Fino a qualche anno fa da più parti l’avrebbero classificato come new age, oppure archiviato frettolosamente nel sottogruppo “colonne sonore per film immaginari”. Il nuovo side project di Hugo Race è invece qualcosa di più, destando impressione per la capacità di rivelare un lato inedito del musicista australiano che nel corso della propria carriera ha saputo spaziare dai Birthday Party ai Dirtmusic, meravigliando senza sosta. Questa prima emissione come Gemini 4 mostra un sapiente mix di suoni cosmici e simil-lounge, un lavoro di elettronica vintage interamente strumentale attraverso il quale Race punta a sdoganarsi presso ascoltatori poco avvezzi al suo nome.
Mondi sonori “altri”, nuove avventurose soluzioni ricercate con la complicità di Michelangelo Russo, Julitha Ryan e Andrew “Idge” Hehir. Decisamente seventies sin dall’immagine scelta per la copertina, il progetto si muove scartando ora verso loop in equilibrio fra kraut e dancefloor (“Aspartame”), ora lasciando spazio a chitarre vorticose (“Blueboy”). Ma è il lato kosmische quello a essere più frequentato, attraverso gli esperimenti roboticamente motorik molto Kraftwerk di “Dream Machine”, il gusto per la ripetizione manifestato in “Pop Nostromo”, e i trionfi space di “Ephemera”, “Afterbirth” e ancor più di “Mercury Rising”, interstellare sin dal titolo, un mood inquietante tanto quanto l’idea di trovarsi a bordo di una navicella smarrita per lo spazio.
A tratti il gusto per l’improvvisazione e per la “modalità ambient” prende un po’ la mano ai quattro navigatori celesti, generando episodi eccessivamente diluiti, come accade negli oltre nove minuti di “Twins”. Idealmente posizionabile da qualche parte fra Brian Eno e Jean Michel Jarre, il viaggio esplorativo dai forti tratti cosmici di Gemini 4 funziona: drone electro landscapes per scrutare il cielo, ed esserne lisergicamente sopraffatti.
14/02/2019