Panda Bear torna con quello che è il suo decimo album in studio: lo fa andando ormai per la cinquantina, con più di venticinque anni di carriera alle spalle e a sei anni dall’ultimo lavoro da solista; nel mezzo, l’album collaborativo con Sonic Boom del 2022 e altri due lavori con i tre colleghi dell’Animal Collective, e cioè “Time Skiffs” (2022) e “Isn’t It Now?” (2023).
Parliamo quindi di un musicista navigato, ex-profeta di quello che una volta si chiamava indie – con tutte le accezioni possibili del temine – e che della crescita e popolarizzazione del genere è stato fautore e testimone a suo tempo sia come parte del quartetto tanto amato dagli “hipster” – specie nella fase di “Merriweather Post Pavilion” – sia con i suoi propri album.
Che Panda Bear fosse, sia e rimanga il più famoso dei quattro dell’Animal Collective, certo anche quello che vanta maggior popolarità presso il “grande” pubblico, non è dovuto solo al fatto che le sue produzioni sono di norma particolarmente accessibili e accoglienti anche per chi non ama il folk alternativo o l’elettronica minimale sperimentale. C’entrano anche le numerose collaborazioni di Noah Lennox: dai Daft Punk nel lontano 2013 a Solange Knowles fino a Flume e più di recente Jamie XX. Un notevole bagaglio di esperienze che si unisce a una reputazione importante, quella di un musicista schivo e capace, divenuto eroe della scena da cui è sorto pur rimanendo in un certo qual modo “di nicchia”.
Tutto si ritrova in questo nuovo album, “Sinister Grift”, nel quale la prima cosa che Lennox fa è accodarsi alla tendenza contemporanea che vede un ritorno a strumenti acustici e suoni “analogici”: il risultato è un folk psichedelico e nebbioso con atmosfere e trattamenti eterei che lo rendono sognante e morbido all’ascolto.
Mentre la differenza non potrebbe essere più palese rispetto al sound indie-synth alternativo di 10 anni fa – in “Panda Bear Meets The Grim Reaper” (2015), in particolare – si può dire che l’autore guardi ai cambiamenti della scena oppure, allo stesso modo, che sia preso da profonda nostalgia. Non è difficile, infatti, ritrovare i suoni di questa tracklist nei suoi primi lavori degli anni 00, e anche in quelli assieme ai tre colleghi.
Si tratta quindi di un Panda Bear invecchiato e nostalgico o ringiovanito ed entusiasta? Poco importa, perché “Sinister Grift” è un disco solido e coinvolgente, pur nella sua pacatezza, che del resto Lennox si può tranquillamente permettere: a questo punto della carriera e con quello che ha alle spalle, è in grado di fare quello che vuole e ne ha pieno diritto.
Ecco quindi canzoni come la nebulosa e riflessiva “Anywhere But Here”, la scanzonata e molto pop “50mg”, l’acida e lisergica “Just As Well”. La beatlesiana “Ferry Lady”, invece, spicca come pezzo più incisivo dell’album assieme a “Defense”, duetto profondo ma anche alienante con Cindy Lee – che tanto ha fatto discutere l’anno scorso con il suo opus folk lo-fi “Diamond Jubilee”.
Nota a margine per “Venom’s In”, brano dall’atmosfera decisamente più ombrosa rispetto al resto delle canzoni – in media piuttosto “allegre” – e che suona quasi come qualcosa scritto da Neil Young o Stephen Stills a inizio anni 70. Insomma, di spessore e di idee in questa tracklist non c’è certo penuria, anzi.
Nel disco si ritrova molta tradizione folk, da Tim Buckley a Mac DeMarco, e nel mentre Lennox si preoccupa di ricreare le armonie vocali nello stile esplorato con Avey Tare, Deakin e Geologist, al punto che se si ascoltassero queste canzoni senza sapere che sono “solo” sue, si potrebbero tranquillamente scambiare per composizioni del collettivo stesso.
In definitiva, “Sinister Grift” è dunque un lavoro molto ben riuscito che riprova la statura di un artista affermato, rispettato e da rispettare, in grado di realizzare buona musica anche con decadi di carriera dietro di sé e suonando perfettamente leggero e a suo agio nel farlo. In più, piacerà sicuramente anche ai fan degli Animal Collective, cosa che a metà anni 20 è sicuramente una qualità non scontata.
06/03/2025