Autore: Eduardo Vitolo
Titolo: Children of Doom
Editore: Tsunami
Pagine: 414
Prezzo: Euro 22
“Children Of Doom” è, come ben sintetizzato sulla quarta di copertina, “un viaggio nelle sonorità dell'apocalisse, da prima dei Black Sabbath ai giorni nostri”. Un viaggio che Eduardo Vitolo (non nuovo a incursioni nelle sonorità più esoteriche e sommerse del metal) compie risalendo innanzitutto alle origini del termine “doom”, di cui vengono esaminate anche alcune attestazioni nei campi dell’arte e della letteratura.
Subito dopo, l’autore si concentra sui progenitori del genere, le cui tematiche sono legate a doppio filo agli archetipi della morte e, più in generale, del timore per l’apocalisse, del buio, del silenzio etc. Si scopre, così, che non è del tutto lecito prendere le mosse dalla Birmingham dei Black Sabbath, ma che è molto più corretto e significativo non solo passare in rassegna alcune formazioni che, durante gli anni Sessanta, proposero una musica oscura e malsana, ma addirittura risalire al blues dell’epoca d’oro, tirando in ballo personaggi leggendari come Robert Johnson e Howlin’ Wolf, ma anche quel Willie Dixon che ispirerà il giovane Tony Iommi, destinato a passare alla storia come il chitarrista dei Black Sabbath, la band che canonizzò il doom col suo epocale e omonimo primo album (1970), in parte proprio ispirato alle sonorità di alcune oscure formazioni degli anni Sessanta, per le quali si può, a ragione, parlare di “proto-doom”.
Quest’ultimo si sviluppò sulla base di due elementi portanti: un certo interesse per le arti occulte e l’influenza della cultura hippie, soprattutto nella sua espressione più “decadente”, quella, per intenderci, emersa a cavallo tra gli efferati omicidi di Charles Manson & C. e dei tragici fatti di Altamont. Da questo punto di vista, l'avvento del verbo "sabbathiano" rappresentò il canto del cigno dell’utopia del “flower power”. Al suo posto, il dispiegarsi di un immaginario fatto di brughiere nebbiose, cimiteri abbandonati e panorami sconfinati e grigi, il tutto condito da retaggi gotici e archetipi primordiali.
Sulla base di queste premesse, “Children Of Doom” passa in rassegna non soltanto le band, più o meno famose, del doom inglese e americano (prestando attenzione anche alle varianti dello stoner, dello sludge e del drone-doom), ma anche quelle delle realtà svedese, finlandese e italiana, senza dimenticare le cosiddette “scene dimenticate” (Olanda, Norvegia, Germania), non prive di produzioni significative.
A completare il tutto, una serie di interviste ad alcuni dei più importanti protagonisti delle "sonorità dell'apocalisse".
Insomma, “Children Of Doom” è un libro assolutamente consigliato a tutti gli appassionati del genere, ma soprattutto a quelli che, per pregiudizio o per mera “distrazione”, hanno fin qui evitato di approfondire la materia.