Credo di dovere delle scuse a Tamara Lindeman: questa volta non ho prontamente elaborato tutto quello che si celava dietro il nuovo album “How Is It That I Should Look At The Stars”. Colpa della spiazzante bellezza di queste dieci gentili e struggenti canzoni per solo piano e voce, appena abbellite da sparute collaborazioni vocali e strumentali.
Registrato in soli tre giorni - live in studio - con un ridotto set di cinque musicisti dell’area jazz e sperimentale canadese, a un mese di distanza da “Ignorance”, l’ultimo album a nome The Weather Station fa perno più sulle liriche che sul contesto musicale. Dieci ballate tirate fuori da un cassetto segreto, compagne fedeli e speculari di quell’ingegnosa creatura conosciuta come “Ignorance”, album al quale la Lindeman negò l’incantevole title track, qui inclusa quasi a voler fare da elemento disturbante, armonicamente più vivace del restante campionario di canzoni, eppur spoglia di orpelli, synth e percussioni, affidata a uno scarno chamber-folk ingentilito dal clarinetto di Karen Ng.
Effimera la tesi che induce a pensare a una scelta in evidente contrasto con il precedente, acclamato progetto: “How Is It That I Should Look At The Stars” è un disco che non conosce le ferree regole del tempo e resta sospeso in una dimensione tra il 1960 e il futuro. Ancora una volta Lindeman mette a confronto un mondo interiore ricco di riflessioni e dubbi con la realtà dolce-amara della vulnerabilità umana, ovvero la stessa apprensione che si celava dietro le più incalzanti sonorità di “Ignorance” e che l’autrice racconta con una fluidità poetica singolare.
Sia ben chiaro che al di là della semplice veste piano e voce, qui albergano alcune delle canzoni più potenti del ricco catalogo The Weather Station. Su tutte “Endless Time”, un’articolata e colta ballata che induce a riflettere su quelle piccole cose che ognuno di noi dà per scontato e che all’improvviso diventano difficili o perfino impossibili ("quando potremmo uscire per strada e comprare rose dalla Spagna, fragole e gigli sotto la pioggia di novembre").
Accantonate durante la registrazione del precedente album sotto la denominazione di ballad, le più intime canzoni di “How Is It That I Should Look At The Stars” sono ricche di elementi caratterizzanti, gli ampi spazi e le pause strumentali grondano di poesia, che sia fiabesca e naif (“Stars”) o radicata nella più nobile tradizione cantautorale (“Song”) non importa.
La tremula dolcezza del canto e il fragile vestiario folk-jazz rinforzano quelle similitudini con l’album “Blue” di Joni Mitchell, un rimando non solo sensoriale ma profondo, radicato nella qualità della scrittura, a partire dal garbato chamber-folk pastorale di “Marsh”, passando per le più elaborate strutture jazz di “Sway”, fino all’arrendevole e disilluso canto a fil di voce di “Sleight Of Hand”.
C’è anche dell’inatteso e tracimante romanticismo, nel nuovo album di The Weather Station, puro e lucente nel duetto con Ryan Driver “To Talk About”, invece arioso e confortante in “Loving You”, un brano di John Southworth (Lindeman ha collaborato all’ultimo disco del musicista “Rialto”) privato dell’incedere ritmico originale e ottimizzato da un elegante arrangiamento che ne valorizza la vitalità sentimentale.
“How Is It That I Should Look At The Stars” è comunque un disco che chiude un cerchio, ritornando sui primi passi discografici dell’artista canadese, ma con una consapevolezza e una padronanza lirica e armonica che consacra definitivamente The Weather Station come una delle più eccitanti realtà della musica d’autore.
22/03/2022