Riccardo Sinigallia

Riflessi nel tempo

intervista di Giuliano Delli Paoli

Riccardo Sinigallia è tra i cantautori italiani più introversi e ispirati degli ultimi vent’anni. Autore malinconico e coraggioso, capace di regalare incantevoli perle sia nelle vesti di autore e produttore, sia come “semplice” cantautore. Un musicista riservato e sincero. Uno degli ultimi grandi artigiani della buona canzone italiana. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare del suo ultimo disco, dei suoi esordi e dei tanti cambiamenti vissuti in questi anni.

In gran parte del tuo ultimo disco affronti lo scorrere del tempo e le mutazioni ad esso correlate con estrema profondità.  In ogni traccia è percepibile un leggero disincanto seguito da un’intensa presa di coscienza sulla quale far leva per affrontare il futuro con ritrovata consapevolezza. In “Una rigenerazione”, ad esempio, parli di cuori ancora giovani, quasi a volerti liberare del peso degli anni. Mentre in “Che non è più come prima” dichiari di aver seguito il tempo anche troppo meticolosamente. Che rapporto hai con il tempo e quanto le esperienze personalmente vissute influenzano la tua scrittura?
Ovviamente la mia scrittura è influenzata da ogni avvenimento che coinvolge le mie percezioni. La prima relazione da cui si può essere totalmente sconvolti è quella tra lo spazio e il tempo, forse è per questo che mi sono accorto di averne parlato con frequenza nel disco e che dopo averlo compilato mi sembrava uno dei temi ricorrenti. La frase del “cuore giovane” è invece stata scritta da Filippo Gatti, credo di poter sostenere che abbia a che fare comunque con il modo in cui ci relazioniamo alle convenzioni temporali.

Le sfumature delle tue canzoni sono spesso caratterizzate da un utilizzo morbido e avvolgente del synth. E’ uno dei tuoi maggiori tratti distintivi. A cosa dobbiamo questa magnifica e personale tendenza?
Grazie per averla definita magnifica… Nasce probabilmente dagli ascolti distratti e profondi da bambino, mi accingevo a diventare adolescente negli anni Ottanta e venivo catturato dai suoni sintetici e analogici “caldi” che si sentivano nelle sigle dei tg o delle trasmissioni radiofoniche di quel periodo, così come nelle canzoni di Donna Summer prodotte da Moroder o in quelle dei Kraftwerk o per essere ancora più esplicito dei Rockets. Poi la crescita della musica elettronica e digitale ha fatto sì che le mie naturali propensioni fossero anche intorno a me più tardi e quindi non solo appannaggio di ricerche o sperimentazioni, mi ha sempre entusiasmato mischiare la forma-canzone con l’elettronica.

Dal 2003 (anno del tuo debutto da solista) ad oggi il modo di vendere musica è inesorabilmente cambiato. In tal senso, sembra quasi inutile sottolineare la palese influenza della Rete. Come hai vissuto questo “passaggio di consegne”? Cosa ne pensi di questo enorme cambiamento?
Mi sembra l’effetto del nostro modo di campare. Ci sono - come in tutte le cose - pro e contro. I pro li conosciamo e ne siamo tutti entusiasti, non sono da sottovalutare, anzi. La cosa che mi infastidisce di più invece come effetto negativo è il deterioramento delle soglie critiche, l’aumento di linguaggi aggressivi e poco potenti da una parte e un’assenza quasi imbarazzante di coraggio e di opinioni personali da parte di pubblico e addetti. Ne sono veramente colpito e rammaricato. La maggior parte delle persone aspetta di confrontarsi paurosamente con qualcuno prima di esprimere una propria opinione riguardo a un disco o un artista, spesso non si accorge di essere davanti a un’opera o a un artista immenso perché nessuno gli dà il permesso, l’autorizzazione. Se la censura era il problema in passato, l’autocensura è il male di questi anni. Tante info e poco vissuto, e quindi scarsità di emozioni autentiche, tutti col ghigno per il giochetto di parole dell’ultim’ora, molte trovate, molte fighetterie.

Nel brano “Per tutti” parli di “sconfitte” e “assurde assuefazioni”. A cosa ti riferisci nello specifico?
Beh…. le sconfitte sono quelle di tutti i giorni, quelle frustrazioni con cui ognuno di noi a proprio modo fa i conti quando prova a costruire con serietà e passione il proprio percorso personale e tutto sembra affermare che è impossibile riuscirci, che l’utopia di oggi sia un’esistenza armonica e senza inganni. Le assuefazioni sono spesso il rimedio low cost a quelle frustrazioni, anche in questo caso ognuno di noi ne ha sempre qualcuna di troppo.

Hai recentemente prodotto Silvano Albanese in arte Coez. Cosa ne pensi di questa nuova ondata rap?
Non la seguo approfonditamente perché mi piaceva di più quando negli anni 90 era una vera scoperta e viveva di quel tipo di meraviglia, ci si avvicinava con grande rispetto al rap. Ora mi annoia un po', ma capisco che i ragazzi trovino quel modo di portare avanti il discorso più vicino a loro e si scambino le figurine, succede la stessa cosa con l’indie-rock e con molti generi musicali verso i quali l’approccio somiglia molto a una specie di collezionismo morboso e non ha molto a che fare con quello che io ritengo veramente emozionante nella musica leggera, poi le mode fanno il resto. Coez mi è piaciuto perché da subito mi ha fatto capire di voler rompere quello schema e che quindi c’era da divertirsi. In ogni caso, ci sono dei bravi artisti anche se il genere mi ha un po stufato.

