Il silenzio come suono. Oppure, se preferite, il suono che si adagia sul silenzio, non rompendolo, ma delicatamente appoggiandosi ad esso. Probabilmente, la cosa più difficile da esprimere in musica, più ancora dei sentimenti o dell’impegno sociale, proprio per quella contraddizione in termini che è il cercare di utilizzare suoni per spiegare l’assenza sonora. Ci hanno provato in tanti, il più famoso rimane di sicuro John Cage e la sua "4'33". Ma Cage era un coraggioso pioniere, e, come i veri pionieri, non poteva forse esprimere tutto il suo genio perché non aveva la strumentazione adeguata. Uno sgabello vicino a un pianoforte, e per il resto del tempo non volò una mosca.
Nell’era di internet, la lezione di Cage ha avuto un discepolo. Il messicano Fernando Corona utilizza i silenzi come parte fondamentale della sua musica, per creare, dilatare e comprimere il flusso sonoro dei suoi brani, modellandoli come veri e propri strumenti. Ma nel progetto Murcof c’è molto, molto di più.
Nato a Tijuana nel 1970, il barbuto Corona si laurea in Analisi dei Sistemi e Programmazione, appassionandosi nel contempo alle possibilità sonore aperte dal computer. Ha infarinature di pianoforte e violoncello, ma fin da adolescente sono ben chiare le sue passioni musicali: la classica (il padre era polistrumentista) e la musica elettronica, orizzonte apertogli da “Oxygen” di Jean-Michel Jarre. E quando, tornato a Tijuana, decide di chiudersi in una sala d’incisione, Fernando Corona fonde queste due passioni in un concentrato spettacolare, dando vita a Murcof. Uno dei progetti musicali più interessanti e innovativi degli ultimi anni, il punto d’incontro dialogico tra l’elettronica sperimentale e frammenti di musica classica ed elettroacustica.
Nel 2002 Murcof pubblica il suo primo album, Martes. L’opera è difficile, ma tra gli addetti ai lavori nasce la curiosità intorno a questo progetto così misterioso, padre di un disco affascinante e allo stesso tempo pieno di interrogativi. Che cos’è quello che suona Murcof? È il silenzio angosciante di una lunga suite come "Maiz"? Oppure un nuovo tipo di elettronica ambientale, condensato in singoli come "Marmol"? L’uso di campionamenti di archi, ottoni, pianoforti è un vezzo dell’opera prima oppure il compositore messicano sta cercando di aprire una nuova strada?
Qualunque sia la verità, Martes è l’opera che illumina a Corona il sentiero della contaminazione. È soprattutto l’ottima riuscita di brani come "Mapa", un lungo tappeto dronico con uno sprazzo di violino lancinante, ad entusiasmare lo stesso Murcof e a incitarlo a continuare. Oppure con il tenue accenno di tango presente in "Mir", o ancora una soprano che carica di pathos "Muim".
La provenienza geografica del musicista gioca un ruolo importante: il progetto Murcof è certamente figlio della scuola elettronica statunitense, ma da essa è allo stesso tempo totalmente avulso, spalleggiato dal carattere autodidatta dell’apprendimento di Corona, dalla sua smania di cercare (e trovare) un filone sonoro totalmente personale. Dove ogni ascoltatore si immerge in ciò che la sua mente vuole trovare, dai Future Sound of London a Sergej Rachmaninov, dal tango di Piazzolla a Fennesz.
Nel 2003 Fernando Corona sorvola l’Atlantico e decide di vivere a Barcellona. Qui elabora e rilascia una decina di singoli, che escono in diverse compilation ed Ep e vengono infine raccolti in un disco, Utopia, album che potremmo definire "marittimo". Dopo le atmosfere del pianeta rosso del precedente lavoro, l’attenzione del compositore messicano delinea qui panorami oceanici, dove il viaggio prende forma in una delle sue più compiute espressioni, l’epica traversata di Ulisse. È l’eroe omerico a tracciare il filo di un disco dove ascoltiamo anche campionamenti di onde, i canti delle sirene, ma soprattutto si riesce a immaginare la feluca di Ulisse solcare il Mediterraneo, incamminarsi spedita tra gli abissi.
