Moody Blues

Nights In White Satin

Moody Blues – Nights In White Satin
(1967 - Inclusa nell'album "Days Of Future Passed", Deram, 1967)

 

È ormai diventata una mania affibbiare alle hit l’etichetta di instant classic. Come se la classicità dovesse equivalere per forza a una consacrazione nell’immediato, contestuale e imperitura al tempo stesso. Non andò esattamente così, per questo superclassico degli inglesi Moody Blues. Considerato dai dirigenti della Deram troppo lungo (7’37’’ nella versione dell’album “Days Of Future Passed”) e lento per le mode dell’epoca, “Nights In White Satin” ebbe bisogno di tempo per spazzare via ogni diffidenza, entrando poi in classifica dal 1968 al 1979 in tre diverse occasioni e conquistandosi un posto nella hall of fame delle canzoni immortali.
In quel 1967 foriero di tante rivoluzioni nel rock, uscirsene con un singolo di quella durata era ancora tabù. “Nights In White Satin” venne quindi tagliuzzato in due diverse single edit, entrambe prive del contributo orchestrale predominante nella versione su Lp (chiusa dal poemetto di Graeme Edge “Late Lament”). La prima (3’06’’), accreditata a “Redwave”, è una sintesi fin troppo succinta, la seconda, firmata del chitarrista Justin Hayward (4’26’’), si mantiene invece più fedele all'originale. Sarà proprio quest’ultima ad aprire la breccia nelle chart europee: n.1 in Francia per 4 settimane e in Olanda per due, n.6 in Svizzera. Non in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, però, dove bisognerà attendere lo sdoganamento del minutaggio lungo ad opera dei Beatles (“Hey Jude”) per dare il La alla scalata: riedita nel 1972 in versione extended, “Nights In White Satin” salirà fino al n.9 in madrepatria e al secondo gradino del podio Usa.

Moody Blues - Nights In White SatinMa che cos’è questa malleabile creatura musicale, restringibile e allungabile a piacimento dei discografici, eppure sempre fascinosa? Non è una canzone pop – almeno nel senso più classico del termine – ma non è neanche “la prima canzone prog”, come alcuni vorrebbero farla passare. È uno di quei rarissimi prodigi di ibridazione “ante-litteram”, esperimenti che nascono quasi per caso, eppure centrano il traguardo definitivo. In questo caso, quello di rivoluzionare il canone della canzone pop, spostando il baricentro dall’essenzialità del nocciolo (il ritornello) alla magnificenza del contorno (gli arrangiamenti, la veste orchestrale). E il merito, oltre ai Moody Blues, va al loro straordinario strumento-principe, celebrato qui su OndaRock con un apposito speciale: il mellotron. Il geniale congegno ideato nel 1963 da Nick Awde, nelle mani del tastierista Mike Pinder, assume il suo ruolo più tipico, che avrebbe poi contraddistinto l’intera epopea progressive, quello di tappeto orchestrale avvolgente, in grado, nella fattispecie, di sostituire un’intera sezione d’archi. Non è solo un trucco: la band di Birmingham riesce a carpire tutte le potenzialità dello strumento, al servizio di un epos romantico e disperato, in cui giocano un ruolo decisivo anche il canto struggente di Hayward (uno degli interpreti più sottovalutati della storia del rock) e armonie vocali degne delle opere lirico-sinfoniche.

Le notti in raso bianco sono quelle dell’amore perduto o mai corrisposto, del rimpianto e dello sconcerto (“Just what the truth is/ I can’t say anymore”). Sono il tempo delle confessioni mai fatte, delle lettere scritte e mai inviate (“Letters I’ve written, never meaning to send”). Un amore inespresso che si consuma in un sospiro, in quell’ I love you di un ritornello tanto breve quanto drammatico, in cui Hayward sale bruscamente di registro: l’agonia, enfatizzata dagli arrangiamenti orchestrali e dalle armonie vocali riverberate, si stempera poi nella magia dell’assolo di flauto di Ray Thomas, preludio alla ripresa della stessa struttura bridge-chorus, con i colpi di batteria finali a sottolineare l’epilogo, che è poi quello dell’intero Lp. “Nights In White Satin”, infatti, segna l'ultima fase, la notte, di un concept-album (“Days Of Future Passed”) che parte dall'alba per seguire, brano per brano, un’intera giornata.

