Approcciandosi a un nuovo album dei
God Is An Astronaut, si sa cosa attendersi. Tessiture strumentali, riverberi e chitarre tintinnanti, qualche occasionale slancio metallico, vorticanti intrecci di distensione e
grandeur. "Embers", undicesimo Lp della formazione
quiet/loud irlandese, non fa eccezione e non delude (né stravolge) le aspettative.
Il carattere dinamico dei brani, variegati e cangianti al loro interno, non si traduce in un'analoga diversità della tracklist: fra intro atmosferiche, stratificazioni ombrose, passaggi muscolari e repentine aperture di luce, brani come "Odyssey", "Oscillation" e la title track sono sostanzialmente intercambiabili. Appaganti, riusciti, ma di fatto sovrapponibili nelle forme e sensazioni evocate.
Riescono a svettare un poco, paradossalmente, alcuni degli episodi meno caleidoscopici. Un esempio è "Heart Of Roots", che stratificando gradualmente a partire dalla suggestiva frase di basso iniziale, non giunge mai a una vera esplosione. Ma va a segno anche la calma meno ondivaga della conclusiva "Hourglass" o della precedente "Prism", uno dei due pezzi del disco accompagnati dalla violoncellista londinese Jo Quail (in passato già con
Caspian,
Mono,
Laniakea).
In conclusione, "Embers" è un disco ben fatto, confortevole, che senz'altro troverà il consenso dei (non pochissimi) appassionati del sound crescendocore. Difficilmente, però, soddisferà chi in quell'ambito cerca inedite evoluzioni. Nice, for fans.
10/11/2024