E' necessario individuare una dicotomia: Cile, Berlino da un
lato una civiltà millenaria, un continente immenso, una cultura sconfinata ma
lontana e decentrata, dall'altro una città che è ormai la capitale della musica
da club mondiale, fulcro e faro di una scena che ha dato a numerosi artisti la
possibilità di avere un luogo dove dare libero sfogo alla propria creatività. In
queste differenze, in queste distanze, si riesce a inquadrare quell'ondata
cilena che vede in Ricardo Villalobos, Senor Coconut, Luciano e, appunto, Pier
Bucci i propri capostipiti e che ha trovato a Berlino un terreno fertile dove
mettere radici.
Pier Bucci non è un nome nuovo ma viene da una lunga
gavetta che lo ha visto esplodere definitivamente solo con il progetto
Lucien-e-Luciano (su Peacefrog) dopo svariate produzioni sotto diversi
pseudonimi. Ora è al primo impegno con un album completo: una conferma o una
smentita sulla classe già sentita su vinile? Vedremo.
Lo stile di Bucci
è maturo, personale e fonde in sé una serie di influenze chiaramente
rintracciabili fra le tracce di questo "Familia": dalla scuola minimale di
Plastikman fino a sonorità mutuate da Chicago e Detroit, passando per l'ambient
e un uso sapiente di sonorità vintage e una onnipresente influenza dei
quattro robot di Dusseldorf.
Brani come "Tita" ci catapultano in
ambientazioni che fondono una musica misurata e geometrica con suoni naturali e
punte di sintetizzatore, che disegnano escursioni in un clima più rilassato e
disteso, dilatano il tempo e il suono rendendo il suo ritmo minimo e ripetitivo
quasi infinito.
"Towes", "Siberian" e "Pipostrack", invece, portano a
restare sospesi fra i suoni tipici di Detroit e Chicago e una composizione
personale, moderna e sognante, che lascia molto spazio alle sensazioni senza
appesantire minimamente il suono, ma rendendolo gioioso e godibile.
"The
R-8 Moog", poi, è un fin troppo chiaro tributo al padre di tutti i
sintetizzatori, a quel suono che resta inconfondibile e che Bucci filtra
attraverso il suo stile per fonderlo con parti vocali femminili che vanno a
creare un amalgama di minimalismi e incursioni ambientali. L'esito è
spettacolare per delicatezza e qualità.
Ma è nei quattro brani centrali che
lo stile di Bucci raggiunge il suo apice: dal minimalismo ritmico e vocale
infarcito di sintetizzatori rapaci di "L Nuit" agli esperimenti di chiara
matrice techno espressi in "Hay Consuelo" e "Jess". Un percorso che culmina in
"Cosmic", dove Bucci si prende una licenza e piazza un brano con la giusta
pesantezza, sempre misurata ma incisiva, in cui velocità, sintetizzatori in
delirio, vocalità sudamericane e una sezione ritmica ammaliante fanno da padroni
incontrastati.
Avevamo iniziato con il chiederci se questo disco è una
conferma o una smentita, terminiamo col dire che Bucci ci ha regalato una
conferma fatta di dieci, stupendi brani.