Mancava solo il terzo episodio ad Alessandro Zannier per completare la trilogia Terra-Uomo-Spazio, iniziata nel 2017 con "Micromega" - percorso cosmico che dalle micro-particelle arrivava ai sistemi di universi attraverso canzoni ispirate alla fisica, all'astronomia e alla filosofia - e proseguita con "Entanglement", in cui si intraprendeva un viaggio intorno alla Terra attraverso i cinque continenti, alla ricerca di quelle connessioni spesso invisibili che legano uomini, animali e cose.
A chiudere il cerchio ecco che arriva "Arca", ottavo album a nome Ottodix che, in forza del motto "squadra che vince non si cambia", vede ancora Flavio Ferri dei Delta V confermato alla produzione, dopo il convincente lavoro in consolle per i due lavori precedenti sopra menzionati. Un progetto ambizioso, questa nuova creatura dell'artista trevigiano, che nasce da un clima di accerchiamento angosciante, da quella spiacevole sensazione di apocalisse imminente che porterà alla distruzione il sistema mondo globalizzato, per come lo abbiamo conosciuto. Un'opera interamente ispirata al racconto di Hayao Miyazaki "Conan il ragazzo del futuro", e in generale a quella fantascienza post-atomica ambientalista che prese piede verso la fine degli anni 70.
Il nucleo su cui ruota il concept è un'ipotetica e visionaria Arca spaziale generazionale, che ha la forma di una tartaruga, immaginata per salvare milioni di uomini da un prossimo cataclisma ambientale irreversibile, paragonabile al biblico diluvio universale. Quest'Arca è concepita come una città stato, una megalopoli immensa col sole artificiale al centro e un anello di collegamento tipico dei pianeti del sistema solare, su cui si sviluppano sei giganteschi Distretti, ognuno dei quali porta il nome dei brani presenti nel disco.
Distretti che servono ai coloni per nascere ("Gemini"), crescere nella natura ricreata in cattività ("Eco"), studiare e tramandare la storia collettiva ("Memorandom"), imparare la scienza e la tecnologia necessarie per sopravvivere ("Techne"), frequentare luoghi dedicati all'arte e alla filosofia per affrontare il vuoto psicologico di una vita errante nel cosmo ("Musa"), alla ricerca di un esopianeta da colonizzare e su cui sperimentare nuovi metodi di sopravvivenza ("Utopia").
Parliamo di un disco, stiamo recensendo quello, ma potremmo star qui a discutere tranquillamente di poesia, di un romanzo interspaziale o magari della colonna sonora per un film utopico/distopico, se non fosse per quella decina di perfette pop song ammantate di un'elettronica suadente, mai invasiva o fine a se stessa, canzoni che arrivano con facilità alle orecchie e al cuore di chi è disposto ad ascoltare.
Un continuum sonoro, un unico flusso di pop e interludi collegati tra loro introdotti dalla voce asettica di una chatbot (un'hostess artificiale), che torna costantemente, in apertura di ogni brano. Idea geniale che caratterizza l'intero concept, con Flavio Ferri che in regia esegue un gran lavoro di effetto glitch.
L'album si apre con l'intro a crescere di "Gravità", contraddistinto dalla chatbot che, prima dell'ingresso del sequencer e della ritmica sintetica, pronuncia solennemente queste gravi parole:
Quando scappi da un mondo in fiamme
devi scegliere in fretta cosa mettere nel sacco
cosa lasciare andare
e quali semi portare con te
Il futuro è nomade, è nomade, è nomade...
I sintetizzatori digitali hanno uno scopo ben preciso: creare un sound omogeneo e atmosfere spaziali ricche di arpeggi sulle quali si interseca, ben riconoscibile nella sua funzione di contrasto e di ricamo armonico, il pianoforte a coda del teatro Marchionneschi di Guardistallo, dove è stato registrato il disco, nelle note del pianista Loris Sovernigo.
Zannier modella il suo cantato rivestendolo di tematiche musicali a lui care, fin dall'incipit severo e algido di "Gravità", synth-pop senza compromessi alla Kraftwerk, proseguendo con la dance music di matrice seventies della title track "Arca", un inedito nella discografia Ottodix per via di quella esplosione di ritmo, di colori e di vitalità in cui echi dei "Figli delle stelle" di Alan Sorrenti si fondono con gli irresistibili riff sintetizzati di cui i Pet Shop Boys hanno sempre fatto largo uso nelle loro creazioni più trascinanti e mainstream.
Nessuno dei brani cantati presenta la costruzione classica strofa/ponte/ritornello, sono più canzoni di lunga durata, arricchite di code strumentali dilatate in stile ambient, che arrivano a spingersi verso territori quasi prog ("Eco") o addirittura dub in "Memorandum", una sorta di reggae spaziale privo di gravità come lo era stato per esempio "Walking On The Moon" dei Police.
Splendide le partiture orchestrali e le tessiture downtempo in "Musa" - se vi piacciono le sonorità di "Exciter" dei Depeche Mode, questo è il brano che fa per voi - e il ritmo ipnotico e serratissimo di "Techne" (che non a caso rappresenta il Distretto della tecnologia, perché "ci serviranno macchine per fare nuove macchine, create a loro volta per controllare macchine").
Il finale si fa quasi onirico, i Bpm si abbassano in "Utopia" - strofa killer sulla scia della migliore tradizione del synth-pop Uk - e soprattutto nella fiaba "Simulatore", retta quasi interamente dalla voce di Zannier intarsiata di preziosi arabeschi di piano su tappeti elettronici, il cui incedere suadente evoca alla perfezione l'immagine di un'astronave che salpa dalla Terra verso nuovi orizzonti siderali.
"Arca" non è (solo) un grande disco, è un'opera omnia di arte contemporanea che abbraccia fantascienza, musica, riproduzioni sonore di dati, biogenetica, installazioni... nessuno aveva mai osato tanto, con questi risultati poi, nella cultura pop elettronica di matrice italica. È, a chiare lettere, il progetto più visionario e imponente di Ottodix, capace di raggiungere pathos e climax assoluti in ciascuna delle particelle che ne compongono il cosmo.
20/04/2023