A far seguito all'apprezzato "Harbouring", la canadese Ora Cogan dà alle stampe una nuova prova delle sue qualità di polistrumentista (chitarra elettrica, violino, dulcimer e ritmiche) nei quaranta minuti di un lavoro dai toni arcani, sviluppato come una narrazione in crescendo drammatico, al cui interno gli iniziali echi di un folk elettrico straniante vengono ben presto rimpiazzati da torsioni, riverberi e a tratti persino tenebrosi drone. Benché l'intento della Cogan di creare atmosfere avvolgenti e caliginose sia coronato da sostanziale successo, l'aura malinconica che pervade l'album stenta ad ammantarsi del fascino necessario per trasformare in ballate dense di fascino brani che appaiono piuttosto litanie invariabili, sostanzialmente svincolate dal tessuto strumentale - spesso assai pregevole - sul quale insistono. Numerose sue "colleghe" dimostrano come in ambito folk i limiti interpretativi non siano invalicabili, purché supportati da un'espressività e da una perizia di scrittura, che tuttavia l'artista canadese non è ancora riuscita a conseguire.
31/07/2010