Tanakh

Dieu Deuil

2004 (Alien8 Recordings)
post-rock, alt-folk

Non mi sono mai annoverato tra coloro che negli ultimi anni hanno ritenuto indispensabile una via d'uscita dagli sperimentalismi e dai presunti eccessi intellettualistici di certo "post-rock", forse perché l'uso di quella definizione, frettoloso, semplicistico e potenzialmente onnicomprensivo, non mi è mai andato del tutto a genio. Non si può tuttavia negare che da qualche tempo a questa parte si sia verificato un certo riflusso rispetto alle osticità d'ascolto originaria, spesso ad opera degli stessi soggetti originariamente più "estremi" o di altri che ne hanno seguito la strada, consci tuttavia dell'angustia di quel percorso e del concreto rischio di finire in un vicolo cieco.

Particolare attenzione destano quindi le soluzioni di questa intricata matassa musicale ad opera di gruppi e singoli afferenti a quella scena canadese (coagulatasi intorno alle etichette Constellation e Alien8), caratterizzatasi per varietà, prolificità e coraggio espressivo. In tale direzione di apertura sembrano infatti andare la recente svolta della Constellation verso suoni "altri" rispetto a quelli che l'avevano originariamente caratterizzata e l'uscita, per la Alien8, di "Dieu Deuil", secondo album per il collettivo Tanakh, ora stabilitosi a Firenze, che, abbandonati taluni eccessi claustrofobici del primo lavoro (non a caso intitolato "Villa Claustrofobia"), ripresenta con un disco più accessibile, la propria personale soluzione stilistica alle intricate trame "post".

Il mutamento di prospettiva è già evidente nell'iniziale, imperdibile "November tree" (brano che da solo varrebbe l'acquisto dell'album): una ballatona bucolica e romantica che riecheggia un po' gli ultimi Mojave 3, la cui impronta è ravvisabile, anche se in maniera decisamente meno "lieve", in quasi tutti i brani cantati dell'album (cinque su otto), che si snoda poi tra il ritmo latineggiante di "Exegesis", il tono elegiaco di "Lady Eucharist" e il gusto acidamente vintage della conclusiva "Lock the door when you leave". L'intero lavoro sembra però indicare in genere un recupero di suoni più tradizionali che richiamano alla mente i ritmi da orchestrina dei vecchi Drunk o piuttosto certi passaggi dei Calexico (seppure meno aridi), mentre costante appare il riferimento alla classica psichedelia West Coast degli anni 60-70.

Descritto in questi termini, allora, sembrerebbe un lavoro quasi passatista, che si rifugia in territori già esplorati per non rischiare di perdere la via; ma così non è, in quanto ciò che sorprende in "Dieu Deuil" è la capacità di mediare con i citati riferimenti uno spirito sperimentale che si affaccia, in maniera diversa, soprattutto nei tre episodi strumentali dell'album e ne connota tutti i brani di quella cupezza vagamente apocalittica, comune a molte produzioni canadesi. Non sembri allora azzardato affermare che Tanakh svolgano quanto indicato e intenzionalmente lasciato ermetico e involuto da gruppi quali Godspeed You! Black Emperor e affini, dai quali la distanza concettuale è di gran lunga inferiore a quella strettamente musicale.

In definitiva, lungi dal gridare al capolavoro, ci si trova di fronte all'opera di un gruppo di musicisti che, con impegno, sensibilità e capacità, offrono al problema di fondo una soluzione interessante e originale, che non si può pretendere di elevare a indicazione paradigmatica universalmente valida. E il risultato è questo "Dieu Deuil", album certamente meritevole di ascolto e conoscenza, capace di incontrare i favori dei seguaci della scena sperimentale canadese, come anche degli amanti del neocantautorato americano e persino dei nostalgici della vecchia folk-psichedelia.

12/12/2006

Tracklist

1. November tree
2. Exegesis
3. Instrumental
4. Lady Eucharist
5. The Lord is in this place... how dreadful is this place
6. Til' San Francisco
7. Images
8. Lock the door when you leave

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