Avevano staccato la spina quasi 12 anni fa, evaporati in una nuvola rossa (op. cit.) dopo un ultimo concerto a Gratosoglio, estrema periferia milanese, per un semplice motivo: non c’era più nulla da dire. Un contratto con la Emi per altri due dischi stracciato e un'onestà intellettuale - parola strausata e abusata di questi tempi - che, se fosse patrimonio comune, eviterebbe al già moribondo mercato musicale di venire incancrenito ulteriormente da tonnellate di dischi inutili.
Ma io me li ricordo bene i Delta V, che nell’ultima, fantastica e irripetibile stagione del pop italico a fine anni 90 guidavano il plotone insieme a
Subsonica,
Bluvertigo, La Crus, Tiromancino (con
Sinigallia), Soerba, La Sintesi, Madreblu e tanti altri a ruota. E cinque album riuscitissimi in saccoccia, dall’esordio
triphoppeggiante di "Spazio" al suono più duro e chitarristico di "Pioggia Rosso Acciaio", che a suo modo era la quadratura del cerchio: Francesca Tourè di nuovo ai
vocals come agli esordi.
In questo enorme spazio temporale che ha segnato la loro lontananza, è cambiato tutto, musicalmente parlando. In peggio, ovvio, senza star qui a discutere perché e come. Oddio, i dischi già iniziavano a non vendersi più anche nel 2006, la nicchia
indie faticava anche in mancanza di
talent show e trap. Spotify ancora non c’era, Myspace una meteora scomparsa presto senza lasciare tracce, ai concerti meno
mainstream qualche manipolo di coraggiosi ancora ci andava, e in generale i rubinetti con cui innaffiare arte, cultura e spettacolo erano semichiusi ma qualcosa ancora circolava.
Non è dato sapere quanto la situazione contingente abbia inciso nella decisione, fatto sta che il gruppo sparisce completamente dalla circolazione e, nel caso di Flavio Ferri, pure dall’Italia, con destinazione Spagna. Carlo Bertotti impegnato in televisione come consulente di programmi musicali, il compare alle prese col suo nuovo progetto sperimentale Girls Bite Dogs e in
consolle di produzione per i trevigiani Ottodix nell'ottimo "
Micromega", oltre a ritagliarsi uno spazio importante come regista video.
E così fino al 2018, quando il
puzzle torna a ricomporsi. Questa volta il senza il
coup de theatre di un clamoroso ritorno, ma con la giovane Marti al microfono, che pure in origine avrebbe dovuto solo cimentarsi nei provini e poi invece è stata confermata sul campo (leggenda vuole che non si sia trovata nessuna
female voice che cantasse meglio, e qui ci ritorna simpaticamente in mente la storia dei
Genesis, gruppo che Ferri ama parecchio, allorquando dovettero affrontare il problema della sostituzione di
Gabriel. Nel caso, gli auguriamo la stessa fortuna commerciale). Comunque la si pensi, la nuova arrivata è stata decisiva per la
reunion e il progetto è partito su
input fornito dalla stessa.
"Heimat", parola scelta per intitolare la nuova fatica, non è messa lì per caso.
E’ simbolo di una casa immaginaria, una sorta di prefabbricato - vedi la copertina - che si può adattare a qualsiasi luogo e ambiente, considerata la lontananza geografica delle vite dei nostri eroi, e l’ambiente familiare dove è stato realizzato il disco (nelle foto diffuse sui social la band è intenta nella registrazione in un salotto casalingo con tanto di cane al seguito). E richiama pure il cinema, altro grande amore dei due (andatevi a vedere il clip realizzato per il singolo "30 anni"), in quanto è anche il titolo di un film tedesco del 1984, diviso in 11 episodi, che racconta la storia privata di una famiglia, intrecciata con quella storica, parecchio complessa, della Germania nel periodo delle due guerre mondiali e fino ai giorni nostri.
Musicalmente, le coordinate in cui si muove "Heimat" sono anche il marchio di fabbrica dei Delta V, e cioè un pop suadente, introspettivo, intimista, a dire il vero meno stratificato e più compatto/monocorde rispetto ai precedenti, sorretto da una impalcatura elettronica attuale, e comunque suonato. Un brano però si eleva sugli altri, perché la melodia di "L’inverno e le nuvole" è da colpo al cuore e non a caso, perché i due ne sanno, la
song è stata scelta come opera prima da presentare sui media e come simbolo del ritorno.
Il processo creativo questa volta è stato differente: i testi assumono qui un’importanza maggiore, sono più diretti, frutto dell'esigenza di Bertotti di tradurre in parole richiami del passato, ricordi generazionali e situazione attuale, politica intesa però in senso alto. Il risultato di questo connubio letterario-musicale sono dei
flashback totali di breve durata (la metà dei brani non supera i 3 minuti) senza tanti fronzoli.
D’altra parte, ormai, si fanno dischi solo per il piacere di farli, senza tante velleità, cercando di focalizzare quanto si ha da dire ma senza l’assillo impellente di dover vendere a tutti i costi. Sotto questo aspetto, "Heimat" è disco che esprime perfettamente il senso di questa disillusione, e ci mostra i Delta V del 2019 senza troppi rimpianti e nostalgie di ciò che è stato, nonostante testi che, come si è detto, insistono parecchio sul tema dei ricordi giovanili e post-adolescenziali. Su tutti, "Domeniche di agosto", un’istantanea perfetta di quelle che erano le giornate estive negli anni 70, quando si giocava nei cortili e in strada davanti al bar, i muri pieni di scritte sulla Dc e la sigla del telegiornale che fuoriusciva dalle finestre aperte delle case.
La tradizione che vuole sempre un brano altrui in scaletta viene rispettata: oggi è la volta di "Io sto bene" dei
CCCP, di fatto una cover solo per quanto riguarda il testo, perché la canzone è stata completamente destrutturata negli accordi e nella melodia, col risultato che suona originalissima e perciò irriconoscibile. Vista l’importanza storica del brano in questione, forse è meglio così.
Nonostante la breve durata di molti brani su disco lasci poco spazio a divagazioni sonore, per il tour promozionale (nel quale sarebbe bello vederli con i colleghi Ottodix) la premiata ditta ha promesso che tutti i pezzi in
setlist saranno dilatati, amplificati e arricchiti con aggiunta di
break strumentali. E, soprattutto, l’impianto elettronico non verrà snaturato e svenduto sull'altare della
performance. Con una batteria a
pad l’intero suono sarà meno rockeggiante e poco convenzionale (in pieno stile Delta V, insomma), a chitarra e basso il compito di adeguarsi.
In una stagione imbastardita dove anche band elettroniche internazionali e non, famose e meno famose fanno a gara ad apparire
on stage come novelli
Stones, una piacevole boccata d’aria e un ritorno alle origini di quello che è lo spirito guida dell'
electropop.
Del resto, stiamo parlando di due musicisti che hanno sempre ammesso con orgoglio l'influenza esercitata dai grandi gruppi elettronici e sperimentali di fine anni 70 (
Kraftwerk,
Ultravox,
John Foxx,
Devo e
Gary Numan), influenza assai manifesta del resto nella discografia della band.
Bentornati Straker & Foster.
07/02/2019