Personaggio atipico della nuova scena jazz inglese, Ruth Goller è una bassista di origini italiane (Bressanone, al confine tra Italia e Austria) ormai radicata a pieno titolo in quel di Londra. Dopo aver mosso i primi passi con il gruppo jazzcore-punk Acoustic Ladyland (band attiva dal 2004 al 2009), si è accordata a Pete Wareham per il progetto Melt Yourself Down. Vanta altresì un ricco curriculum, avendo collaborato con artisti importanti come Alabaster DePlume, Let Spin, Marc Ribot, Rokia Traoré, Shabaka Hutchings, Sam Amidon, Sons Of Kemet, Damon Albarn e perfino Paul McCartney.
Il suo nuovo album, “SKYLLUMINA”, ne conferma il peculiare approccio stilistico e creativo, sviluppando un linguaggio musicale originale e in parte atipico, abbozzato in parte nell’esordio del 2021 “Skylla”. Una più decisa progettualità delinea il nuovo disco di Ruth Goller, il primo per la prestigiosa International Anthem.
Sono infatti molteplici i presupposti di questa nuova opera della musicista italo-britannica. Inquiete armonie affidate a un basso scordato, un pungente tono percussivo dei tasti, gli squillanti timbri metallici degli strumenti e il canto intuitivo e grezzo di Ruth sono pattern già audaci. Ma l’ambizione e il coraggio vanno ben oltre, assoldando un percussionista diverso per ognuna delle dieci tracce.
Il fulcro delle composizioni è racchiuso nel rimbombo sordo e spettrale del basso e nella voce indisciplinata e ammaliante dell’autrice, che come una moderna sirena attira l’ascoltatore in un vortice di ritmi e melodie fluttuanti, che si avvicendano con sghembe regole creative, che con il jazz condividono più la natura free-form che quella puramente accademica.
E’ più facile intercettare similitudini con l’opera di gruppi come i Morphine (la splendida litania slowcore a tinte jazz di “Next Time I Keep My Hands Down”), che le moderne tribolazioni nu-jazz, quest’ultime vividamente percepibili in “She Was My Own She Was Myself”, etereo e quasi mistico dialogo/duetto con l’amica nonché compagna di scuderia Bex Burch.
Le radici jazzcore e punk spuntano vigorose non solo nell’avvincente duetto con il batterista scuola Ecm Emanuele Maniscalco (“How To Be Free From It”), che sfiora linee ritmiche quasi trash-metal, ma anche nella trascendente interconnessione tra folk, alt-prog e musica corale di “All The Light I Have, I Hand To You”, con Max Andrzejewski, batterista della band tedesca Hütte, perfetto complice dell’ennesima alterazione creativa.
Con il fedele basso Mustang e un plettro, Ruth Goller si addentra in oscuri e tenebrosi anfratti sonori, rinnovando il legame con la mitologia greca già protagonista di “Skylla” (la curiosa maschera rituale che appare in copertina), invitando perfino l’ascoltatore a non seguirla - “Don’t Follow Me” - in questo viaggio tra sperimentazione, jazz e geometrie vocali che a qualcuno ricorderà l’album “Medulla” di Bjork (“From Breaks To Shards Its A Short Path”).
Su questa sottile linea di confine, la musica si muove tra inquieti accordi microtonali condivisi con il brio ritmico di un Tom Skinner (Sons Of Kemet, Smile) in gran forma (“Below My Skin”), e tra dialoghi spettrali tra un basso pizzicato e un coro di voci stregate che intercettano lo scintillio ritmico di Mark Sanders fino a renderlo inerme.
Ognuna delle dieci tracce è intrisa di un’inquietante bellezza: vibrafono, limba, gong, sanza e scampoli di elettronica creano deliziosi contrappunti naif, ampliandone le suggestioni quasi horror (“I Have For You - Simple Truth”).
Non è un caso che Ruth Goller, nonostante vent'anni di carriera, abbia intrapreso una parabola discografica cosi sobria. “SKYLLUMINA” è una sfida artistica, un disco che esplora i confini del jazz e dell’avanguardia. Il dialogo con i dieci musicisti coinvolti non è un pretesto puramente concettuale, ma uno stimolante invito per un viaggio tra ombre e luci, tra sogno e dura realtà.
Ambiguità e imprevisto sono il vero motore di un disco tanto originale quanto non facile da approcciare, una musica nella quale vibrazioni, intervalli armonici e derive tonali la fanno da padrone. Ma è da questi gesti creativi che prende spunto l’incerto futuro dell’arte.
16/04/2024