Autore: Federico Guglielmi - Elena Raugei
Titolo: Hai paura del buio?
Editore: Il Mucchio editore
Pagine: 96
C'è chi lo ha amato dal primo minuto, chi ha imparato ad apprezzarlo col tempo, chi tuttora lo considera un lavoro sopravvalutato. Ma difficilmente si potrà negare che "Hai paura del buio?" sia uno dei dischi cardine dell'indie-rock italiano.
Ammetto di essere fra coloro che hanno rivalutato il progetto ex-post, ma pur preferendo all’epoca le sonicità dei Marlene Kuntz e le derive bristoliane degli Almamegretta, ritengo oggi gli Afterhours la band italiana fondamentale per eccellenza, tesi rafforzata dal cammino che seguì "Hai paura del buio?", ma che già in quegli anni iniziò nitidamente a delinearsi.Federico Guglielmi ed Elena Raugei inaugurano con questo libro snello ed efficace (al momento acquistabile soltanto on line) una collana incentrata sui grandi album del rock italiano; un disco variegato e multiforme come "Hai paura del buio?" si presta perfettamente all’esercizio, anche grazie alle particolari e irripetibili condizioni che lo generarono.
Il discorso è calato dagli autori nell’ambiente di riferimento: siamo nella seconda metà degli anni 90, un periodo che portò in seno disillusioni sia politiche (l’inutilità della fine della Prima Repubblica, tanto restava tutto uguale) che musicali (la fine del grunge, la mancanza di nuove correnti musicali davvero stimolanti).
Ma in quegli anni il successo stratosferico ottenuto da Nirvana e Pearl Jam, tanto per citare i casi scuola, portò molte label a guardare con maggiore attenzione verso gli scenari musicali alternativi, e in Italia lungimirante fu il lavoro svolto da Consorzio Produttori Indipendenti, Vox Pop e Mescal.
Gli Afterhours provenivano da una lunga gavetta fatta di locali mezzi vuoti ma anche di incoraggianti recensioni, di strategie d’aggressione del mercato internazionale attraverso l’utilizzo della lingua inglese e di continui rimescolamenti di formazione (tuttora una costante nella storia del gruppo) in grado di portare rigeneranti ventate di freschezza.
Già due anni prima con "Germi" si sterzò verso l’uso dell’italiano, e la band trovò una propria stabilità nel terzetto formato da Manuel Agnelli, Giorgio Prette e Xabier Iriondo (mai più in perfetta sintonia come in quei giorni), con in aggiunta la figura di un ancora giovanissimo Dario Ciffo, il quale già si affacciava prepotentemente alla ribalta.
La situazione per gli Afterhours si presentava però da ultima spiaggia, privi di un’etichetta intenzionata a pubblicare il progetto (che prendeva lentamente forma presso gli studi milanesi Jungle Sound), colpiti da disavventure sentimentali e incertezze sul proprio futuro.
Tutto ciò si trasformò in una spinta di inestimabile potenza, e diede alla band gli stimoli necessari per portare avanti un lavoro in grado di sintetizzare i propri stati d’animo e la voglia di produrre qualcosa che rompesse con le convenzioni musicali consolidate.
Gli autori ricostruiscono la genesi di quelli che diventarono con il tempo veri e propri inni generazionali ("Male di miele", "Rapace"), di coraggiosi sperimentalismi ("Senza Finestra", "Simbiosi"), di irripetibili gioielli pop ("Voglio una pelle splendida", "Lasciami leccare l’adrenalina") e di vere e proprie scariche elettriche ("Dea", "Sui giovani d’oggi ci scatarro su") che ancora oggi costituiscono valori aggiunti imprescindibili di qualsiasi live act degli Afterhours.
La cronaca degli eventi si intreccia alla perfezione con gli interventi dei protagonisti in prima persona, in un libro che non ha la pretesa di sviscerare analiticamente la ricercata poetica di Agnelli, ma che ci regala una raccolta di sfiziosi aneddoti relativi ai momenti di gestazione dell’album, oltre a curiosi "dietro le quinte".
Così veniamo a scoprire una sfilza di gustose chicche, quali chi fosse il vero sperimentatore all’interno band, chi ispirò almeno la metà dei testi, l’importanza di Fabio Magistrali e Paolo Mauri (rispettivamente responsabili della registrazione e del mixaggio dell’album) nell’economia sonora dell’opera e l’occupazione extramusicale di Manuel fino a quel momento.
Prezioso corollario, le positive recensioni pubblicate dai principali magazine musicali dell’epoca, che ricostruiscono le sensazioni del momento e non soltanto quelle indotte dal senno di poi.
Degno complemento di un disco italiano fra i più importanti degli ultimi anni, queste 96 pagine dense di informazioni (che vi consiglio di gustare con il cd in sottofondo) si leggono tutte d’un fiato e vi apriranno gli occhi su una moltitudine di aspetti colpevolmente sfuggiti ai ripetuti ascolti delle succosissime diciannove tracce audio che compongono il progetto finale.
"Hai paura del buio?" fu un miracolo inconsapevole; certe cose, se le programmi, non si realizzano.