La fusione in chiave jazz di hip-hop, elettronica, musica brasiliana, funk, minimalismo, soul sbilenco e perfino progressive rock è ormai ben oltre il confine del deja-vu: Ben Lamar Gay sposta oltre l’orologio temporale della propria musica, anticipando il policromo mondo multistilistico del futuro.
“Open Arms To Open Us” è un album che non paga alcun obbligo nei confronti dei numi tutelari che hanno ispirato l’opera. Si potrebbero annoverare sia Prince che Louis Armstrong, ma anche Robert Wyatt, Gilberto Gil, Don Cherry, Steve Reich e molti altri. Le tracce residue dell’ascendente creativo sono rese nulle e impercettibili grazie a un eclettismo ritmico e a una struttura compositiva che devono più all’euforico spirito libero della musica brasiliana che al rigido schematismo dell’avanguardia americana ed europea.
Ed è cosi che l’album scorre impetuoso con continui cambi di rotta, depistaggi e suggestioni aliene, le quali rendono l’ascolto un’esperienza unica e irripetibile. I sedici tasselli svelano timbri e colori inediti, eppure appartenenti a un unico corpo creativo, che è il marchio inconfondibile della musica di Ben Lamar Gay.
“Open Arms To Open Us” è sì opera colta, ma per essere pienamente assaporata bisogna lasciarsi andare, lasciarsi trasportare dal flusso di groove hip-hop apparentemente innocui (“Dress Me In New Love”) o maliziosamente seducenti (“Touch.Don't Scroll”).
L’inventiva del musicista di Chicago dona una luce sfolgorante a episodi di future-fusion con ritmi kraut che sposano lo spoken word e un brio soul-jazz (“Bang Melodically Bang”), lasciando decantare cupe atmosfere tribali (“Oh Great Be The Lake”), ingegnosi funky travestiti da suoni prog e malizie alla Frank Zappa (“Sometimes I Forget How Summer Looks On You”).
Nulla è come sembra, nel mondo di Ben Lamar Gay: l’apparente spensieratezza di “We Gon Wine” e la romantica spiritualità etno-soul di “Nyuzura” sono solo una piccola parte di un puzzle sonoro le cui ambizioni sono quelle di voler rappresentare non solo i molteplici stati d’animo (gioia, rabbia, dolore, meditazione), ma anche la fisicità di ogni essere umano (danzare, nutrirsi, vivere, amare, morire).
Brani come “Slightly Before The Dawn”, “I Once Carried A Blossom”e “In Tongues And In Drove“ vanno ben oltre il postulato appena accennato, comprovando l’enorme potenzialità della musica di Ben Lamar Gay, selvaggiamente onirica (“Aunt Lola And The Quail ”), aspra e genuina (“S'Phisticated Lady”), nonché capace di slanci artistici che marchiano a fuoco la musica contemporanea (“I Be Loving Me Some Of You”, “Lean Back. Try Igbo”).
“Open Arms To Open Us” è una meravigliosa esperienza sonora per il fisico e per la mente, un’avventurosa anticipazione della musica futura.
(04/01/2022)