Era il 2008 quando Aaron Parks rilasciò, per la Blue Note Records, il suo primo album, “Invisible Cinema”. Da allora ha pubblicato molto altro, con varie etichette e collaboratori. Nel 2018 è uscito il primo lavoro con il terzetto di musicisti (Greg Tuohey, chitarra; David Ginyard, basso e Tommy Crane, batteria) con i quali ha elaborato il progetto Little Big: una prima uscita nel 2018 (“Little Big”, appunto), una seconda nel 2020 (“Little Big II: Dreams Of A Mechanical Man”) e infine eccoci arrivati al terzo capitolo, che segna però il ritorno in casa Blue Note Records e un cambio alla batteria, con l'ingresso di Jongkuk Kim.
L’album si apre con un un pianoforte ripetuto, subito accompagnato da basso e batteria: il suono ricorda vagamente i Radiohead di "Amnesiac", ma la melodia del pianoforte sulla quale si innesta un breve solo di chitarra colloca l’ascoltatore tra il jazz e la classica contemporanea. “Flyways” è un crescendo, capace di mantenere tensione e ritmo molto intensi, ritrovandosi a un certo punto in un ambiente decisamente rock.
La prima traccia così è emblematica dell’album: jazz costruito intorno al pianoforte, contaminato di echi di rock, classica e persino musica elettronica. Segue la notturna e riflessiva “Locked Down”, in cui il tema iniziale affidato ai bassi si fa accompagnamento sulla coda pianistica che prende in mano la canzone, prima di lasciare spazio all’assolo di chitarra. “Heart Stories” è costruita su una modalità analoga, meno ambigua grazie al fatto che il tema è eseguito su note più alte dal pianoforte (sostenuto da un drumming eccezionale) e perciò più spiazzante quando si fa accompagnamento e lascia che sia la chitarra a condurre il gioco.
“Sports”, invece, parte con un giro di basso e un ritmo più tropicale: è uno dei pezzi destinati a colpire di più al primo ascolto, ma è anche uno dei più belli e originali, con qualcosa dei Weather Report e con una parte centrale rock-funkeggiante. “Little Beginnings” si muove più in chiave smooth jazz e blues. “The Machines Say No” è costruita su una sezione ritmica complessa e febbrile, con un insistente arpeggio di chitarra, in contrasto con la successiva “Willamina”, più psichedelica e dalla melodia pianistica a tratti pop.
Chiudono l’album “Delusions”, che si ricollega a “Flyways", e la ballata “Ashé”, scritta nel 2007 e inclusa in forma più estesa e jazzistica in “A Tale Of God's Will (A Requiem For Katrina)” di Terence Blanchard.
Un album così, per i tanti stili che attraversa e i vari generi che rielabora, non è facile da incasellare; si parla di post-genre proprio per indicarne la difficile collocazione, ma al fondo c’è il jazz, con la sua capacità di includere, raccogliere e rielaborare le contaminazioni più varie, restituendocele in questo caso in un album più semplice e meno stratificato nei precedenti di Parks, con armonie meno audaci, temi più riconoscibili, ma capace comunque di affascinare ed emozionare.
01/12/2024