Le due fasi degli Ultravox (con e senza punto esclamativo) sono al centro della nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i martedì dalle 23 alle 01 su Radio Città Aperta (Fm 88.9 a Roma o in streaming qui).
Epici e decadenti, eleganti e malinconici, gli Ultravox hanno colorato la new wave delle tinte astratte dell'elettronica, aprendo la strada alla stagione del synth-pop e ai movimenti "new romantic" dei quali sono rimasti sempre all'avanguardia. Con due distinte stagioni - l'era-Foxx e l'era-Ure - legate da un filo rosso di continuità ed entrambe, per motivi diversi, fondamentali.
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Ultravox - parte 1
Ultravox - parte 2
Avanguardisti e melodici, proiettati nel futuro, ma prigionieri di uno spleen romanticamente nostalgico, gli Ultravox hanno incarnato una delle esperienze cardinali dell'intera new wave. Il loro sound futurista e decadente, figlio dell'elettronica pionieristica di Brian Eno e Kraftwerk, ha assorbito il profumo del glam-rock (David Bowie, Roxy Music) e l'inquietudine del punk, aprendo la strada alla stagione del synth-pop e ai movimenti "new romantic", dei quali è peraltro rimasto sempre l'ineguagliato vertice. Al termine di una gloriosa - e sempre sciaguratamente sottovalutata - carriera ventennale, gli Ultravox potranno vantarsi di aver traghettato l'elettronica nella new wave, di aver riportato in auge un sinfonismo melodico art-rock, degno di istituzioni progressive come Genesis e King Crimson, e di aver dato voce all'angoscia esistenziale di una generazione che non si è mai riconosciuta nei vacui idoli degli anni Ottanta
Due sono le stagioni in cui va suddivisa la storia degli Ultravox: quella sperimentale-robotica segnata dalla leadership di John Foxx (1974-1979) e quella più melodico-romantica che ha seguito l'avvento al timone di Midge Ure. Entrambe, per motivi diversi, sono fondamentali. Diffidate, dunque, di tutti coloro che sciorinano il nuovo, nauseante cliché, quello di una presunta deriva commerciale della seconda fase della band, rea unicamente di aver messo il naso nelle classifiche: sono quelli che, degli Ultravox targati 80, vi citeranno sempre i soliti tre hit, ignorando crassamente tutto ciò che dietro "l'oro finto" (secondo l'ultima, triste definizione di Bertoncelli) luccicava davvero. Sono gli stessi che teorizzano la prostituzione commerciale dei Kraftwerk post-"Autobahn", rinnegando persino i propri teoremi sulla capacità d'innovazione come principale merito artistico (se la band di Dusseldorf ha influenzato moltitudini di band, è proprio per la sua produzione "techno-pop"). Insomma, i soliti talebani della critica, quelli che alla pazienza dell'ascolto e della riflessione, preferiscono la rapidità del luogo comune.
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1. Dangerous Rhythm |