Cosa vuole dirci stavolta Burial? Innanzitutto che tornare al formato Lp per il momento ancora non se ne parla. E che forse, visti gli anni trascorsi, non se ne riparlerà mai più. Quantomeno questa è la prima notizia al cospetto dell’ennesimo Ep da due tracce, partorito ad altrettanti anni di distanza dall’ultimo in uscita solitaria. La seconda è che William ha messo da parte (?) l’amata Hyperdub per iniziare magari a farsi largo tra le fila della XL. E poi la terza, che è anche la più importante: “Dreamfear” è una bomba.
Accantonati gli isolazionismi ambient del recente passato, l'assenza di cassa e di una direzione precisa, Burial riagita le acque con una doppietta che fa ripensare all’altra sua comparsata con un’etichetta diversa dal solito, la Keysound di Dusk e Blackdown, nell’ormai lontano 2015: “Temple Sleeper”.
Dunque break come la jungle di trent'anni fa comanda, con ripartenze in controtempo verso l’universo freestyle, contorsioni qui e là e pause improvvise come se ci fosse da cambiare spesso il lato di un vinile. Insomma, la title track è un assalto frontale misto a sassate lanciate da ogni direzione possibile. Tredici minuti di beata irrequietezza con sample talvolta indistinguibili, che raggiungono l’apice intorno al decimo attraverso una partitura assassina che anticipa un finale da rave party assoluto. Prendere o lasciare, va da sé.
Tuttavia, se con l’anonimo “Unknow Summer”, partorito nell’estate del 2023 insieme al fidato Kode9, Burial aveva fatto pensare ormai al peggio, con una serie scontatissima di incalzate dubstep frullate con le solite vocine eteree, a questo giro rimette le cose in chiaro, riprendendosi dal torpore con un uno-due comunque sia micidiale, al netto della nostalgia spesse volte un po' discola.
“Boy Sent From Above” comincia invece tra le ferraglie: c’è una bomboletta campionata che si dimena prima di dipingere figurativamente un movimento di circa altri tredici minuti, tra melodie eurodisco, repentini stop&go e un beat meno selvaggio ma più centrato.
Burial accelera, decelera, gioca con trovate orientaleggianti prese in prestito da qualche disco dimenticato da Dio, altre volte pesca linee al piano accendendo i motori e le luci rosse della sua KITT, infine inscena la sua festa e ci dice che il battito è ancora vivido e che le lancette dell’orologio dalle sue parti, in quel suo stranissimo mondo, si intrecciano seguendo uno stato d’animo stavolta vibrante, per quanto comunque ancorato a una perdizione immutabile.
Peraltro anche nella seconda traccia del lotto, il decimo minuto è quello più sorprendente, con una bassline adrenalinica che riporta tutto da qualche parte della memoria, ossia tra il pavimento da consumare con il culo a furia di break dance e i cancelli in lontananza di un capannone dismesso.
19/01/2024