Interno giorno. Un ragazzo è disteso sul lettino e un uomo, seduto accanto a lui con un taccuino in mano, gli chiede di elencare ciò che ama di se stesso; il ragazzo ci pensa su, esita qualche secondo, poi scoppia a piangere. Sarà l'inizio di un percorso di rinascita, che lo porterà alla riscoperta della sua identità.
Quel ragazzo è Trevor Powers, ma da poco ha ricominciato a farsi chiamare Youth Lagoon, un moniker che aveva abbandonato otto anni fa, dopo l'uscita del poco convincente "Savage Hills Ballroom". Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti: due album col proprio nome di battesimo e un tweet con poco margine d'interpretazione: "There is nothing left to say through Youth Lagoon. It will exist no more". Più che una dichiarazione, un epitaffio gelido come una lapide, ma si sa, le cose non sono mai esattamente come ce le prefiguriamo.
Trevor Powers, ad esempio, non si sarebbe mai aspettato di assumere un normalissimo farmaco da banco e, a causa di questo, di perdere la voce e di compromettere la sua salute. Oltre all'impossibilità di parlare - figuriamoci di cantare - nell'ultimo periodo della sua vita, ha dovuto affrontare gli effetti di un malessere che si è spinto spesso ben oltre il limite della sopportazione (perdita di peso, dolori lancinanti, depressione). Anche di questo malessere è figlio il nuovo, quanto inaspettato, "Heaven Is A Junkyard", resurrezione artistica di Youth Lagoon, impreziosita dal lavoro in produzione dello scozzese Rodaidh McDonald (XX, David Byrne, Sampha). Un album che si innerva nei posti più familiari per Powers, ovvero quelli da cui proviene, nel profondo e sperduto Idaho. Un luogo di conifere e cimiteri abbandonati, trattori stanchi e cavalli selvaggi, sfasciacarrozze e neve che d'estate si scioglie svelando le carcasse di lattine e di vecchi attrezzi agricoli. Un luogo - non servirebbe dirlo - fatto anche di esseri viventi, "di padri ubriachi che imparano ad abbracciarsi", chiosa Powers nel press kit del disco, "di madri che si innamorano, vicini che rubano la posta, amici che marinano la scuola, cani che catturano conigli, bambini che giocano nell'erba alta, io che piango dentro una vasca da bagno" - chiaro riferimento, in quest'ultimo caso, al singolo "Idaho Alien".
Ebbene sì, perché "Heaven Is A Junkyard" è tutto fuorché un album rassicurante, sebbene il docile piano e la batteria jazzy di "Rabbit" - prima canzone del disco - sembrino dimostrare il contrario. "No one ever saw the house/ through the pine trees on the belt/ only Alice starin' out/ No one ever saw me out/ in the junkyard by myself", canta Powers in una dolce ninna nanna ambientata in un posto a metà tra un paese delle meraviglie e un deserto di solitudine, abbandono e inquietudine.
Tutti i brani di "Heaven Is a Junkyard" sono nati strumentali e solo successivamente hanno incontrato le parole di Powers, traduzione letterale di pensieri, memorie e visioni più o meno lucide, in precario equilibrio tra reale e surreale. È una eccezione alla regola la strumentale "Lux Radio Theatre", rimasta nella fase atavica e primordiale di gestazione, che funge da nostalgico ed evocativo ponte tra "The Sling" - una stanca e ossuta ballata, sospinta sul finale da archi drammatici - e "Deep Red Sea" - una sghemba filastrocca che fluttua in una dimensione quasi eterea.
Lungo la spina dorsale dell'album si riscontrano elementi tipici del passato di Youth Lagoon: tra questi - per fortuna e nonostante tutto - la voce sottile e imberbe di Powers, spesso modificata dagli effetti, e gli ottimi spunti melodici che da sempre hanno contraddistinto la musica dell'americano (si vedano, ad esempio, le cantabilissime e immediate "Prizefighter" e "Mercury").
Tra gli elementi inediti, invece, il sopracitato minimalismo a tinte alt-folk e le atmosfere jazz riscontrabili in molti episodi del disco ("Rabbit", "Idaho Alien", "Trapeze Artist", per citarne alcuni), che si fondono spesso con orpelli elettronici e sample in maniera misurata e naturale.
Non c'è pretesa né maniera nell'ultimo disco di Youth Lagoon, è così come deve essere: autentico, autobiografico, delicato ed elegante, capace di insinuarsi nelle menti di chi vorrà scoprirlo e apprezzarlo con calma, nei ritmi bassi che lo contraddistinguono: segni tangibili di una rinascita lenta e dolorosa, ma soprattutto di una identità ritrovata, quella che otto anni fa sembrava perduta. Per sempre.
09/07/2023