Bugo

Bugo

Dal lo-fi al ci sei

Menestrello novarese, artigiano di un peculiare "lo-fi" che gli è valso perfino qualche lusinghiero accostamento a Beck, Cristian Bugatti alias Bugo è uno dei personaggi emergenti della scena musicale italiana degli ultimi anni. Con il suo cantautorato sghembo, sempre in bilico tra svacco e inquietudine, continua a raccogliere lodi sperticate e critiche al vetriolo. Ma la verità sul suo conto, forse, sta in mezzo...

di Ciro Frattini

Cristian Bugatti da San Martino di Trecate (artista tanto istrionico sul palco quanto elusivo riguardo alla vita privata: oltre alla provenienza si sa ben poco altro) è uno dei personaggi emergenti (sicuramente il più personaggio) della scena musicale italiana più recente. Alla luce di tutta la sua produzione (4 album, più una marea di altre uscite tra singoli, Ep, cassettine autoprodotte e split) lo si potrebbe definire un folksinger bislacco con ambizioni (da Beck). Lontanissimo dalla tradizione cantautorale italiana impegnata e spesso politicizzata, Bugo canta storie di "quotidiana alienazione metropolitana", racconti della vita di tutti i giorni riempite di accostamenti surreali e distratti, in tono appisolato e neutro. Sulla qualità della proposta i giudizi si dividono equamente tra chi lo considera la brutta copia italica di Beck o finanche un comico fallito (con fin troppa ingratitudine) e chi invece lo acclama quale genio di prima grandezza, fuori da ogni regola e schema conosciuto (con fin troppa benevolenza).

L'esordio sulla lunga distanza avviene grazie a una collaborazione Snowdonia-Bar De La Muerte. La prima gratta (2000) presenta ventuno pezzi perlopiù chitarra e voce, in salsa rigorosamente lo-fi, con qualche concessione al (garage-)rock e all'elettronica, usata soprattutto come bizzarria in sede d'arrangiamento (comunque scarno), o da protagonista nei brevi intermezzi. L'approccio alla materia è quello di un Badly Drawn Boy (se proprio è necessario trovare un paragone) con lo scazzo dei tempi migliori (in quanto a suono invece i due sono decisamente differenti). Con l'inglese (anche se non ai suoi livelli) condivide un senso melodico non comune, le cose migliori, infatti, sono proprio le melodie, immediate, cristalline che qui e lì escono fuori. E' il caso della prima traccia "Quante menate che mi faccio", dove Bugo indovina un inciso degno del miglior Battisti e si inventa uno dei suoi migliori accostamenti ("Una risata fuori luogo, che mi scalda come il fuoco: dammi il numero dei pompieri"), della tenera "Solitario" (anche qui gran testo "La terra gira, hai la nausea, ognuno pensa a fare pausa, le stringhe stringono forte e tu ti senti un solitario"), della caustica "Il cellulare è scarico" ("La mia birra non c'è più, a Giuseppe manca un dito, il cellulare è scarico").
Le (lievi) variazioni al copione più riuscite sono portate dal carillon di "Oggi come sto", da "Non ne posso più" ("tutto tace tranne l'afa") in falsetto petulante, accompagnata da gocce di pianoforte e sottofondo di vortici di chitarre elettriche, da "Potrebbe andar meglio" suonata da animatore da pianobar, dal raga di "Paranoia", dal rock con inserti di elettronica di "Sabato mattina". Ma il capolavoro del disco è il paradosso "Addio alle canzoni di una volta", gucciniana fino al midollo, che saluta le vecchie canzoni chitarra e voce. Chiude il tutto un semi-strumentale di otto minuti e trenta per basso, piano e synth emblematicamente intitolato "Ne vuoi ancora?". "La prima gratta" è un disco figlio di un talento immaturo, ma che trova proprio nell'immaturità la fonte della sua bellezza.

