I fru fru sono i wafer, l'unico biscotto che mi sento di raccomandare in quanto privo di uova. Ma è anche un termine che indica la leggerezza con la quale mi piacerebbe affrontare la vita. Sarà un caso ma la musica che ascoltavo da bambino veniva detta musica leggera ed evidentemente questa cosa mi è rimasta dentro.
(Edda)
Ci eravamo lasciati con
un disco che formalmente rappresentava l'apice dell'artista ex-leader dei Ritmo Tribale: armonie più elaborate e un gusto per la canzone beat venivano favorite rispetto alle sonorità scarne con cui avevamo preso confidenza in lavori come "
Semper biot" e "
Stavolta come mi ammazzerai?". Nemmeno due anni dopo Stefano "
Edda" Rampoldi, con gli arrangiamenti e la direzione artistica di Luca Bossi, e bassista della band che lo segue live, se ne esce con un album il cui nome trasmette spensieratezza e frivolezza - meglio ancora - che tanto ritrova Edda nelle canzoni di musica leggera dell'Italia che già godeva i benefici del miracolo economico.
"Fru fru" condivide buona parte della linea melodica del disco precedente, qui le fa totalmente sue premendo l'acceleratore sulle chitarre e le tastiere. "E se" è il primo brano, un vortice dance - accompagnato dai giri di chitarra e tastiere - che subito ti prende con un ritornello killer ("Guarda come sono fatta/ Guarda come son vestita/ A me non me lo devi dire/ Fammi godere con le dita/ Guarda come sono fatta/ Guarda come son vestita/ E stavo con te"). Il testo trasmette sin da subito l'impudicizia, tipica dei personaggi a cui dà voce (o che vive?) Edda (e da mattatore assoluto).
Non è da meno "The soldati": altro ritornello killer, altre zaffate di synth. Gli ingredienti giusti per una seconda traccia tutta da ballare al grido di "Sono stata ad aspettare/ Sono bella come un cane/ Ti ho afferrato/ E ti ho baciato". Più dalle venature disco rispetto alla precedente, ma anche questa gode di un arrangiamento esemplare, perché ricordabile e complessa insieme.
"Italia gay" suona - contagiosa - come una provocazione smaliziata contro un paese che si guarda l'ombelico; che ha sempre approfittato dello
status di nazione modello di cui gode per via della sua storia e cultura. Ma è un inno
pride che vale (anche) come auspicio perché possa riprendersi dalle barbarie che ha fatto razzie della nostra società.
Ma l'amore no
L'amore mio non può
Distruggi con il sesso
Anche l'amore
"Edda" è stata incisa nel giorno della scomparsa della madre (a cui è dedicato il brano). La madre che prestò "involontariamente" il nome d'arte a Stefano Rampoldi: il figlio che con questa placida
ballad accompagna la genitrice nel viaggio che la vedrà reincarnata in un corpo giovane. Karma e reincarnazione come prevede il credo dell'Hare Krishna. Il testo tocca il vertice della spiritualità, qui raggiunta con estrema grazia e in punta di piedi dall'artista meneghino.
A dare il cambio - alla canzone e alla ritmica - è la sfrenata e mistica "Vela bianca", dove a far da padrona è la chitarra acustica sul ritornello (pure qui ovviamente romantico). "Vanità" è un colpo di musica beat che batte incessantemente in soli tre minuti scarsi. Una perla, accesa qua e là dai
riff di chitarra, che brilla per ritmica, interpretazione - dal trasporto quasi paranormale per quant'è commovente - e dalle liriche sempre più travolgenti e dal contenuto esaltante del tipo: "Preferirei di saperti di un'altra/ Che giri i musei/ Che lecchi la fica e bevi l'aranciata (che sia l'autocitazione alla copertina di "Graziosa utopia"?,
ndr)/ Piuttosto che averti/ E di vederti soffrire". Se non altro è tra gli episodi più felici di questo disco coraggiosissimo e sfacciato. Una hit fatta e finita per essere inserita nelle playlist personali.
San Francesco sta parlando agli animali
Sante le sue mani
Sante le sue mani
Sant'Agostino invece mangia gli animali
Piango con le mani
Piango con le mani
"Samsara" si presenta come una mossa sinuosa del disco che si ispira ai suoni provenienti dall'India. Il brano è una seduta spirituale vera e propria e delle più virtuose; e per giunta impegnata essendo un'invettiva nei confronti di Sant'Agostino, rispetto a San Francesco (presunto vegetariano e amico degli animali). E si specchia con un umorismo sbarazzino che conquista facendo sorridere ("Sesto piano/ Sto volando senza ali/ Ottavo piano/ Un piano in più dei sette nani"). Si va verso la conclusione con "Abat-jour", qui Edda è mosso dall'attitudine più terrena perché bramoso di raggiungere la carne (nel senso più alto e umano del termine).
A "Ovidio e Orazio" non gliele manda a dire: perché colpevoli di averlo tenuto incatenato - con le versioni di latino da tradurre - negli anni di liceo. E di aver tenuto a bada, suo malgrado, le prime pulsioni sessuali. Il brano di chiusura è una magniloquente cavalcata synth-pop che contiene delle dense armonie e tra le più elaborate dell'album.
"Fru fru" vive per tutta la durata di intuizioni mirabili: la chitarra pizzicata come un sitar in "Samsara", le liriche che emanano sudore, sentimento e ormoni galoppanti ("E se" e "Ovidio e Orazio" i portabandiera di questa scuola di pensiero). Et cetera et cetera. Agli
aficionados della vena più alt-rock e punk non farà subito (o forse per niente) breccia nel cuore, si accorgeranno, e si spera, di un disco che crescerà con più e più ascolti. Sapranno cogliere le intuizioni e gli arrangiamenti - di un magistrale e attento Luca Bossi - che mantengono le fila di un prodotto tra il pop (furbo e capace) e la disco. Ogni brano è un potenziale singolo, va riconosciuto.
La metamorfosi di Edda lo ha spinto a registrare dischi dai generi più disparati, portandolo in più direzioni e con una costanza qualitativa davvero invidiabile che lo vede tra i protagonisti rispettabili di questa scena musicale. L'Edda-pensiero è frequente nella sua produzione che funziona per sincerità e per
divertissement in quello che pensa e scrive.
"Fru fru", assieme al crudo "Semper biot" e alla lucentezza di "Graziosa Utopia", inquadra musica e testa di Edda al suo meglio. E forse Stefano Rampoldi si è già reincarnato nel corpo che più gli si addice.
12/04/2019