Nella traccia omonima (e nei suoi remix presenti nell’album), il viaggiatore per eccellenza accompagna Murcof nel territorio della musica clubbing, sia pur timidamente. Nei dieci minuti di questa cupissima cavalcata classica i glitch e la cassa fanno il loro esordio solo superati sei minuti di introduzione, di messa ai remi. "Ulysses" è probabilmente ancora oggi il brano che meglio esemplifica lo stile musicale di Murcof, imprescindibile punto di partenza per un viaggio alla scoperta di questo autore.
L’onirica chiusura di "Ultimatum" riprende un 12'' già pubblicato, mentre le nuove versioni di "Maiz", "Mo" e "Muim" mostrano il fianco a chi della musica concettuale di Murcof ha ben compreso lo spirito e le sonorità. Se vogliamo, il contributo dei colleghi Jan Jelinek, Aeroc, Collen e Fax legittimano il progetto di Fernando Corona e lo elevano di statura, affiancandolo ai mostri sacri dell’elettonica colta.
Ma in Utopia assistiamo soprattutto all’avvicinamento del progetto Murcof al dancefloor. In questo senso, il remix di "Memoria" ad opera di Seth Orvitz è esemplificativo di una vicinanza a panorami beat alla quale la musica di Murcof si presta.
La vena compositiva più dance che traspare da alcuni momenti di Utopia pone alcuni dilemmi a Corona. È infatti da evitare lo snaturamento del progetto Murcof, ma questo significherebbe limitare l’espressività più "movimentata" che sembra voler prendere il sopravvento. Corona decide di non rinunciare a nessuna delle due strade, e riprende in mano il progetto parallelo Terrestre, di cui parleremo più avanti.
Se Martes e Utopia hanno acceso i riflettori sulla contaminazione classica/elettronica prodotta da Corona, è sicuramente con Remembranza, del 2005, che il progetto Murcof raggiunge il suo apice artistico. L’artista messicano si afferma definitivamente come compositore, limando uno dei pochi ma comprensibili difetti che presentavano i suoi lavori precedenti: la lunghezza dei brani. Mai come in "Recuerdos" o in "Reflejo" la musica di Murcof era giunta a un livello di sintesi così alto, mai come in questo album la cura dei dettagli sonori invade lo spettroscopio musicale, dando spazio a una serie di brani fenomenali e che si impongono con delicatezza e austerità. Suoni puliti, glitch al punto giusto e frammenti di archi inquietanti sono il punto di forza di Remembranza, oltre alla strabiliante continuità tra le varie tracce. Un unico, lungo viaggio tra le malinconie di Chopin e gli isterismi di Venetian Snares, ma soprattutto il marchio di fabbrica, quello stile ineguagliabile di una musica senza tempo. Quello che un tempo si sarebbe definito l’album della maturità è in questo caso la definitiva consacrazione di un percorso sonoro ben definito, partito da lontano e approdato a vette di poesia sonora, come la suite "Razòn (En tres partes)".
A chi scrive piace identificare ogni disco di Murcof in una precisa ambientazione, ispirata e suggellata dalla musica, dal pensiero, dall’immaginazione che le sue note producono una volta abbassate le palpebre con il disco nello stereo. E sembra quasi che le ambientazioni vengano proiettate su uno schermo comune, sembra di vedere quello che Murcof vuole far sentire. Immagino asteroidi vaganti ascoltando “Martes”, mi sembra di vedere l’esile barca di Ulisse fendere le onde del Mediterraneo notturno, oppure un anziano signore che suona un pianoforte in disuso in una palestra malridotta ai margini del deserto del Nevada, la stessa che si intravede dalla copertina di Remembranza.
Questa sintesi audio-visiva, questo stimolo continuo al pensiero e al viaggio mentale raggiunge la sua perfezione nel disco-fantasma Cosmos. Corona lo suona sistematicamente nei suoi set da ottobre 2006, su internet è diffusissimo, ne viene annunciata l’uscita da tempo, ma ancora la Leaf non lo ha dato alle stampe, per via di complicazioni legali (dovrebbe comunque essere pubblicato la prossima estate).