Sentimento westernato (2001) viene annunciato come "l'album acustico" di Bugo: in realtà, a cedere il passo sono solo le manipolazioni elettroniche mentre paradossalmente aumentano gli episodi di garage-rock e blues. Le canzoni sono compiutamente tali rispetto all'esordio che può essere considerato più che altro una raccolta di molteplici idee, parecchie di buon livello, qualcuna più realizzata qualche altra meno. E' un disco più maturo senza per questo snaturare le peculiarità di Bugo (testi e approccio decisamente sghembi), ma questo non implica obbligatoriamente un risultato migliore. Infatti, vuoi perché è svanito l'effetto sorpresa, vuoi perché sostanzialmente non ci sono grosse differenze di formula o, molto più semplicemente, vuoi perché la qualità media dei pezzi è sì buona ma raramente vengono raggiunti i picchi dell'esordio, Sentimento westernato risulta essere un disco piacevole ma che non riesce a far breccia. Tra le quattordici tracce, sono proprio gli episodi più semplici, quelli che conferivano il grosso del valore a La prima gratta, a lasciare un po' d'amaro. La serenata folk di "Vorrei avere un Dio" o la nenia "Quando siamo stanchi" pur godendo di buone intuizioni a livello testuale e lasciandosi ascoltare, mancano del guizzo decisivo.
Accade così che le cose migliori vengono dal terreno più alieno: "Siamo tutti eroi" è (o meglio, potrebbe essere) un inno retto da un riff epico e lacerante, reso inservibile alla funzione (ma non per questo qualitativamente peggiore) dalla scelta di cantarci su con voce modificata e praticamente incomprensibile, mentre "Io berrò alcol" ("senza paura, senza cannuccia") è un altrettanto epico (e solenne) tour de force scandito dal tamburello e scosso da una chitarra elettrica che si accartoccia su di sé nel finale di gridolini in falsetto. Meritevoli di una citazione sono anche il garage-rock urlato alla Devil's haircut "Bicchiere nella birra", la pulsante filastrocca folk-beat "Bisogna fare quello che conviene" e la melodia immediata della tirata "L'amore è spentoff" con lampi di armonica.

Di Bugo si accorge la Universal che decide di proporgli un nuovo contratto: il Bugatti si presenta, però, al momento della firma con un nuovo disco già bell'e impacchettato. La major accetta e con una certa cognizione di causa: Dal lofai al cisei (2002) è un disco molto più vendibile dei due precedenti, ed è soprattutto il disco giusto per poter lanciare e consacrare Bugo presso una bella fetta di pubblico. In pratica, è accaduto questo: vuoi perché ha capito che la formula iniziava a mostrare la corda, vuoi per un'ambizione maggiore, il novarese ha abbandonato la veste lo-fi e messo ancor più in disparte il folk per andare a gettarsi su una molteplicità di generi. Ed è in tal modo che Bugo si è guadagnato l'appellativo di Beck nostrano, provando a ripetere la stessa operazione riuscita all'americano nel 1996. Intanto la Universal comincia la sua campagna: disco in vendita a prezzo dimezzato e palcoscenico di Mtv (e Tutto) aperti. La scelta del singolo di lancio è la più opportuna. "Casalingo" è un pezzo pop, con una delle melodie più semplici e azzeccate del lotto, chitarre beckiane a far da arrangiamento, canto più aperto del solito e un intermezzo strumentale dove dar sfogo a ogni bizzarria sonora.

Ma dal lofai a "Odelay" c'è di mezzo il mare e Bugo ci finisce dentro. L'ispirazione c'è, ma non è al massimo delle potenzialità, e finisce che per la maggior parte del tempo il disco scorre bene, ma senza graffiare, e i passaggi da rock (l'apertura "Portacenere") a folk ("Morbida scheggia") a blues ("Piede sulla merda") a hip-hop ("Milano tranquillità") riescono più a non stancare che a colpire. E finisce anche che emerge qualche limite di scrittura, che i chiassosi e pur buoni arrangiamenti non riescono totalmente a mascherare (mostrandosi palese proprio quando si cerca di flirtare con suoni e generi più in voga, vedasi "Pasta al burro" e l'orrida "Fai la fila"). La nota davvero positiva la costituisce uno dei pezzi più leggeri, la filastrocca "Con il cuore nel culo" in cui funziona (finalmente) tutto alla perfezione, testo ("con il cuore nel culo non hai sentimenti da esprimere"), voce, musica e melodia. Dopodiché il Bugo sparisce per un po'...

