È in seno a questo coacervo di stili e sonorità che trova la sua ragion d'essere "Pilgrimage Of The Soul", tra elegia ("Imperfect Things") e inquietudine ("To See A World"), tra Pelican ("Reptide"), Sigur Rós ("Heaven In A Wild Flower") e God Is An Astronaut ("Innocence"), ritrovando nella sezione finale una perfetta sintesi d'insieme ("The Auguries", "Hold Infinity In The Palm Of Your Hands"). Il tutto ovviamente lavorando, ancora una volta, sull'intensità della struttura a climax, tropo per eccellenza del genere post-rock, e sulla costruzione dinamica delle composizioni proprio in relazione a questo.
Il risultato è indubbiamente gradevole, ma le soluzioni espressive adottate dai Mono girano troppo su loro stesse. Sebbene infatti sia più compatto e ispirato del precedente "Nowhere Now Here" (Temporary Residence/Pelagic, 2019), l'album non presenta alcun guizzo di novità, riportandoci spiritualmente ed emotivamente all'idea di un "eterno ritorno dell'uguale" di origine nietzscheana, di cui è emblematica la circolarità agrodolce della conclusiva "And Eternity In An Hour".
Tutti abbiamo capito che sono una grande band capace di realizzare opere complesse, ma adesso?
(01/11/2021)