C’è una dimensione più elevata della cosmic-music, un luogo tra il sogno e il silenzio: l’universo. Un luogo primordiale che solo la musica elettronica più colta è riuscita a catturare, seppur per momentanee apparizioni mariane. L’artista messicano Fernando Corona, in arte Murcof, ha spesso infranto quel muro del suono che appartiene al silenzio, alla profonda malinconia esistenziale di tutto quel che è vivo. Aria, vento, terra, acqua, oceani, costellazioni, deserti cosmici: sono questi gli elementi delle sintesi oniriche di Murcof; gli stessi elementi che sono alla base di una delle opere più solide del musicista, che nello stesso tempo saluta il ritorno dell’artista in casa Leaf, dopo tredici anni di collaborazioni (Philippe Petit ed Erik Truffaz) e alcuni progetti estemporanei per altre case discografiche (due colonne sonore “La sangre iluminada” e “Lost in Time”).
Opera monumentale divisa in due atti (tre vinili o due cd), “The Alias Sessions” nasce dalla collaborazione con la compagnia di danza Alias del coreografo svizzero-brasiliano Guilherme Botelho, da qui la natura più intangibile delle composizioni, che abbraccia la musica contemporanea del primo Novecento (Arnold Shoenberg, Anton Werber), la genialità incommensurabile di György Ligeti, nonché i discepoli della musica elettronica che hanno trascinato la musica atonale in una dimensione futuristica (Autechre, Pan Sonic, Andy Stott).
L’affascinante e coinvolgente equilibrio tra neo-classica e contemporanea restituisce all’autore messicano il ruolo di riformatore di linguaggi artistici interconnettivi e interdisciplinari. A viole, pianoforti, flauti, violini e clavicembali subentrano droni, synth e percussioni elettroniche, per una nuova esegesi del silenzio. I quasi novanta minuti di “The Alias Sessions” non possono essere soggetti a un’analisi frammentaria o episodica. Le rarefazioni, le sfumature cromatiche, le variabili tra ombra e oscurità sono un unico magma di suoni plumbei e fosche immagini fonetiche che creano una moderna sinfonia spettrale.
Diventa così più facile cogliere quei segnali di divergenza che lacerano lievemente la struttura monolitica delle sedici composizioni, come il fragore degli incipit elettronici che importunano il minimalismo pianistico e tremolante di “Dandelion Heart” o le inquietudini techno e glitch della possente marcia verso l’ignoto di “Unboxing Utopia”.
La florida quantità di dettagli che caratterizza il nuovo album di Murcof è assimilabile solo dopo ripetuti e attenti ascolti. La struttura è ricca di disordini armonici che mettono in discussione anche consonanze e dissonanze, offrendo al musicista messicano la possibilità di creare luoghi sonori immaginari, dove far confluire ansie (“Dividing Space”) e dinamiche apparentemente più convenzionali (“Systemic Amnesia”), lasciando altresì spazi per eteree digressioni (“Void Glance”) e inattesi slanci di lirismo (“Fire Thief”).
Il distillato di note e ambienti sonori di “The Alias Sessions” ripropone tutta la forza del minimalismo elettronico contemporaneo. La meticolosità della struttura compositiva di “Underwater Lament” e il gelido ringhio delle spettrali presenze che agitano “Shadow Surfing” sono poetiche e incomparabili raffigurazioni dell’eterno dilemma dell’uomo di fronte alla morte.
Murcof affronta il mondo sensoriale ed extrasensoriale con la stessa determinante lucidità, incurante delle ansie e delle paure che essi nascondono, e quando il ritmo ritorna a pulsare in “Ideology Storm”, il musicista messicano stempera la tensione fino a lasciar riposare tutto nelle estatiche braccia delle due tracce finali, “Unread Letter” e la già citata “Void Glance”.
Dopo aver passato gli ultimi dodici anni al servizio di immagini e visioni altrui, con i quasi novanta minuti di “The Alias Sessions” Murcof riprende il discorso interrotto in seguito all'uscita dell’eccellente “Cosmos”. La musica è essa stessa fonte di suggestioni e di immagini, un progetto che allarga ancor di più l’orizzonte creativo di uno dei più lucidi compositori del nostro tempo.
23/06/2021