Cosmos riesce a riflettersi in una fortissima componente immaginifica, dove, chiudendo gli occhi e ascoltando semplicemente il disco, si viene idealmente portati negli abissi, fluttuando tra gli astri. È una autentica e perfetta colonna sonora dello spazio infinito, tra galassie e asteroidi, in quel non-luogo avvolto dal silenzio tombale e dalla mancanza d’atmosfera. Invece, Cosmos traduce in linguaggio musicale, seppur dronico, partecipe di silenzi e di apocalittici glitch, l’idea sconfinata che ogni essere umano ha del cosmo misterioso, con i suoi pianeti, le stelle, i meteoriti. Il vuoto.
Le quattro tracce di questo 12'' (per 20 minuti di musica) sembrano quasi espressione di una teoria che Fernando Corona vuole dimostrare. Quella che anche il silenzio, nella sua forma più compiuta, può essere riempito. Una sorta di affermazione a tutti i costi della musica, del piacere estremo dell’arte sulla vacuità del silenzio. Solo così si può spiegare l’estasiante climax di "Cuerpo Celeste", o la solennità cupissima della title track.
Discorso a parte merita "Cielo", lunga cavalcata elettronica dove sembra quasi di sentire il richiamo dell’atmosfera, inquinata e invasa dal lordume dell’uomo. Shuttle in rampa di lancio, nuvole che si avvolgono su loro stesse, la caotica frenesia della volta celeste che ci circonda si ribella in tutta la sua drammaticità.
Dopo Cosmos, Murcof interrompe la declinazione del suo nome d'arte con un lavoro decisamente eccentrico rispetto al suo abituale percorso, non solo dal punto di vista del contenuto musicale ma anche da quello della estemporaneità del progetto cui è destinato.
The Versailles Sessions rappresenta infatti la testimonianza di una peculiare esperienza musicale, che nell'estate del 2007 lo ha visto impegnato nella creazione di un accompagnamento sonoro per "Le Grandes Eaux Nocturnes", festival di luci, acqua e suoni che si svolge annualmente a Versailles.
L'ulteriore particolarità del progetto – e dunque delle risultanze racchiuse in queste sessions – risiede nella sua inedita modalità di realizzazione: Corona ha infatti dovuto relegare in secondo piano l'elettronica per cimentarsi invece con un impianto sonoro derivante dall'utilizzo di registrazioni di un ensemble di musicisti specializzati in musica barocca, impegnati con una strumentazione del XVII secolo, comprendente tra gli altri flauto, violino, viola da gamba e clavicembalo.
L'impronta tradizionale delle esecuzioni e la necessità di adeguare i suoni ai luoghi e ai giochi d'acqua e luce cui erano destinate ad associarsi non ha tuttavia indotto Murcof a rinunciare a un'accurata rielaborazione del materiale registrato, diverso da quello da lui solitamente utilizzato ma sottoposto ad analogo processo di filtraggio e assemblaggio.
Grazie a una notevole evoluzione e apertura delle tecniche di modellamento dei suoni e delle timbriche, Murcof ha conservato intatta la specificità barocca delle composizioni di base, riversandole in sei brani lunghi e complessi, nei quali dà forma a una sorta di spettrale colonna sonora, incessantemente solcata da rumorismi, distorsioni e piccole detonazioni, che si muovono in un moto centrifugo su un dark-ambient frammentato a prevalenza dissonante.
Benché non manchino accenni più armonici e la moderna manipolazione dei suoni riaffiori nelle due composizioni finali, il lavoro finisce per perdere parte della fugace magia che può aver emanato in associazione alle luci e alle immagini a corredo delle quali è stata concepita; le sole risultanze sonore di quell'esperienza unica, piuttosto che un lavoro organico risultano infatti molto simili a un esercizio di stile, nel quale Corona non ha tuttavia mancato di applicare e perfezionare ulteriormente la sua accuratezza compositiva.
