Otis Redding

Pain In My Heart, i dolori del giovane soulman

Otis Redding, destinato a divenire una colonna della musica soul, fino alla sua prematura scomparsa in un incidente aereo nel 1967, inizia la sua carriera discografica in America nel 1960 come interprete rhythm’n’blues capace di suscitare interesse per l’emozionante uso fatto del suo strumento: la voce. Un canto che si inserisce con grande padronanza a metà tra il registro grave e quello acuto, basato su di un tono sofferto, denso di meravigliosa forza espressiva.

A seguito di una manciata di singoli, recepiti con moderato entusiasmo dal pubblico, nel marzo 1964 viene pubblicato il suo primo Lp: “Pain In My Heart”. Il disco raccoglie brani usciti nel 1962 e ’63 sotto forma di 45 giri, completati da registrazioni sempre appartenenti a quel periodo, ma fino ad allora rimaste inutilizzate.
In tutto le dodici canzoni raggiungono la mezz’ora di durata, in linea dunque con gli album della prima metà degli anni 60. Esse ebbero un apprezzamento limitato negli Usa (103º posto in classifica, 20° in quella riservata agli artisti di colore), ma al contempo ottennero maggiore risonanza nel Regno Unito (28°).
Una conseguenza di questo inaspettato risultato commerciale conseguito in Inghilterra riguarda la title track (“Pain In My Heart”), un rhythm’n’blues scritto nel 1963 da Alllen Toussaint appositamente per Redding. Il pezzo ispirerà infatti i Rolling Stones, che in quel momento erano nelle prime fasi della loro carriera. L’alternarsi tra la strofa intensamente melodica e il ritornello dalle ritmate ripetizioni vocali (“Come back! Come back! Come back, baby!) sarà prontamente ripreso in studio di registrazione dalla celebre band inglese pochi mesi dopo averla ascoltata in questo Lp.

La natura della musica contenuta nel primo lavoro del cantante originario di Dawson, Georgia, è da collocare entro i confini del rhythm’n’blues. La struttura generale del disco prende forma dall’avvicendamento tra ballad intrise di profondo sentimento e ritmi più incalzanti e concitati. Una dicotomia che, a partire da questo esordio, accompagnerà Redding lungo tutta la sua storia artistica, divenendone un tratto distintivo.
Ampia importanza va attribuita alla funzione svolta dalle dodici tracce nell’ambito della transizione tra il genere rhythm’n’blues e il soul. Un passaggio molto rilevante per la storia della musica, annunciato negli anni 50, giunto a completamento proprio nel corso del 1964 (convenzionalmente con “My Girl” dei Temptations) e che vide Redding tra gli assoluti protagonisti. Il contesto nel quale si verifica questa suggestiva dinamica musicale era quello dei cantanti che, proprio come Otis Redding, intravidero e, in seguito, portarono a compimento una svolta artistica nel senso della modernità per dare nuovo e più ampio respiro al rhythm’n’blues.

