You put the words to a melody and try to make it fit
Sometimes it kills you, but it sets you free
It cuts right through it
(“Too High”)
A volte, gridare è tutto quello che possiamo fare. Gridare finché il respiro regge, gridare fino a restare svuotati. Alan Sparhawk ha ancora bisogno di gridare, ha ancora bisogno di lasciarsi trafiggere dal dolore. Come in “White Roses, My God”, la perdita di Mimi Parker – compagna di tutta una vita e da sempre metà dei Low – resta una ferita da cui non è possibile prescindere. Stavolta, però, l’esito è completamente diverso: se nel disco precedente Sparhawk sembrava voler dissolvere il proprio volto dietro a una maschera di distorsioni vocali, stavolta è nei territori più familiari dell’Americana che si inoltra per ritrovare la propria identità. Con una compagnia fondamentale: quella dei Trampled By Turtles, concittadini di Duluth, amici storici, alfieri del bluegrass contemporaneo.
Non si tratta di un percorso tracciato a tavolino, ma di una porta lasciata aperta alle circostanze della vita: “Come puoi dire di no quando i tuoi amici ti chiedono di cantare con loro?”, confessa Sparhawk. “È qualcosa che può riuscire a distoglierti dal tormentare te stesso”. Ed è proprio l’amicizia la chiave di volta di questo disco: la possibilità di condividere con chi ti sta accanto anche la parte più intima della sofferenza.
“When you flew out the window and into the sunset/ I thought I would never stop screaming”. La voce di Sparhawk è calda e solenne in “Screaming Song”, che del disco rappresenta uno dei vertici emotivi più scoperti. “But I ran out of breath, so I took in some more/ And I started to scream even louder”. Il fiddle annuncia il crescendo di un lamento urticante, e il suo stridore diventa l’urlo di un cuore straziato. Gridare, appunto. Fino a quando il grido non diventa una parte di te, anche nel silenzio.
È possibile trovare la pace, in quel grido silenzioso? “It’s not broken, I’m not angry”, proclamano i versi di “Not Broken”. Il canto, placido e intenso, è quello di Holly Sparhawk, la figlia di Mimi e Alan. La sua apparizione è l’unico modo possibile per dare vita a uno degli ultimi brani a cui i genitori stavano lavorando durante la malattia di Mimi Parker. E quando alla fine le voci di padre e figlia si intrecciano, è difficile non cedere alla commozione.
La tonalità dell’album si rivela subito nell’incipit di “Stranger”: un violoncello minaccioso su cui si apre la più classica andatura dei vecchi Low, innervata da un’orditura di banjo e sostenuta dall’intreccio di archi e voci. Un solo giorno di registrazioni, un approccio spontaneo, la fiducia che si riserva agli amici. Gli aggettivi più appropriati per descrivere il connubio tra Sparhawk e i Trampled By Turtles sono quelli usati nella presentazione del disco: “Collettivo. Comunitario. Fraterno. Empatico”. C’è spazio anche per la rilettura di due brani già presenti in “White Roses, My God”, con la reincarnazione rurale e sognante di “Get Still” ad affiancare il gospel-folk dall’anima corale di “Heaven” (dove persino il paradiso diventa un luogo solitario senza le persone che si amano).
“Non so se sono arrabbiato con Dio o disilluso”, ammette Sparhawk. “Con il lutto, succede di perdere il senso dell’universo, e ci vuole tempo per ritrovarlo. Per accettare che l’universo sia diverso da quello che pensiamo”. Ecco allora innalzarsi la supplica appalachiana di “Don’t Take Your Light”, come un salmo biblico sospeso tra lo scheletro del banjo e il suono di un fiddle ancora una volta esacerbato: “Don’t take your light out of me/ Oh my God, please”, invoca la voce di Sparhawk. Perché, anche quando non vediamo una via d’uscita, possiamo sempre continuare a gridare.
I can be patient
See what I see
I can be hopeful
I can believe
I can be grateful
But be empty
I can feel nothing
I feel everything
(“Don’t Take Your Light”)
04/07/2025