Considerati i Pink Floyd della musica psichedelica americana per il loro valore seminale, i Thirteenth Floor Elevators sono sì autori di uno dei capolavori assoluti della musica rock, ma anche il più tormentato ensemble degli anni Sessanta. L’eccesso di filosofie psichedeliche e l’uso smodato di droghe creò subito scissioni all’interno del gruppo: l’effetto di queste disavventure non fu istantaneo sulle sorti della loro musica, anche se dopo “Easter Everywhere” le loro uscite discografiche appartengono al settore speculativo dell’industria.
Il talento del loro leader Roky Erickson e la sua ostinazione per una musica che valicasse i confini terreni sono stati l’elemento di distinzione per la band texana, ma anche il punto debole che ha trascinato la loro avventura verso una fine prematura: l’alieno Erickson si trova infatti a lottare per anni con la schizofrenia e problemi legali, pur restando tenacemente ancorato alla sua voglia di fare musica, ma i suoi tentativi di ricucire la band crollano definitivamente nel 1978 con la morte di Stacy Sutherland.
Quando nel 1980 viene pubblicato in Inghilterra il suo primo album come Roky Erickson And The Aliens (registrato due anni prima), il fascino della voce è ancora intatto, nonostante la musica sia scivolata verso toni più convenzionali. Il suo è un rock acido e visionario che accoglie storie di zombi e vampiri che sembrano terreni, una sequenza di brani corrosivi che tra voodoo-blues, hard-rock alla Blue Öyster Cult e stralci di psichedelia vanno a formare le basi di un rinnovato culto.
Il percepibile richiamo, tanto voluto quanto inevitabile, anche ai Kinks, ai Creedence Clearwater Revival e ai Yardbirds, nonché il naturale distacco dalla psichedelia della band di Austin sono comunque il frutto di un’indole pop-rock che già traspariva dal suo grande successo “You’re Gonna Miss Me”, scritta nel 1965 per gli Spades (primo gruppo di Roky) e poi punto di forza dello storico album dei Thirteenth Floor Elevators.
Il quadro generale che la pubblicazione di questi tre ristampe di Roky Erickson mette insieme è molto complesso. Il mito che regge le fila della sua immagine pubblica è ancora forte e difficile da scalfire: non è bastata la pubblicazione confusionale negli ultimi vent’anni di album, compilation e live recording a mettere in discussione la sua creatività, tanto che essa riesce ad evidenziarsi anche nei passaggi più stralunati di “Don’t Slander Me” (il meno interessante del lotto). La Lights In The Attic mette però finalmente ordine tra tutte le versioni dei primi due album (“Rocky Erickson” e “The Evil One”), riunendo i brani nati da un'unica session del 1977 in un solo progetto.
Le critiche poco benevole che accolsero gli album impedirono all’energico rock’n’roll di Erickson di trovare un posto adeguato nella storia del rock, e di dare il giusto assetto alla sua produzione: le session del 1977-78 con Stu Cook restano comunque il miglior risultato ottenuto da Roky, per grandi canzoni che danno corpo a un repertorio che si trascina fino ai nostri giorni.Il favoloso rock’n’roll alieno di “I Walked With A Zombie”, il rock-blues da brivido di “Creatures With The Atom Brain” e il trascinante rock-psichedelico di “The Wind And More” valgono da sole quanto un ottimo album dei Rolling Stones. Come si può poi ignorare la presenza di “Bloody Hammer”, riportata alla ribalta dai Queens Of The Stone Age o di “Two Headed Dog-Red Temple Prayer”, uno dei brani più suonati dai chitarristi del globo terrestre e non?
Stu Cook, il bassista dei Creedence Clearwater Revival che ha prodotto il materiale dei primi due album pubblicati, racconta di un uomo non violento ma instabile, appassionato di musica, innamorato di Little Richard, James Brown e di teorie fantascientifiche (pensava di essere posseduto dagli alieni): la sua musica è infatti corrosiva, cruda, piena di scorie ma sempre melodica e ricca di intuizioni geniali.
Il problema di Roky Erickson è comunque il suo mito: quando fu arrestato per droga preferì essere preso per pazzo pur di evitare il carcere, ed è lui l’uomo che rivolgendo lo sguardo indietro disegnò la sua mente come "la superficie di un lago ghiacciato, sotto la quale le forme del passato sono solo vagamente visibili". La pubblicazione di questi tre album permette di rivalutare un talento mistificato dalla sua travagliata storia personale.
“Gremlins Have Pictures”, raccogliendo frammenti live dal 1975 al 1982 dà un’immagine ancor più ricca e intrigante del suo essere musicista; la versione acida di “Heroin” dei Velvet Underground e molte delle live version dei brani inclusi nel suo esordio solista sono anche più coinvolgenti degli originali. I break acustici (valga su tutti “I Have Always Been Here Before”) anticipano pure il lo-fi di molti songwriter, anche se Roky possiede una voce e un carisma che, mi spiace segnalarlo, latita in molti dei suoi seguaci.
Insomma, grazie alla Lights In The Attic per queste tre ristampe, perché finalmente la leggenda di questo musicista ha qualcosa di solido su cui cominciare a costruire il suo mito come musicista, e non solo come un folle psicopatico dalla vita stravagante. Non temete di approcciare la sua musica immaginandola ostica e esitante, in queste tre ristampe c’è sangue, sudore e lacrime, una voce forte di quella instabilità emotiva di una generazione che cercava se stessa anche a costo di perdersi.
L’uso massivo di Zyprexa e la continua falsificazione di amici e parenti ha forse trascinato Roky Erickson in uno stato confusionale che era solo conseguenza di uno stress: il suo ritorno sulle scene degli ultimi anni e le collaborazioni con Mogwai e Okkervil River sono solo un altro atto di una storia che per fortuna non è ancora al capitolo finale.