Primo album acustico per i prolifici Melvins, a fungere da compilation di una carriera ultratrentennale ma anche da curiosa operazione ironica di ricontestualizzazione del proprio catalogo: la band dei suoni esplosivi, delle distorsioni assassine, dei brani stentorei e assordanti diventa per l'occasione un combo acustico che si scopre più meditativo, malinconico e persino poetico. I collegamenti segreti con i Beatles e altre realtà dei Sessanta si alternano ai riflessi del grunge con cui sono imparentati nel loro codice genetico, spiazzando ancora una volta noi ascoltatori.
La scaletta è, neanche a dirlo, sterminata: 36 brani in due ore e mezzo totali. Questa volta, però, non c'è la tendenza a voler punire l'ascoltatore che spesso hanno manifestato, ma un tentativo calibrato di scartare di lato per rileggere i classici da una prospettiva differente, o donare nuova vita a brani meno in vista del loro repertorio. Si esaltano così gli aspetti psichedelici di "Edgar The Elephant" e quelli ipnotici della doppia "Hung Bunny/Roman Dog Bird", mentre spesso rifulge il songwriting classicamente rock che originariamente era celato da una veste sonora importante, come in "Billy Fish".
Pur spogliati degli arrangiamenti originali, i pezzi continuano a manifestare il magnetismo delle interazioni piene di tensione fra batteria e chitarre ("Eye Flys", "Oven", "Anaconda") e il capolavoro "Boris" rimane un esempio di musica thriller da manuale.
Pur alleggeriti dal punto dei decibel, i nostri sono comunque più che capaci di suonare inquietanti, minacciosi, oscuri, fosse anche con una strana sfumatura rurale come in “Revolve”. Inevitabilmente, è l’occasione anche per qualche cover, fra rilettura fantasiose e altre più calligrafiche, fra cui meritano segnalazione per motivi diversi la malinconia sgangherata di “Everybody’s Talking” di Fred Neil, che mette in luce una componente inedita della loro estetica, e la loro rilettura di “Halo Of Flies” di Alice Cooper, una febbricitante esplorazione psych-folk.
Selezione atipica per un "best of" sui generis, ma dai Melvins non ci si poteva aspettare altro. Nella sua natura meticcia di compilation e inedito, “Five Legged Dog” può attirare tanto chi conosce a fondo la storia della formazione, fungendo da rilettura creativa volta a esplorare nuove angolazioni, quanto chi fosse a digiuno del loro repertorio, evitando a questi ultimi l’impatto frontale con un sound che, in molte parti della carriera, si è trincerato nella sua ostilità e che qui, invece, viene smussato senza snaturarsi completamente.
Rimaniamo in attesa della prossima trovata di questi inguaribili guasconi.
(04/11/2021)