Prinzhorn Dance School

Clay Class

2012 (Dfa)
post-punk

Una cosa è chiara: sono spirati (a miglior vita?) gli Lcd Soundsystem ma non la Dfa. Fortuna o disgrazia sta a voi deciderlo. In particolare non si è spenta l'utopia (vagamente futurista, vagamente reazionaria) della quale l'etichetta newyorchese ha saputo abilmente farsi istantaneo manifesto, dominando senza difficoltà il gusto del decennio appena passato: l'idea cioè di (ri)comporre, in un'unica lingua dai tratti universali, edonismo "disco" metropolitano e avanguardia post-punk. Una "metapoetica", in bilico tra industria culturale dei consumi e dotto decostruzionismo, che è diventata oggi metodo infallibile, per così dire. Che poi la fenice abbia ancora ali fiammeggianti da schiudere per il piacere e lo sconcerto delle nostre orecchie lo si capisce subito prestando ascolto a dischi come "Clay Class", seconda fatica targata per l'appunto Dfa del duo britannico Prinzhorn Dance School.

Tobin Prinz e Suzi Horn (nomi amabilmente mutuati dallo psichiatra tedesco celebre per le sue ricerche sull'"attività plastica nei malati di mente") sono una non-coppia dislocata nelle periferie anonime e marginali di Brighton e Portsmouth. La loro musica si nutre di fonti disparate per quanto facilmente individuabili: soprattutto, a ben sentire, Pil, Wire, Fall, Young Marble Giants e tutte quelle cassettine usa e getta di gruppi-bricoleur attivi in Uk dal 1978 al 1981, che oggi si suole indicare con il termine "messthetics". La band si è imposta sin dall'epoca del suo esordio (l'omonimo del 2007, già oggetto di un culto discreto) per un minimalismo concettuale (ma non concettoso), improntato a una disciplina singolarmente inflessibile, a tratti quasi ascetica (in pratica solo batteria, chitarra e basso, con uno stillicidio di note ultra-centellinate).
Nelle interviste i due hanno dichiarato senza esitazione il proprio amore per l'architettura brutalista di ospedali e autorimesse suburbane. Un'economia al risparmio di forme e toni che effettivamente si ritrova nella matrice modulare, razionalista oltre ogni limite, di un brano come "Sing Orderly", così come nella geometria piacevolmente nuda di "Happy In Bits" (la bicromia rapsodica del suo bianco e nero non lascia indifferenti), o nelle abrasioni ferrose della bellissima "I Want You".
Le canzoni di "Clay Class" somigliano a macchine o orologi che non nascondono il movimento inesorabile dei propri congegni, ma anzi lo espongono nella trasparenza esorbitante del cristallo. La ripetizione (sentite "Crisis Team") diventa così, in maniera del tutto paradossale, una liberazione dello spirito. Pezzi come "Shake The Jar" (pura ipnosi), "Seed, Crop, Harvest" o "Turn Up The Light" (una grazia minerale da lasciar attoniti) sono infatti innescati dalla dinamica ossessiva del desiderio, è innegabile.

Il duo mantiene comunque una lucidità a tratti morbosa, un distacco clinico da bestiario entomologico, dissolvendo musiche e parole in una forma vagamente maniacale di tassonomia sonora che amplifica in clangore assordante la minima increspatura, in equilibrio tra gli assiomi più astratti di un Le Corbusier o di un Loos e il rigorismo espressivo dell'arte povera. Parte il balbettio di "The Flora And Fauna Of Britain In Bloom" (!?) e si ha quasi la percezione che la band costruisca le sue canzoni come se stesse assemplando i tubi stampati di una sedia in alluminio. Un "serialismo" compositivo che, facendo dialogare pieni e vuoti, disseziona la grammatica del (post)rock in algoritmi e funzioni esilissime. Si snoda in questa maniera una geografia oltremodo scarna (postumana, verrebbe da dire) di ideogrammi e geroglifici oscuri che sfiorano in più punti il delirio del non-sapere. Un delirio pericolosamente danzante.
Post-punk: se lo conosci lo eviti.

06/02/2012

Tracklist

  1. Happy In Bits
  2. Usurper
  3. Seed, Crop, Harvest
  4. I Want You
  5. Your Fire Has Gone Out
  6. Crisis Team
  7. The Flora And Fauna Of Britain In Bloom
  8. Turn Up The Light
  9. Sing Orderly
  10. Right Night Kay West
  11. Shake The Jar

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