Il ritorno è segnato da Golia & Melchiorre (2004), doppio album che coniuga le due anime del "cantautore" novarese. "Arriva Golia!" prosegue sulla strada del precedente capitolo della saga, accentuando la fruibilità dei pezzi e cercando di forzare sulla venatura pop. Ma il disco rivela assenza pressoché totale di ispirazione, tanto da sembrare un lavoro imposto dall'alto. La corsa frenetica da un genere all'altro non basta a destare attenzione: si passa così dal r&b di "Hasta la schiena siempre" (una versione indie di Jovanotti) all'elettro-rock di "Caramelle", dal funky di "Un altro conato" al rap alla Caparezza di "Devo fare un brec" in uno stato di noia catatonica. Sono canzoni davvero bruttine, degne di un suo "worst of". A salvarsi (anche a livello testuale, dato che ampie delusioni arrivano anche da quel versante), restando sulla soglia della decenza, sono i due pezzi più immediati: il pop-rock di "Carla è franca" e "Il sintetizzatore", divertente pop'n'roll con (s)folgorante assolo di synth nel finale. A convincere invece è la sola "Mezzora prima di morire", stralunato paesaggio preso a prestito proprio dal maestro Beck.
"La gioia di Melchiorre", composto con Joe Valeriano, invece riscopre il folk (pur permanendo l'addio al lo-fai), ma con una serietà (a modo suo) e un intimismo inediti. Ed è lavoro di tutt'altra pasta, a tratti di una profondità difficilmente preventivabile, che regala parecchie canzoni notevoli. "Non mi arrabbio mai", per chitarra acustica accompagnata dal contrabbasso, è una ballata dolente con armonica straziante e gran finale strumentale, "Rimbambito", tra i capolavori di Bugo, con un'apertura melodica e un testo degni (se non migliori) dei tempi d'oro ("chiedo a te, prendimi a schiaffi, io non riesco a vivere"), "Sentirsi da cane" soffiata da un vento elettronico, con le chitarre che imitano mandolini, "Quando vai via", dalla cadenza epica e fatalista, "Che diritti ho su di te?", che fa meglio di tutte, con voce rotta e toccante (nonostante sia palese che Bugo non sia un cantante: l'importanza della tecnica cede quando si trova un tono del genere, ai livelli di Battisti), piena di paura per la vita e per il futuro. Parimenti azzeccata è la chiusura, affidata al religioso psych-folk di "Alleluia".

Abissale è, dunque, la differenza qualitativa tra i due scomparti del disco, cosa che rende la tesi dell'imposizione dall'alto (ovvero: ti si pubblica "La gioia" solo se fai qualcosa di più vendibile) non tanto peregrina: oppure semplicemente il Bugatti non si rende conto né dei suoi limiti né di dove sia davvero la sua arte. In ogni caso, a oggi, diventa forte l'idea di trovarsi di fronte a un talento sprecato, potenzialmente in grado di realizzare (ancora) opere di livello medio-alto, ma che, per scarsa consapevolezza o mancanza di volontà, si limita a pubblicare lavori incompleti.