Murcof è oltre. Semplicemente oltre qualsiasi limite di catalogazione, perché parte integrante della sua opera sono le immagini e i silenzi. Non stiamo parlando di generi musicali, ma di attività esterne alle fatidiche sette note, situazioni emotive che sfuggono ai soloni delle riviste musicali, esclusi da qualsiasi campo di decisione. La musica di Murcof è personale, si delinea nell’immaginazione di chiunque si fermi ad ascoltarla, chiudendo gli occhi, sognando. Una colonna sonora dell’onirico. E sono parole dello stesso Murcof: "Le immagini possono aiutare come possono anche ottenere l'effetto opposto. Nel pubblico ci sono persone che non hanno bisogno di alcuna immagine, semplicemente amano chiudere gli occhi e dare una propria visualizzazione alla musica. Al contempo, altri hanno bisogno di ricevere dall'artista un concept più completo, sia nella musica che nel video: che le immagini, possano completare la musica allo scopo di catturare tutta l'idea che ha ispirato l'artista".*
Come accennato prima, Fernando Corona è titolare anche di un altro progetto musicale, chiamato Terrestre, nel quale dà libero sfogo a sonorità più movimentate e simili alla dance, tuttavia riuscendo a non scostarsi mai troppo dall’elettronica colta.
Il progetto Terrestre fa parte di un più ampio collettivo di artisti di Tijuana, denominato NorTec (Norteño Techno), dove una nuova generazione di musicisti, disegnatori, esperti di immagine e tecnici audio e video si incontrano per trovare un’ideale "fusion" ai loro vari ambiti artistici. Caratteristica peculiare dei progetti Nortec e Terrestre è la forte identificazione con la terra d’origine di Fernando Corona, il nord del Messico (da qui l’acronimo “techno nordista”), sia a livello ideologico che concretamente; nelle musiche di Terrestre, infatti, compaiono spesso campionamenti di strumenti musicali tipici di questa zona del mondo. La definizione della musica di Terrestre è data dallo stesso barbuto musicista: Proyecto solista en estilo NorTec o Norteño Techno, música electrónica hecha a base de sonidos de música norteña, de banda sinaloense y tambora. Come Terrestre, Fernando Corona è attivo dal 1998, quindi ben prima della nascita del suo progetto più importante, Murcof, avviato nel 2001. Questo spiega anche l’affetto che Corona dimostra nei confronti di questo suo side-project.
La musica di Terrestre è lontana anni luce da quella di Murcof, ma la differenza sostanziale non è tanto dal punto di vista musicale (che peraltro resta notevole) quanto proprio da quello del mood. I dischi a nome Terrestre sono solari, allegri, ritmati e pieni di percussioni, chitarre, strumenti latino-americani. Le atmosfere cupissime e gelide dei dischi a nome Murcof non sono minimamente immaginabili, ed è soprendente il divario netto tra le due esperienze dello stesso artista.
Nei primi due album, Plankton Man Vs Terrestre e viceversa, la collaborazione con Ignacio Chàvez (Plankton Man) produce un flusso sonoro di ambientazioni chill-out, decisamente ritmati, ma senza una cassa in primo piano. Viene insomma dato molto spazio alle varie soluzioni elettroniche, senza trasformare il prodotto in una caciara danzereccia. Si tratta più che altro di sperimentazioni, vicine a certi panorami musicali propri dei Basement Jaxx, ma, come già detto, molto più rilassati e meno violenti.
Dopo aver curato la colonna sonora di Nicotina, La vita senza filtro, commedia thriller surreale del regista spagnolo Hugo Rodriguez, Fernando Corona si dedica a sviluppare la sua creatura più nota, Murcof. L’ultimo lavoro a nome Terrestre risale al 2004, e nonostante una copertina di dubbio gusto, dove compare il busto del barbuto musicista agghindato come Speedy Gonzalez su sfondo viola, Secondary Inspection si rivela un bel disco. Il nome dell’album è riferito ai due livelli di controllo che chi vuole entrare negli Usa dal Messico deve attraversare. E, appunto, la secondary inspection è quella più approfondita. Così anche il lavoro di Fernando Corona, curato nelle sonorità e molto in bilico tra un pomeriggio al Cafè del Mar di Ibiza ("Botas De Oro") e il confine più attraversato del mondo ("Ejido Del Terror"). Un album suggestivo e carico di beat elettronici, il disco consigliato per farsi un’idea sull’altro volto di Murcof, quello che un gruppo famoso aveva definito "il lato oscuro della luna". E se fosse invece quello che circonda la luna a essere al centro dell’attenzione? Murcof non ci dice niente. Tocca a chi ascolta abbassare le palpebre e vedere dove porta la sua musica, in qualunque modo si chiami.
