Se cercherete in questo disco lo spirito dell’anatema “Kick out the jams, motherfucker”, lanciato una volta per tutte contro il sistema, all’inizio di uno dei dischi più importanti della storia del rock, ma anche delle controculture giovanili tutte, rimarrete delusi. Se più realisticamente vi aspettate un disco tosto, generoso, grondante voglia di suonare e a suo modo fresco, come lo è sempre l’energia quando il mestiere assicura al tutto la dignità necessaria, senza soffocare la spontaneità, allora questo è un ascolto che potrà animarvi le giornate. Che abbiate 14 anni o 74. Vi troverete l’energia militante dello scambio di battute fra Tom Morello dei Rage Against The Machine e il miliardario sovranista double standard più orribilmente famoso del pianeta, il piglio ironico e navigato del Bob Ezrin produttore dei Deep Purple maturi e, per coloro che amano un certo modo di fare cultura americana, il pathos melodico e cantautorale made in Oakland di Brad Brooks.
Diciamo che questo è sostanzialmente un disco solista di Wayne Kramer, con la collaborazione di Morello e Brooks, nato da un’idea di Ezrin. Il riferimento agli Mc5 però è tutt’altro che infondato. A parte il diritto che ha ogni artista di porsi in continuità con il proprio passato quando lo ritiene opportuno, ci sono ottime ragioni in un periodo come quello che stiamo attraversando per ritrovare dei vecchi amici che non hanno mai mollato il colpo, che non si sono mai venduti. Con alle porte delle elezioni americane che rischiano di rivelarsi esiziali, ricordiamoci che nel songbook degli Mc5 c’erano parole come queste: "They told you in school about freedom/ But when you try to be free they never let ya/ They said "it's easy, nothing to it"/ And now the army's out to get ya/ Unemployed America in terminal stasis/ The air's so thick it's like drowning in molasses/ I'm sick and tired of paying these due/ And I'm finally getting hip to the American ruse". Si chiama “American Ruse”, il pezzo, e Wayne e Brad ne hanno fatto una cover recente che è un altro degli antefatti necessari a questo nuovo repertorio.
Certo, se vi siete nutriti del mito di un Wayne Kramer anticipatore del nichilismo autodistruttivo generazione ‘75/’77, o se non perdonate a Tom Morello di non avere più 20 anni, potreste rimanere persino infastiditi da un album del genere. Ma la forza di un personaggio come Kramer sta anche nella sua ingenuità. L’onestà intellettuale e senza paletti di brani come “Blessed Release”, o “Barbarians At The Gate” (sull’assalto dei trumpiani alla Casa Bianca) travalica generi ed epoche. Un disco del genere lo ascolti solo se ne hai voglia. Altro da lassù un vecchio rocker un po’ punk e un po’ hippy, un po’ debosciato e un po’ grande saggio come Wayne Kramer non chiede. E meno ancora chiederebbe un Dennis “Machine Gun” Thompson, batterista outsider, nonché ultimo della formazione originaria degli Mc5 ad andarsene, a maggio di quest’anno, anch'egli occasionalmente coinvolto qui.
In questi pezzi Wayne aveva solo una grande voglia di suonare. Pensava di avere ancora tanto tempo davanti a sé e anche così gli sembrava non dovesse bastare. La sua ultima parola è un bell’album di classic rock appassionato e muscolare, da sentire a volume alto e senza indulgere in paragoni che rovinino la festa. Meglio lasciarsi trasportare dall’attacco in grande stile della title track con un Tom Morello in grande forma, molto vicino al suono dei suoi concerti da solista dell’ultimo periodo. La festa prosegue con episodi di buon impatto come “Can’t Be Found” con la partecipazione di Vernon Reid (uno dei brani in cui suona Dennis Thompson), o “The Edge Of The Switchblade” con William Duvall e Slash, fino al gran finale di “Hit It Hard”.
Un abbraccio Wayne. Ovunque tu sia.
18/10/2024