Autore: Carlo Bordone
Titolo:
Editore: Vololibero
Collana: Soul Books
Pagine: 114
Prezzo: Euro 12Sugli scaffali della nostra biblioteca ideale incontriamo questa volta l’illuminata penna di Carlo Bordone, sabaudo critico musicale fra i più preparati e onnivori, al servizio della collana “Soul Books” di Vololibero, incentrata sui grandi nomi della musica soul.
Nell’agile volumetto biografico dedicato a Curtis Mayfield, uno dei massimi rappresentanti della consapevolezza e dell’orgoglio afroamericano, viene setacciata in maniera snella ed efficace l’intera parabola artistica del musicista di Chicago (classe 1942), partendo dagli esordi condivisi con gli Impressions, passando per i grandi successi da solista, fino al graduale offuscamento dell’astro creativo.
Il racconto parte dai primi anni di vita di Curtis, indagando la sua formazione musicale, intervenuta fra le “storefront churches” (dove sperimenta il meccanismo del “call and response”), il gospel delle messe domenicali e le radio che diffondono le ultime sensazioni pop e r&b alla base di molti suoi brani futuri.
Dopo una breve infatuazione per il pianoforte, la chitarra diviene presto lo strumento prediletto, alla quale accosterà un orecchio formidabile e un falsetto angelico (che anticiperà, fra gli altri, un certo Prince), perseguendo col tempo l’obiettivo di scrivere musica nera in grado di piacere anche ai bianchi e raggiungendo primi importanti risultati nel milione di copie vendute già dal 45 giri d’esordio, “For Your Precious Love”, pubblicato nell’estate del 1958.
Da lì in poi il ritmo produttivo e la qualità dei dischi saranno per anni straordinari, mostrando la capacità di arrivare al cuore con semplicità e raffinatezza; negli anni 60 i suoi testi fotografano un paese diviso dalla guerra in Vietnam e dai conflitti socio-razziali, dando voce al difficile cammino del movimento per i diritti civili, tanto che alcune sue composizioni diventeranno inni delle Black Panther.
Negli Impressions le radici gospel e la matrice religiosa si sposano con il linguaggio pop per dar vita ad alcuni fra i più importanti statement sociali e politici dell’epoca, canzoni immortali come “Keep On Pushing” e “People Get Ready”, uno dei singoli di riferimento della musica nera degli anni Sessanta, fino a quella vera e propria chiamata alle armi che fu “We’re A Winner” (1968).
Nel 1970, a 28 anni, Mayfield decide di proseguire in solitudine la propria avventura artistica, con il fulminante esordio “Curtis”: da qui il racconto di Bordone prosegue raccontandoci la carriera solista di Mayfield, i suoi successi, la lungimiranza nel creare etichette discografiche di proprietà con le quali agire autonomamente come artista, Curtom in primis, che per oltre un decennio rappresenterà uno degli emblemi del grande potenziale della musica black.
Riviviamo la sua capacità di anticipare il funk e la disco music, di inventare la blaxploitation, di dar vita a esibizioni live intensissime, di interpretare la coscienza nera in maniera proattiva, chiedendo di “muovere il culo” senza aspettare il Giorno del Giudizio”, con l’innata capacità di descrivere scene di ordinaria quotidianità trasportandole su un piano universale.
Da “Move On Up” a “Superfly”, da “Future Shock” a “Kung Fu”, per anni Mayfield non sbaglia un colpo nonostante l’iper-produttività, poi sopraggiunge il fisiologico calo d’ispirazione, arrivano album di transizione senza che Curtis riesca mai a cambiare marcia davvero, e a poco serviranno collaborazioni importanti, numerose colonne sonore e il poco fruttuoso legame con la Warner Bros.
Lentamente la sua musica non verrà più percepita come un esempio di crossover, perdendo gradualmente appeal, soprattutto presso il pubblico bianco, complici i mutamenti socio-politici, la fine delle utopie e il ricambio generazionale del pubblico, in un mercato musicale che sta cambiando pelle: l’immagine da intellettuale nero e di cantore dei diritti civili non può non pesare come una zavorra in un ambito che va chiedendo a gran voce disimpegno e luci colorate.
Dalla metà degli anni 70 ogni disco di Mayfield venderà sempre meno, gli anni 80 scorreranno via senza acuti, fino a quel tragico 13 agosto 1990, quando durante un festival r&b di New York una delle strutture metalliche sulle quali erano montate le luci si stacca crollando sul palco e centrando Curtis in pieno.
Due vertebre spezzate, paralisi totale dal collo in giù, numerosi interventi chirurgici che non riusciranno a modificare la situazione, nove anni di calvario complicati dal diabete che porterà persino all’amputazione di una gamba nel 1997, l’incisione dell’epitaffio “New World Order” e la morte che sopraggiunge il 26 dicembre 1999, a pochi giorni dal nuovo millennio: termina così la parabola di questo “genio gentile”, artista fra i più grandi della cultura afro-americana della fine del Novecento.
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