Dopo tredici anni di collaborazioni (Philippe Petit ed Erik Truffaz) e alcuni progetti estemporanei per altre case discografiche (le due colonne sonore La sangre iluminada e Lost in Time), l’artista messicano ritorna in casa Leaf con un'opera monumentale (tre vinili o due cd). The Alias Sessions (2021) nasce dalla collaborazione con la compagnia di danza Alias del coreografo svizzero-brasiliano Guilherme Botelho, da qui la natura più intangibile delle composizioni. A viole, pianoforti, flauti, violini e clavicembali subentrano droni, synth e percussioni elettroniche.
I quasi novanta minuti di The Alias Session non possono essere soggetti a un’analisi frammentaria o episodica. Le rarefazioni, le sfumature cromatiche, le variabili tra ombra e oscurità sono un unico magma di suoni plumbei e fosche immagini fonetiche che creano una moderna sinfonia spettrale. Diventa così più facile cogliere quei segnali di divergenza che lacerano lievemente la struttura monolitica delle sedici composizioni, come il fragore degli incipit elettronici che importunano il minimalismo pianistico e tremolante di “Dandelion Heart” o le inquietudini techno e glitch della possente marcia verso l’ignoto di “Unboxing Utopia”. La florida quantità di dettagli è assimilabile solo dopo ripetuti ascolti: Murcof crea luoghi sonori immaginari, dove far confluire ansie (“Dividing Space”) e dinamiche apparentemente più convenzionali (“Systemic Amnesia”), lasciando altresì spazi per eteree digressioni (“Void Glance”) e inattesi slanci di lirismo (“Fire Thief”).
Murcof affronta il mondo sensoriale ed extrasensoriale con la stessa determinante lucidità, incurante delle ansie e delle paure che essi nascondono, e quando il ritmo ritorna a pulsare in “Ideology Storm”, il musicista messicano stempera la tensione fino a lasciar riposare il tutto nelle estatiche braccia delle due tracce finali, “Unread Letter” e “Void Glance”.
Dopo aver passato gli ultimi dodici anni al servizio di immagini e visioni altrui, Murcof ha ripreso il discorso interrotto in seguito all'uscita dell’eccellente Cosmos: la musica è essa stessa fonte di suggestioni e di immagini, un progetto che allarga ancor di più l’orizzonte creativo di uno dei più lucidi compositori del nostro tempo.
* La dichiarazione di Murcof è tratta dall’intervista di Marco Mancuso pubblicata sul sito Digicult.
Contributi di Raffaello Russo ("The Versailles Sessions") e Gianfranco Marmoro ("The Alias Sessions")
MURCOF | ||
Martes (Static, 2002) | 7 | |
Monotònu (Ep, Context, 2002) | ||
Ulysses (Ep, Leaf, 2003) | ||
C.I.D.I. (cd-r, Leaf, 2004) | ||
Memoria (12'', Leaf, 2004) | ||
Ultimatum (12'', Leaf, 2004) | ||
Utopia (Leaf, 2004) | ||
Utopia Remixes (12'', Leaf, 2004) | 6,5 | |
Fax - Kobol - Murcof (cd-r, Leaf, 2004) | ||
Utopia (Leaf, 2004) | ||
Remembranza (Leaf, 2005) | 8 | |
Cosmos (12'', Leaf, 2007) | 7,5 | |
The Versailles Session (Leaf, 2008) | ||
Mexicowith Erik Truffaz(Emi, 2008) | ||
La Sangre Iluminada (Intolerancia, 2009) | ||
First Chapterwith Philippe Petit (Aagoo Records, 2013) | ||
Lost In Time(Casino Luxembourg, 2014) | ||
Being Human Being withErik Truffaz(Mundo Recording, 2014) | ||
Statea withWagner(Infiné, 2016) | ||
The Alias Sessions (Leaf, 2021) | 7,5 | |
TERRESTRE | ||
Plankton Man VS Terrestre (Lakeshore, 2002) | 6 | |
Terrestre VS Plankton Man (Nimboestatic, 2003) | 6 | |
Nicotina OST (BMG, 2003) | ||
Secondary Inspection (Static, 2004) | 7 |
Sito ufficiale (Murcof) | |
Sito ufficiale (Terrestre) |