Otis Redding - Pain In My Heart


Con il 33 giri “Pain In My Heart” il musicista americano è pienamente coinvolto in questo processo creativo, nel quale svolge quindi un ruolo sostanziale (insieme a figure come i Temptations, Aretha Franklin e Solomon Burke). L’arte canora di Redding, e dei brani da lui qui interpretati o scritti, affretta quindi in maniera determinante la fondazione del genere soul, un merito che verrà definitivamente e sontuosamente esplicitato negli Lp che Redding registrerà nel corso del 1965, ’66 e ‘67.
In questo album ravvisiamo, in particolare, l’emergere di due elementi sonori fondamentali per la transizione dal rhythm’n’blues al soul, sebbene essi siano dispiegati in modo ancora non del tutto completo.
Il primo riguarda la dimensione strumentale ed è rappresentato dall’arrangiamento dei fiati. Essi delineano temi e melodie suggestivi a commento della voce, affrancandosi così dalla stretta collaborazione con la sezione ritmica e privilegiando un approccio al suono estroso e dinamico. I fiati non sono più un elemento ritmico secondario o un sottofondo d’atmosfera, come accadeva nel rhythm’n’blues, ma diventano un fattore attivo nella creazione della musica e del feeling complessivo trasmesso dai brani. Questa differenza, che possiamo udire chiaramente nell’album di debutto di Redding, segna uno spartiacque decisivo nella nascita del soul, con effetti indiretti anche su altri ambiti musicali e conseguenze sonoro che attraversano i decenni giungendo fino ai giorni nostri.
Il secondo elemento che connota l’evoluzione musicale verso il soul, e che possiamo scorgere in questo album, riguarda le parti vocali. La voce di Redding attinge agli episodi più melodici del rhythm’n’blues (Sam Cook, il doo wop etc.) combinandoli con un approccio più moderno, animato e intraprendente. Da questa fusione deriva una linea vocale allo stesso tempo estremamente espressiva e vivacemente entusiasmante, la quale mira a suscitare una trascinante emotività nell’ascoltatore e a mettere in luce l’“anima” (appunto “soul” in inglese) della musica invece della performance qualitativamente e tecnicamente intesa.
D’altro canto, il rhythm’n’blues includeva al suo interno anche tipologie di canzoni maggiormente ruvide, basate su di un ritmo veloce e su parti vocali penetranti, potenti e graffianti. Redding attinge anche da questa seconda modalità interpretativa, facendo però attenzione a filtrarla attraverso la propria sensibilità. In questo caso, l’avvicinarsi del soul è identificabile nel mantenimento di una pulizia del suono e della voce che non diminuisce il coinvolgimento dell’ascoltatore, ma smussa gli aspetti più spigolosi della varietà di r’n’b appena descritta.

Fra le composizioni che scorriamo in “Pain In My Heart”, “Something Is Worrying Me”, “Security” e “That’s What My Heart Needs” ci consentono di ascoltare nella pratica quanto appena descritto riguardo i fiati e la voce, trasportandoci direttamente nel laboratorio musicale dove stava nascendo il genere soul. Il cantante opera in modo cruciale anche dal punto di vista compositivo allo sviluppo di questa nuova categoria musicale; va notato infatti che le tre canzoni citate sono scritte da Redding stesso (cinque in tutto i pezzi dei quali è autore nel disco).
Tra i pezzi del disco che rimangono più vicini al rhythm’n’blues, citiamo invece la movimentata “Hey Hey Baby” (uno dei primi brani scritti da Redding nel 1962). Con il suo avanzare rapido e battente, il canto sferzante e la sua struttura semplice, questa traccia ci mostra il punto di partenza r’n’b dal quale aveva preso un promettente ed elettrizzante abbrivio la carriera di Redding.
Anche la cover di “Stand By Me” di Ben E. King del 1961, il quale esercitò una importante influenza sulla voce del cantante di Dawson, Georgia, rientra nella parte dell’album più ancorata alla categoria musicale rhythm’n’blues. Pur rimanendo vicina all’originale, la versione di Redding introduce un arrangiamento sostenuto dalle dinamiche pulsazioni di basso elettrico e batteria, con la gradita novità dei fiati a rimpiazzare gli affettati e romantici archi fin troppo presenti nel singolo di King. “I Need Your Lovin’”, un’altra cover, questa volta di Don Gardner del 1962, va segnalata in quanto, pur aderendo fondamentalmente all’originale, ci permette però di apprezzare ancora una volta l’uso intraprendente dei fiati. Un arrangiamento più moderno di quello di Gardner che, come detto precedentemente, pone le basi teoriche e tecniche per poi orientarsi definitivamente verso il soul.

