Questa volta Baxter Dury alza l’asticella, capitalizzando le sonorità elettroniche e le picaresche attitudini disco-dance del precedente album “I Thought I Was Better Than You”. Spavaldo come Serge Gainsbourg, poetico come Leonard Cohen, l’artista inglese, già figlio di una figura leggendaria del pub-rock, diventa egli stesso leggenda, o quantomeno un’iconica figura cult di un panorama musicale sempre ricco ma spesso dormiente.
Arruolato Paul Epworth al banco di regia, Baxter Dury aggiunge un altro caposaldo alla sempre più interessante produzione discografica. “Allbarone” è un viaggio nei meandri più oscuri e vibranti della vita notturna europea, un’immersione totale nelle drunk nights scandite da tempi ritmici ossessivi e luci stroboscopiche di bassa lega (la title track). Al sarcasmo e all’ironia dei precedenti album sono subentrati un cinismo e un realismo agghiaccianti, un paradiso-inferno alieno dove i corpi si agitano senza muoversi (“Kubla Khan”), in attesa di nuove forme di edonismo nel quale X e Tinder si confondono in un unicum privo di emozioni (“Schadenfreude”).
Con brani come “Hapsburg” e “Alpha Dog” l'autore si cala nei panni dei Daft Punk con un piglio poetico noir che seduce e sgomenta, mettendo a nudo l’anima sofferente delle vittime della moderna lussuria. Quella lussuria che solo i potenti riescono a domare, quegli “stronzi totali” che l’artista rende protagonisti dell’ottima “Return Of The Sharp Heads”, o ancor meglio quei moderni dei della urban-life che dominano i social media, spacciando deliri romantici per pura emozione (“Mr W4”).
Abile narratore, figura di spicco della scena contemporanea, Baxter Dury usa le armi del miglior hyper-pop, affila il linguaggio spogliandolo del superfluo e supera in perfidia e arguzia Sleaford Mods e affini.
Ballare non è mai stato così inquietante e rischioso: “Allbarone” non è solo un disco, ma uno spaccato della società contemporanea raccontato da una delle menti più lucide e audaci dei tempi correnti.
06/10/2025