Moody Blues - Nights In White SatinCostruita come ballata in mi minore con tanto di accordo napoletano, “Nights In White Satin” è una canzone semplicemente perfetta, calibrata in tutti i suoi elementi, dalle semplici trame di chitarra che accompagnano i versi alla maestosità del mellotron, fino agli interventi sinfonici della London Festival Orchestra diretta da Peter Knight (esclusi, però, nella versione su 45 giri).
Poi, come spesso accade, si scopre che dietro tanto splendore si cela un banale episodio di vita quotidiana, nel caso specifico un regalo ricevuto dall’allora diciannovenne Hayward: un set di lenzuola in raso bianco. Spunto prosaico per una riflessione sinceramente autobiografica, “un flusso di pensieri sparsi”, come tenne a sottolineare lo stesso Hayward, rievocando quel “periodo di profonda emozione per la fine di un grande amore e l’inizio di un altro”.
Ma se le stagioni dell’amore del buon Justin sono il pretesto, a donare l’immortalità al brano è il suo respiro universale, il suo senso di malinconia e di solennità, sempre a rigorosa distanza di sicurezza da quei patetismi melodrammatici che avrebbero poi minato parte della successiva produzione prog. Perché, in fondo, i Moody Blues erano un gruppo pop (anzi, originariamente persino rhythm and blues, come da nome) che usò le strutture del progressive al servizio della sua vis melodica. Eppure, posero una pietra angolare sulla musica di un evo intero.

Moody Blues - Nights In White SatinA ulteriore testimonianza dell’immortalità del brano, la costante riproposizione in ogni epoca e contesto (specie nelle colonne sonore cinematografiche, da “Casino” di Scorsese a “Dark Shadows” di Burton), oltre alla sfilza di cover: dalla versione italiana col titolo di "Ho difeso il mio amore" - incisa nel 1968 dai Nomadi e dai Profeti – alle edizioni della cantante francese Dalida (“Un po’ d’amore” del 1968, con testo italiano di Daniele Pace) e del brasiliano Eumir Deodato (nell’album “Deodato 2”, 1973), fino alla dissacrante versione disco di Giorgio Moroder (l’intera prima facciata dell’album "Knights In White Satin", 1976) e alle ultime propaggini più o meno kitsch, in salsa dance e prog, targate rispettivamente Sandra (in “Fading Shades”, 1995) e Transatlantic (in “Kaleidoscope”, 2014).
Una canzone che è una storia infinita. Nights in white satin, never reaching the end. Già, proprio così.

Nights in white satin
Never reaching the end
Letters I've written
Never meaning to send

Beauty I'd always missed
With these eyes before
Just what the truth is
I can't say anymore

'Cause I love you
Yes, I love you
Oh, how, I love you

Gazing at people
Some hand in hand
Just what I'm going through
They can understand

Some try to tell me
Thoughts they cannot defend
Just what you want to be
You will be in the end

And I love you
Yes, I love you
Oh, how, I love you
Oh, how, I love you

Nights in white satin
Never reaching the end
Letters I've written
Never meaning to send

Beauty I'd always missed
With these eyes before
Just what the truth is
I can't say anymore

'Cause I love you
Yes, I love you
Oh, how, I love you
Oh, how, I love you

'Cause I love you
Yes, I love you
Oh, how, I love you
Oh, how, I love you



Discografia

Ascolta "Nights In White Satin"

Moody Blues - Nights In White Satin
















45 giri (Deram)
Pubblicazione: 10 novembre 1967

Autori: Justin Hayward
Produttore: Tony Clarke
Durata: 7:38 (album) - 3:06 (single edit #1) - 4:26 (single edit #2)

Cover


I Profeti (Ho difeso il mio amore)
(1968)

I Nomadi (Ho difeso il mio amore)
(1968)

Dalida (Un po' d'amore)
(1996)

Deodato
(1973)

Giorgio Moroder (Knights In White Satin)
(1976)

The London Symphony Orchestra
(1977)

Nancy Sinatra
(1995)

Jennifer Rush
(1995)

Sandra
(1995)

God Is An Astronaut
(2002)

Tori Amos
(2003)

Transatlantic
(2014)

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