Il dodicesimo in studio di Eminem ci dirà qualcosa che ancora la superstar del rap non abbia detto (e ridetto) nei precedenti? La risposta è ragionevolmente “no”, anche prima di premere il fatidico play. Dopo l’ascolto, però, questa semplice e un po’ semplicistica considerazione può evolversi in una valutazione più ampia sul rapper di Detroit, sulla sua carriera e anche su come siano cambiate la musica in generale e quella rap in particolare.
“The Death Of Slim Shady (Coup De Grâce)” riparte dall’alter ego platinato, violentissimo e dissacrante con cui Marshall Mathers è diventato famoso in tutto il mondo, un quarto di secolo fa (mi dispiace, qualcuno doveva pur dirvelo che da “My Name Is” sono trascorsi 25 anni) per ucciderlo, superarlo e forse dare una svolta alla propria carriera. Non che manchi la celebrità, perché se per i Millennials come chi vi scrive Eminem è un artista che è stato importante ma non intoccabile né indiscutibile, per una buona parte della Gen Z è una leggenda vivente, per la quale è un po’ peregrino chiedersi come sia l’ultimo, ennesimo, album, tanto è già uno dei più grandi di tutti i tempi. La stessa idea dell’album come metro di misura con il quale misurare gli artisti, d’altronde, è un retaggio di altre epoche dell’industria musicale, quando appunto l’oggetto da vendere era una raccolta di brani e non, come oggi, sempre più il merchandising, il live event o la propria stessa immagine nel music game, così da guadagnare altre hit, altri follower, altri featuring.
Eminem, in questo, ha saputo anche evolversi da quel modello di artista, tanto che oggi i ventenni lo conoscono più per i singoli come “Love The Way You Lie” con Rihanna (13 volte platino in patria, altri 18 in Australia e 5 in Regno Unito, per dare qualche riferimento) che per l’importanza di un “The Marshall Mathers LP”, più per lo sfoggio di tecnica supersonica “Rap God” (2013; 7 platini in patria) o l’inno di self empowerment “Lose Yourself” (2002; 13 platini in patria ma anche tre in Italia) che per “The Slim Shady LP” (1999). Lui non è poi cambiato così tanto, a ben vedere, ma comunque ha saputo proporsi a un pubblico diverso anche con un’idea musicale non necessariamente imperniata sugli album di studio, che nel caso erano all’inizio parte di un’unica narrazione, dei quasi concept con dei temi portanti, un progetto unificante. Ha saputo circondarsi di nuovi colleghi, della scena hip-hop ma anche esterni: dalla già citata Rihanna a Juice WRLD, ma passando anche per Ed Sheeran, Kanye West e Lil Wayne. Questo lo ha mantenuto il collegamento con il mondo della musica mainstream.
Detto questo, chiudete gli occhi e iniziate ad ascoltare “The Death Of Slim Shady (Coup de Grâce)” e la sua prima canzone, “Renaissance”: seguendo la voce, potreste essere davvero nuovamente nel 2004, e anche ascoltando il testo, seguendo il flow, apprezzando quel tono di voce acuto e irritante. Eminem si scaglia contro chi lo odia e la lancia in tribuna, sostenendo che criticano tutti, che criticherebbero pure Picasso. Le produzioni, i beat, così come le collaborazioni, contribuiscono ad aggiornare una rap persona che è quella di un quarto di secolo fa, ancora minacciata dalle dipendenze (“Habits”; la conclusiva “Somebody Saves Me” su cui torneremo), scisso internamente con il suo alter ego più ragionevole o inebriato dalle sue stesse provocazioni (“Trouble”; “Evil”; “All You Got”; “Lucifer”; “Guilty Conscience 2”; “Bad One”).
Ritorna quello di “Without Me” (2002) con “Brand New Dance”, che però di nuovo ha davvero pochissimo e bersaglia Christopher Reeves come se fossimo ancora a inizio millennio (è morto nel 2004; lui dice che è un brano scartato da “Encore”); nel singolo di lancio “Houdini” cita apertamente se stesso, ed è quasi un’autoparodia.
