Piccole donne crescono! Spetta ora a Julie Byrne trovare il bandolo della matassa di una carriera d’autrice pysch-folk dai toni gentili e romantici.
Con “The Greater Wings”, la cantautrice americana raggiunge un pregevole equilibrio tra minimalismo folk e brezze chamber-pop, senza scalfire l’agile seppur eterea intensità poetica delle proprie composizioni (“Portrait Of A Clear Day”), introduce accenni elettronici con un candore che conquista e seduce, anche grazie a un retrogusto agrodolce che lascia spazio a briosi flussi dream-pop (“Summer Glass”).
Alla consolidata maturità raggiunta con il nuovo album, corrispondono anche la tristezza e lo sconforto per la prematura morte, a soli 31 anni, del fido produttore, collaboratore nonché compagno Eric Littmann, da qui nasce il malinconico trasporto lirico della title track (“Ho bevuto l'aria per esserti più vicino, le voci si allargano nella stanza, galassie lontane si muovono, non sono qui per niente, la musica nei muri, tu eri lì in quel momento, con la tua vita racchiusa in un accordo... Sei sempre nella band, per sempre in sottofondo, dai un nome al mio dolore per lasciarlo cantare”), anche se l’unica canzone scritta dopo la morte di Littman è la straziante e pungente piano ballad dalle suggestive atmosfere elettro-noir, che chiude egregiamente l’album, intitolata “Death Is The Diamond”: "E se necessario, sosterrò il tuo desiderio di morte, di nuovo tra le braccia di questa vita rara, la mia schiena accostata alla tua schiena".
Dal punto di vista strettamente musicale, le canzoni di “The Greater Wings” trovano seme nel già familiare terreno dell’indie-folk più malinconico.
Quel che sorprende è l’arguta trasmutazione in vellutate, metafisiche, nonché epiche ballate dalle oniriche inflessioni, a volte caduche e cadenzate con un crescendo quasi cinematografico, come nella classicheggiante “Moonless”, che introduce l'arpa e offre più spazio al piano, spesso baciate da un lirismo e da un flavour melodico che rifugge i cliché folk per una più temeraria architettura art-pop (la delicata eppur incisiva melodia di “Lighting Comes Up From The Ground”), fino a rasentare l’eterea fragilità del dream-pop, nella quasi ambient-music di “Summer’s End”.
Chiamato a completare il progetto nel ruolo di produttore, Alex Somers (già alla corte dei Sigur Ros) cattura perfettamente questa voglia di rinnovamento etico ed estetico che Julie Byrne ed Eric Littman avevano pianificato per “The Greater Wings”, si noti in tal senso il ricorrente uso dell’arco del violino nel suonare la chitarra, tecnica che Somers recupera dall’esperienza con la band islandese.
Oscurità e incertezza filtrano tra le pieghe di un album decisamente coraggioso e ambizioso. L’incantevole paesaggio sonoro di “Conversation Is A Flowstate” è un inebriante e deciso ingresso nel mondo dell’ascetismo sonoro di David Sylvian, mentre “Hope’s Return” filtra con le ultime suggestioni dream-pop e post-rock di Mark Hollis e dei Cocteau Twins.
Tuttavia è nelle pieghe decisamente più pop della già citata title track e nella splendida “Flare” che è racchiusa la magia del nuovo album della cantautrice americana, l’abilità di far evolvere accordi di fingerpicking verso forme auliche e brillanti aperture melodiche è un’arte che appartiene a poche voci del cantautorato contemporaneo.
Con “The Greater Wings” Julie Byrne ha trovato una dimensione artistica personale estremamente convincente, un album che ha anche una valenza taumaturgica che l’autrice affronta con un intelligente ricorso a contrasti emotivi, passando dalla luce all’oscurità senza mai cedere al passo greve del dolore e della sofferenza.
02/09/2023