“I can’t stand Eels!”. Come mai tanta animosità verso il buon vecchio Mr. E? Ok, i suoi ultimi dischi mostrano un po’ la corda, è vero… ma non vi pare un po’ eccessivo che, in una scena di “Love Actually”, Colin Firth proclami addirittura di non sopportare gli Eels? Dopo tanti anni, E non se ne è ancora fatto una ragione: “'That’s the opposite of love, actually”, chiosa amaramente. Hai voglia a spiegargli che nel film, in realtà, si parlava di anguille vere e proprie, e non della sua band… Niente da fare, E ha deciso di prendere la questione di petto una volta per tutte. In “Good Night On Earth”, il singolo di lancio di “Extreme Witchcraft”, chiama esplicitamente in causa Colin Firth e la sua famigerata frase. Ma quello che lancia è un appello a sotterrare una volta per tutte l’ascia di guerra: bando al risentimento, la vita è bella. “Goddamn right, it’s a beautiful day”, cantava una volta (“ah-ah!”). “It’s a good night on Earth”, dichiara oggi. Lo spirito è sempre lo stesso. Ironia compresa, ovviamente.
Certo, di cambiamenti ce ne sono stati eccome. La parabola matrimonio-paternità-divorzio raccontata da E nel precedente “Earth To Dora”, tanto per dirne uno. O anche una pandemia che ha paralizzato il globo, casomai ce ne fossimo dimenticati. Mark Oliver Everett, però, riparte da un vecchio amico: John Parish. Quando si sono conosciuti, nel backstage di “Top Of The Tops”, correva l’anno 1998. Il frutto della loro collaborazione è stato l’album della prima “svolta elettrica” degli Eels, “Souljacker”. Quasi come Dumas, i due ritornano sul luogo del delitto un ventennio dopo. Un connubio a distanza, stavolta, come impongono le circostanze. A Los Angeles, E scrive canzoni mentre il piccolo Archie dorme, cercando di destreggiarsi nei panni del genitore in lockdown. A Bristol, Parish passa tutto nel suo frullatore e lo rispedisce dall’altra parte dell’Oceano.
Il risultato non sarà il gemello di “Souljacker”, ma di sicuro è un suo parente prossimo: basta sentire i riff sfrigolanti di “Good Night On Earth” e “The Magic”, che potrebbero appartenere benissimo agli Eels più barbuti del 2001. Ma anche le spigolosità elettriche di brani come “Amateur Hour” mettono in bella vista il marchio di Parish (accreditato come coautore, produttore e chitarrista), coniugandolo con le inclinazioni un po’ passatiste dei tardi Eels.
Parliamoci chiaro: è l’aurea mediocritas la cifra delle ultime prove di Mr. E e soci, e anche “Extreme Witchcraft” non fa eccezione. Una buona metà dell’album fa ben sperare, dal ruvido rock-blues ferroviario di “Steam Engine” allo zucchero filato pop di “Strawberries & Popcorn”, passando per il funkeggiante apocrifo beckiano di “Grandfather Clock Strikes Twelve”. L’altra metà, però, scivola via senza lasciare il segno, tra ballate scialbe (“So Anyway”, “Stumbling Bee”), rimasticature con il pilota automatico (“I Know You’re Right”) ed esperimenti poco riusciti (“What It Isn’t”). Anche i consueti temi della disillusione amorosa, della solitudine, del bisogno di continuare a sperare, stavolta sembrano seguire un copione già scritto.
Il meglio del disco resta la svelta malinconia in stile “Daisies Of The Galaxy” di “Learning While I Lose”, in cui E prende spunto dalle sue sconfitte a Words With Friends (un gioco online stile Scrabble) per travestirsi da novello De Coubertin: “Play to win or don’t play at all/ Take the game and don’t bring the ball/ But I don’t care what you say/ I just wanna play”. In fondo, è da sempre la sua filosofia di vita. Anche quando non gioca per vincere, come si fa a non provare simpatia per quell’inconfondibile armamentario di tastierine, scampanellii e sorrisi con il groppo in gola? Con buona pace di Sir Colin Firth…
14/05/2022