Slim Shady vorrebbe tornare nel 2003, prima del woke, del me too, della cancel culture, ma è chiaramente l’ennesimo modo di Eminem di confondere le acque per provocare, dividere e far parlare di sé, come a inizio millennio: il problema di un brano come “Antichrist”, che spinge forte sui temi appena citati, è che queste sparate suonano banali e anche quando mette il turbo, snocciolando rime in extrabeat, è difficile dirsi sorpresi perché è esattamente quello che ci si aspetta da lui. Chiaramente, c’è anche il rischio che qualcuno meno avvezzo al personaggio Slim Shady, o troppo giovane per ricordarsi come funzionavano queste cose vent’anni abbondanti fa, prenda sul serio quello che dice nei testi, ma è una questione vecchia di qualche decennio e ora può risultare più scivolosa, soprattutto per la dinamica comunicativa dei social, niente di più.
In realtà il fatto che Slim Shady sia indifendibile nelle sue posizioni palesa la finzione ed è più difficile soprassedere quando, come in “Road Rage”, esce di più dal personaggio e parla di diritti trans scivolando pericolosamente verso una retorica del troppo che stroppia e l’utilizzo dell’argomento fantoccio.
Quando JID, il migliore tra i tanti ospiti, interviene in “Fuel”, è evidente che c’è una generazione di figli di Eminem che non rischia di renderlo obsoleto ma lo ha già fatto, quantomeno nella sua incarnazione più tradizionale.
Dopo una cinquantina di minuti l’ascolto si è fatto faticoso, strattonati qua e là da Slim Shady che dialoga con Eminem, una raffica di frasi nate per fare scalpore senza poi riuscire a scioccare davvero, ritorni al passato e qualche tentativo di ringiovanire una formula ormai troppo vecchia. In “Temporary” il rapper torna intimista, persino commovente, dedicando una canzone alla figlia Hailie da ascoltare dopo la sua morte:
I knew that you was gonna take this the hardest
Sweetie, get up, I know that this is breaking your heart, it's
The hardest thing I've ever wrote (Daddy)
Hailie, sweetheart, it's okay for you to let me go
Potrebbe finire così, un album fin troppo lungo e senza brani che meritino di sostituire i suoi classici, ma si arriva, tra canzoni e skit, alla traccia 19: “Somebody Save Me”, chiusura emotiva che usa la voce soul di Jelly Roll per rendere più toccante un mea culpa di un uomo tormentato dalle dipendenze, posseduto da un alter ego che lo ha portato a diventare celeberrimo ma anche tormentato. Le ultime parole sono lasciate al campionamento di “Save Me” di Jelly Roll:
I'm a lost cause
Baby, don't waste your time on me
I'm so damaged beyond repair
Life has shattered my hopes and my dreams
I'm a lost cause
Baby, don't waste your time on me
I'm so damaged beyond repair
Life has shattered my hopes and my dreams
“The Death Of Slim Shady (Coup De Grâce)” è un album minore di un rapper tra i più grandi, che faticherà a inserirsi in una playlist di brani selezionati già tra qualche anno. Ad uno sguardo più attento e più ampio, come abbiamo provato a fornire, è anche il punto di arrivo di un rapper tormentato, diviso nell’anima, che tardivamente sta provando a superare il suo demone interiore. La differenza tra rap persona e l’uomo era difficile da digerire già quando Slim Shady arrivò sulla scena, tanto più qua in Italia dove la possibilità che fosse un personaggio sfuggiva proprio alla sensibilità di (quasi) tutto il pubblico, ma oggi è ancora più difficile da gestire: dalle star ci si aspetta l’adesione alle cause civili, attivismo e coerenza tra vita privata e artistica; per chi abita il mainstream è ingestibile dire qualcosa nei brani che non si direbbe in un’intervista televisiva o che non si sottoscriverebbe, mettendoci la faccia, sui social. La morte di Slim Shady è un’operazione musicalmente non così interessante ma probabilmente necessaria per assicurare la possibilità di un futuro di Eminem, una seconda vita ora che ha superato i cinquant’anni e sembra vitale, per l’uomo dietro il rapper, trovare una sintesi tra le sue varie nature.
24/07/2024