Com’è nata “Prima di andare via”?
Da uno scritto di Filippo che mi inviò via Skype dicendomi che era per me e di musicarlo, da lì ci ho lavorato circa due anni e mezzo, cambiando e ricambiando la musica e le parole dei ritornelli. Alla fine su un treno, leggendo la rivista di un Frecciarossa mi è venuta la faccenda dei sorrisi e l’ho chiuso così.

Nella tua lunga carriera, hai collaborato, tra gli altri, con il grande Luca Carboni. Pur essendo cresciuti in due città decisamente diverse, Roma e Bologna, vi accomuna, a mio avviso, la medesima sensibilità artistica, la stessa inguaribile malinconia. Cosa raccogli da questa collaborazione e quando hai deciso di lavorare con lui?
Me lo sono ritrovato a un concerto a Bologna dopo che avevo saputo che gli erano piaciuti i miei primi due album, ero molto lusingato dai suoi complimenti anche perché è forse l’unico artista pop italiano esploso negli anni 80 che ho seguito sempre con grande curiosità. Quando mi ha chiamato per fare le sue “Musiche Ribelli” non potevo che esserne felice.

Sei l’autore di diversi successi di Niccolò Fabi e Max Gazzè, come “Rosso”, “Vento d'estate”, “Lasciarsi un giorno a Roma”, “Cara Valentina”. Scrivere canzoni che risultano in seguito perfette (anche) per altri musicisti ti viene naturale o hai qualche segreto particolare?
No, ho sempre lavorato in quegli anni e su quei dischi come se fossero stati i miei, questo è stato forse il grande apporto che ho dato in positivo, ma sicuramente c’era anche qualcosa di sbagliato.

In “Impressioni da un’ecografia”, brano contenuto nello splendido “Incontri a metà strada”, raccontavi le sensazioni di un uomo in procinto di diventare padre. Il suo amore incondizionato, le sue paure e le sue speranze. Mentre in “Che non è più come prima” riaffronti la faccenda da un punto di vista decisamente diverso, mettendo in risalto le sensazioni nei riguardi del padre e della vita in generale di un figlio ormai maturo e cosciente delle proprie disillusioni. I giovani padri di oggi devono affrontare più problemi dei giovani padri del 1970 o in questo senso nulla è cambiato?
Come cerco di comprendere in “che non è più come prima”, ogni volta è diverso, gli esempi buoni e cattivi del passato ci possono aiutare a non prendere strade fatali, ma inevitabilmente ci dobbiamo misurare con quello che accade ora e qui.

Ho visto anche degli zingari felici” di Claudio Lolli, recentemente interpretata anche a Sanremo, è una delle canzoni a cui sei maggiormente legato. Quali sono i cantautori italiani a cui ti senti in qualche maniera più vicino?
Ne amo molti. Spesso mi accostano a Battisti e ne sono lusingato.

Le tue canzoni racchiudono da sempre un fascino “crepuscolare”. Ma in realtà, crepuscolari si nasce o si diventa?
Credo che ci si nasca un po' e che poi si possa correggere il tiro, insomma una parte karmica e genetica e un’altra esperienziale, di attitudine e di fortuna.

Dai tempi dei 10 PM Band ne è passata di acqua sotto i ponti. Cosa conservi di quel particolare periodo della tua vita e cosa ricordi con maggior piacere.
Intravedevo con eccitazione la possibilità di vivere nella musica, ma vivevo anche con disagio il rapporto tra le mie aspettative e le mie capacità, poi ho scoperto quanto sia ancora più complesso di come lo immaginassi.

La macchina da presa è una delle tue grandi passioni. Non a caso, hai diretto molti dei tuoi stessi  videoclip (ma non solo). Hai mai pensato a qualcosa di più grosso?
Sì, molte volte, in realtà non capisco niente di obiettivi, fotografia e macchine da presa, non mi appassionano, ma amo le immagini come spettatore, e soprattutto la drammaturgia, la scrittura, le storie e le suggestioni che si innescano unendo la parola, il suono e l’immagine. Prima mi divertivo a cercare e a sperimentare, ora trovo che anche in quell’ambito ci sia una sovrapproduzione e così non mi appassionano più... che so, i videoclip o i corti. Sto invecchiando…

Negli ultimi dieci anni hai suonato per ben tre volte al Concerto del Primo Maggio. L’Italia in questi stessi anni ha vissuto dei cambiamenti decisamente importanti. Sono cambiati ben sei governi. C’è meno fiducia in coloro che dovrebbero salvaguardare il lavoro, e lo stato sociale appare sempre più scosso da un’incessante involuzione economica. La siderale distanza tra la politica e la realtà delle cose appare sempre più insolvibile, mentre ai telegiornali impazzano le statistiche su crolli e mancate crescite. Cosa ne pensi di quello che sta accadendo nel nostro paese? 
Che bisognerebbe rivedere l’impianto culturale e quindi lo spirito collettivo: tv, radio, giornali e tutti i mezzi di una comunicazione ampia - quindi anche noi quando pubblichiamo un post - dovrebbero avere più senso di responsabilità, alcuni dovrebbero smetterla se non hanno la forza di mettere i contenuti prima del profitto, che chiudessero per fare un servizio all’umanità. La cultura di un luogo è fondamentale per rigenerare lo spirito e gli entusiasmi, è inutile continuare a fare i conti, puoi spostare le cifre all’infinito ma se le persone non credono di far parte di qualcosa di possibile, continueremo a isolarci, non avremo più molto da difendere e da curare, se non quelle assuefazioni di cui sopra, ché funzionano meglio e prima.

Che programmi hai per il futuro?
(sorride...)