A sostenere in maniera determinante il musicista/cantante nell’album “Pain In My Heart” è l'ottima band di accompagnamento. Si tratta di Booker T. And The M.G.’s, famosi agli inizi degli anni 60 per il loro r’n’b strumentale (ad esempio, la bellissima “Green Onions”). Si tratta di una formazione di grande importanza, composta da pianoforte (Booker T.), basso elettrico (Donald “Duck” Dunn); chitarra elettrica (Steve Cropper) e batteria (Al Jackson Jr.). A coadiuvarli, i fiati di un rinomato gruppo di sessionmen: i Mar-Keys (tromba, sassofono tenore e sassofono baritono). A testimonianza della qualità degli otto musicisti, indispensabili nel plasmare il suono di Redding e non solo, si ascolti “The Dog”. La traccia numero due dell’album, infatti, avrebbe potuto funzionare molto bene anche senza la linea vocale, tanta era la spontanea maestria che potevano vantare questi esperti e innovativi sessionmen.
All’interno del gruppo che supporta il cantante, emerge in particolare Al Jackson Jr.. Versatile e preciso come un metronomo, è in grado di conferire colori coinvolgenti alla batteria, pur mantenendo uno stile percussivo semplice e diretto. I suoi accenti, posti con eccitante energia sulla parte esterna del tamburo rullante durante la breve coda di “Something Is Worrying Me”, sono la prova evidente del suo competente e avvincente senso estetico.

Come affermato inizialmente, la voce di Otis Redding costituisce la parte più affascinante dell’album in esame. La sua interpretazione, oltre alle importanti innovazioni soul già descritte, denota un sorprendente connubio tra tecnica, anima e straordinarie doti naturali. Nonostante la vocalità risulti ancora leggermente trattenuta rispetto alla travolgente intensità che giungerà già dall’anno successivo (1965), essa fa di passione e sentimento le leve fondamentali del suo timbro chiaro e penetrante. Un timbro che vibra talvolta di calorosa passione, talvolta di delicata sofferenza, impresso sui dodici brani dell’album con un impareggiabile misto di ritmo, spessore sonoro e soave dolcezza.
L’episodio migliore del disco può essere individuato in “These Arms Of Mine” (scritta da Redding): una ballad r’n’b delicatamente malinconica, che trasmette con candido fervore e tenerezza appassionata la bellissima melodia della sua strofa. Il testo struggente si sposa a una costruzione nella quale il ritornello, impreziosito dal pianto del piatto crash, varia quasi impercettibilmente rispetto alla strofa, punteggiata invece dagli accordi brevi e alti del pianoforte. Viene così costituendosi un costante fluire di calde emozioni lievemente ritmate che regala due minuti e mezzo di calda magia vintage.

Tra le sei cover che registra in questo album, Otis Redding omaggia anche i due riferimenti artistici che egli considerava i più importanti fattori nella propria formazione come cantante: Little Richard (con “Lucille”) e Sam Cook (con “You Send Me”). E riesce a trasformare i due brani, diversi tra loro, ma entrambi del 1957, in qualcosa di piacevolmente diverso dai loro ambiti sonori originari.
“Lucille” viene modificata con un arrangiamento dei fiati prossimo al funk, un genere in via di definizione proprio nel 1964 ad opera di James Brown, a dimostrazione dell’attenzione prestata da Redding a quanto si stava sviluppando nella musica nera americana in quegli anni, ricchi di ispirazione e di tensione verso l’innovazione.
La resa della popolare “You Send Me” di Sam Cook che Redding propone in “Pain In My Heart” ne migliora addirittura l’effetto complessivo, sostituendo con gusto ai cori presenti nell’originale i due sax e la tromba dei Mar-Keys.

Infine, una parola sui testi, tutti incentrati sulla tematica dell’amore vissuto con tormento o trasporto e del desiderio provato verso partner lontani. Le parole, appaiono ancora strettamente legate alla tradizione rhythm’n’blues, ma ben presto anche questo piccolo limite verrà superato con variazioni sul tema di matrice soul che compariranno già pochi mesi dopo questo debutto discografico.
In questo vinile rinveniamo dunque un documento storico-musicale di rilievo, una fotografia solitamente difficile da ottenere del momento in cui un nuovo genere musicale sta venendo alla luce. Inoltre, esso è anche una precoce, toccante esibizione delle notevoli doti che questo ottimo cantante/compositore stava rapidamente maturando e brillantemente mettendo a frutto.

18/01/2025