzo brutal-prog in acido.
L’unico brano a scendere sotto i tre minuti, “Axis” è, guarda caso, anche quello che possiede un’anima pop più scoperta e una struttura relativamente più lineare, nonostante si presenti con un’intro industrial che lascia presagire ben altri sviluppi. In coda, “Bruno” chiude il cerchio tornando alle atmosfere svagate di “Daisy”.
L’ultima nota va alla copertina del disco, così efficace nel restituire la “policroma complessità” del sound di una band che è sicuramente tra le rivelazioni dell’anno.
20/11/2019