Sguardo contemporaneo (2006) conferma il nuovo corso pop-rock. Quello che forse sinora era mancato negli ultimi dischi era una certa padronanza e pienezza di suono. Ad ovviare il problema per "Sguardo contemporaneo" è arrivato Giorgio Canali: il suo lavoro è uno dei punti più significativi del disco. La mano esperta del produttore si fa sentire parecchio e riesce a dare quel di cui c'era bisogno; ma al tempo stesso costituisce un limite, con quel marchio di fabbrica fin troppo cristallizzato e invadente, che fa somigliare il disco a troppi altri di fuoriusciti e amici degli ex-CSI.
Il Bugo pop-rock non ha quelle intuizioni che contraddistinguevano il suo alter-ego più ruspante e finisce per tirar fuori una pleteora di canzoni divertenti, che tutte insieme non convincono troppo. Anche i testi mantengono lo stesso tono minore di brillantezza degli ultimi tempi, con le debite eccezioni ("Niente ci può sfiorare, niente niente, tranne quello che ci circonda" da "Gelato giallo"; "Mamma vuoi spiegarmi come sono fatto, perché io me la prendo, ho la coda di paglia, in Italia si nasce con la coda di paglia" da "Coda d’Italia").
Le debite eccezioni, ovviamente, ci sono anche in musica. Su tutte, con nettezza, "Oggi è morto Spock", la "Gli anni" di Bugo, chitarra dolce con contrappunti elettrici, fra ricordo, tenerezza, sorrisi. Seguono: il rock epico di "Millennia", in cui la succitata "mano csi" è anche qualcosa più che un'ispirazione e nel suono e nella struttura e, finanche, nel canto; la beckiana "Gelato giallo", con svisate country e aperture melodiche pop; i saliscendi melodici di "Amore infinito", fra Battisti e il rock, colma di delizie amorose ("mare di frutta frullata", "nuvole di spinaci") e purtroppo non perfettamente centrata nell'alternanza di tempi e stati d'animo. A fare da pendant qualche pezzo non riuscito: "Che lavoro fai?", rockettino base che cerca di darsi qualità sfoderando toni di voce vari e intrusioni sonore, senza ottenere lo scopo e "Una forza superiore", tenero chitarra e tastiera alquanto noioso. Nel mezzo, il mare di suddetti pezzi sfiziosetti ma "sì-beh-ma dai-ma no": il funky virtuoso di "Plettrofolle"; il noir con tanto di sax di "Ggell"; l’elettro-punk di "Roma"; il veloce rock'n'roll "Coda d’Italia".
Sguardo Contemporaneo è un disco eclettico e "maturo", capace di strappare sorrisi ma anche sbadigli.

Nel 2008 esce Contatti, settimo lavoro del Bugo Universalizzato, filtrato quotidianamente dalla mainstream tv (bellissimo il video di "C'è crisi", diretto da uno straordinario Lorenzo Vignolo).
Fin dall'intro strumentale soul (!) appare ben chiara l'intenzione del Bugatti di dar più colore all'intera struttura. L'attacco organetto flower power di "C'è crisi" focalizza con classe questa nuova esigenza; impossibile poi resistere al ritornello centrale, riflessione globale, scarna e diretta della società odierna. Stesso dicasi di "Nel giro giusto", dove il nostro scaraventa, con una serie di focose armonie, tutto quel suo fabbisogno interiore di virar continuamente timbro anche nei rapporti sociali.
L'italianissima "Love Boat" sembra scritta da Gaetano Curreri, mentre "Le buone maniere" potrebbe essere una b-side della parte elettrica di Golia & Melchiorre ("Arriva Golia").  
"La mano mia" vanta una briosa andatura e un motivetto ultra-spensierato da tormentone estivo.
Se Sguardo contemporaneo si poteva considerare un lavoro stanco e di passaggio, Contatti mette a fuoco tutte le sbavature/insicurezze del recente passato, regalandoci l'anima più genuinamente pop del talento novarese.

Tre anni dopo, senza preavviso, Bugatti torna con Nuovi rimedi per la miopia (2011), un disco che però le delude le attese. Delle dieci tracce, nessuna spicca in modo particolare tra le altre. La spensieratezza, la freschezza, la lucida e ludica follia che hanno reso celebre Bugo sono solo uno sbiadito ricordo. L'uscita del singolo ("I miei occhi vedono") aveva già lasciato trapelare qualcosa in questo senso. In realtà, alla fine, uno dei migliori episodi del cd sarà proprio questo.
Il punto è che il Bugatti ha deciso tutto a un tratto di farsi serio. Anche troppo. E di appiattirsi su soluzioni musicali già esplorate in lungo e in largo da altri artisti italiani. Uno di questi (e non sorprendetevi troppo, perché il nostro ne è un estimatore) è  nientemeno che Vasco Rossi. Sì, proprio lui, mr Nonciclopedia. Almeno un paio di canzoni sembrano fare il verso al rocker di Zocca. In "Non ho tempo" sembra di risentire il Blasco di "Buoni e Cattivi", mentre nella melensa e sciapita "Comunque io voglio te" manca solo l'immancabile "eeeeeeeeeeeeeeeeeeee" da stadio.
Anche l'elettronica che ha contraddistinto alcune delle più ispirate hit di Bugo, e attraversato quasi per intero il precedente Contatti, è usata in modo più parsimonioso e meno spiazzante. Certo, si intuisce che il lavoro sul suono è stato tanto e pure di ottima fattura, con alcune soluzioni pregevoli (vedi il jingle quasi pubblicitario in "Mattino"), però, ecco, il tutto in contesto di scarsa innovatività e voglia di stupire, cosa che Bugo ha dimostrato di saper fare eccome.
Detto del singolo, alla fine, forse, il pezzo migliore risulta la traccia finale, "Città cadavere", col suo incedere lento e cadenzato che rimanda a "Notte giovane", chiusura di "Arriva Golia". Altre canzoni, ("Il sangue mi fa vento", "Lamentazione nr 322″), si sviluppano su un interessante tappeto elettronico (la seconda in particolare ha qualcosa degli ultimi Subsonica), ma presentano testi davvero scialbi, compredenti un (appunto) lamento verso Dio che risulta quasi goffo.

Se Bugo voleva avvicinarsi a un cantautorato più classico, forse, la strada migliore da seguire era quello del sorprendente (in positivo) Golia e Melchiorre, in cui spiccavano le doti di chitarrista dell'artista residente in India. Forse è stato proprio questo cambio di vita a influenzare le scelte e le tematiche di quest'album. Adesso non resta che aspettare il prossimo disco, per capire se Nuovi rimedi per la miopia sia stato soltanto una parentesi oppure l'inizio di qualcosa di diverso.

Nessuna scala da salire arriva nel 2016, dopo il passaggio alla Carosello, e si compone di brani composti durante l'ultimo periodo di permanenza in India.
Anticipato da un riuscito singolo dal sapore disco ("Cosa ne pensi Sergio"), l'album segue soltanto in parte le orme del precedente per quanto riguarda la voglia di trattare tematiche più serie, lasciando però intatta la sensazione che Bugo stia ancora cercando un nuovo centro di gravità dal quale attingere idee e suoni.
Gli elementi più interessanti restano aggrappati al rock fine anni Novanta ("Radio Bugo") e allo stile Vasco ("Me La Godo"), ma non sono di certo ancora sufficienti ad agevolare un vero e proprio cambio di direzione. La mancanza di una mediazione tra il passato e il presente, tra il serio ed il faceto, verrà colmata soltanto dal successivo Cristian Bugatti, uscito nel 2020 sull'onda della prima partecipazione a Sanremo. 

È un disco che finalmente trova la forza di uscire allo scoperto, come il suo autore di fronte al grande pubblico, condensando una scrittura musicale consona alla forza dei testi bislacchi Bugo-style, mantenendo omogeneità nelle intenzioni, che sono dichiaratamente radiofoniche.
L'avventura all'Ariston vede il featuring di Morgan ("Sincero") e si trasforma in un caso nazionale dopo il litigio in diretta tra i due, trovando un finale epico nell'abbandono del palco da parte di Bugo a seguito del deliberato cambio di testo da parte di Morgan (che in pratica declamava una sorta di j'accuse al collega).
Ma la capacità di essere deliberatamente pop, incastrando alla perfezione la poetica sghemba di Bugatti, è sicuramente molto più evidente nel resto dell'album, grazie a episodi come "Quando impazzirò", "Come Mi Pare", "Che ci vuole", "Un Alieno", e alla freschezza di una produzione dal sapore estivo ma mai artificiale.
Un risultato non scontato, forse il migliore dai tempi di "Contatti", che peraltro navigava in lidi più elettronici e restava comunque a una certa distanza dall'immediatezza tout-court. Dopo vent'anni, Bugo una collocazione più gratificante in termini di carriera senza perdere la faccia.



Contributi di Giuliano Delli Paoli ("Contatti"), Nicola Gennai ("Nuovi rimedi per la miopia"), Paolo Ciro ("Cristian Bugatti")

Bugo

Discografia

La Prima Gratta (Snowdonia/Bar La Muerte, 2000)

7

Sentimento westernato (Bar La Muerte, 2001)

6,5

Dal lofai al cisei (Universal, 2002)

6

Golia & Melchiorre (Universal, 2004)

6

Sguardo contemporaneo (Universal, 2006)

5

Contatti (Universal, 2008)

7

Nuovi rimedi per la miopia (Universal, 2011)

5

Nessuna scala da salire(Carosello, 2016)

6

Cristian Bugatti(Mescal, 2016)

7

Pietra miliare
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