"Epiphany": un musicista nel mondo dello streaming

Le playlist stagionali di Will Stratton

Fall 2015

(Introduzione di Lorenzo Righetto)
Non è un grande segreto che il modo migliore per capire le cose è viverle, e le rivoluzioni che sta subendo il mondo della musica non fanno eccezione.  Will Stratton è un giovane cantautore americano, uno di quelli che prova in qualche modo a sbarcare il lunario con la sua arte, raccogliendo quei millesimi di dollaro che il passaggio di una sua traccia gli regalano (se va bene). E allo stesso tempo è un utente, e capisce quindi i tranelli e le opportunità del mare di musica che si è improvvisamente aperto per tutti, (quasi) dovunque e in ogni momento. Qui ci racconta come vive in questo nuovo mondo della musica e come cerca di mantenere il contatto col mondo esterno con una serie di playlist "stagionali" (che trovate all'interno di questa pagina nelle versioni autunnale e invernale).

Cosa rende un brano musicale autunnale, o invernale, o primaverile, o estivo? Dipende dal clima della regione da cui viene la musica? Associazioni arbitrarie e nostalgiche dell’ascoltatore? Il timbro della voce del cantante? È del tutto arbitrario dire che la musica di Jon Hopkins suona deliziosamente fredda, e che il quartetto d’archi in Fa maggiore di Ravel suona come la pioggia in aprile, e che “Hejira” di Joni Mitchell è in qualche modo balsamica, umida, e che la musica prodotta dalla collaborazione tra Miles Davis e Bill Evans + come il brivido di ottobre che si trasforma in novembre?
Penso alla musica “stagionalmente” da sempre, per quanto mi ricordi, ma è solo recentemente che ho iniziato a fare playlist basate sulle stagioni, credo perché, mentre la tecnologia musicale ci costringe rapidamente a distinguere tra “modi” d’ascolto, inizio a sentire che sto perdendo contatto con l’esperienza vera e propria di ascoltare musica.

What makes a piece of music autumnal, or wintry, or vernal, or summery? Is it the climate of the region of the music's origin? Abitrary nostalgic associations of the listener? The timbre of a singer's voice? Is it completely arbitrary to say that the music of Jon Hopkins is deliciously cold-sounding, and that Ravel's String Quartet in F major sounds like the rain in April, and that Joni Mitchell's Hejira is somehow balmy and humid, and that the music produced by the partnership of Miles Davis and Bill Evans is like the chill of October's drift into November? I've thought about music seasonally for as long as I can remember, but it's only recently that I've begun to make mixes around the delineation of the seasons, I think because as music technology rapidly coerces us into one mode of listening from another, I begin to feel like I'm losing touch with the very experience of listening to music.

Ma sono anche curioso riguardo all’idea di perdere contatto con quell’esperienza, mi interessano i diversi tipi di alienazione che persone abituate a un’esperienza analogica del mondo subiscono quando conoscono tecnologie nuove e spesso effimere. Lo streaming è alienante in modo unico perché il “cloud” diventa il surrogato degli oggetti fisici in modo nuovo, un modo in cui la permanenza del disco è stata soppiantata da una sorta di “permanenza della disponibilità”. Anche con un mp3 caricato su un Ipod, gli ascoltatori potevano almeno ingannarsi a pensare che il file mp3 non sarebbe andato da nessuna parte, almeno a breve, e, seguendo questa linea di pensiero, l’ascoltatore poteva essere ancora un collezionista di oggetti musicali e di esperienze nello stesso modo, in fondo, di qualcuno con scaffali pieni di Cd, cassette, o vinili. Sinceramente mi manca il mio primo Ipod, con la sua rotella cliccabile e la sua lista alfabetica di tutti gli artisti che ho amato abbastanza da includerli nello spazio limitato del disco.
Con lo streaming, invece, l’atto di collezionare musica è diventato più effimero che mai, una serie di concetti digitali che dipendono interamente sulla disponibilità di una connessione internet potente e dalla volontà dell’ascoltatore di sospendere ogni incredulità riguardo alla permanenza di tale connessione. Immaginate cosa è successo quando Rdio ha chiuso in dicembre, effettivamente cancellando tutte le playlist e le cronologie di ascolto di tutti i suoi utenti. È impossibile assegnare un valore a quel tipo di perdita, non perché i dati non hanno valore, ma perché si trattava di una cosa completamente effimera dall’inizio, che esisteva nelle memorie e nelle associazioni di ogni ascoltatore quanto nei server di Rdio.

But I'm also curious about the idea of losing touch with that experience. I'm interested in the different types of alienation that people accustomed to an analog world experience when getting acquainted with new and often fleeting technologies. Streaming is uniquely alienating because the cloud becomes a surrogate for physical objects in a new way, a way in which the permanence of the record has been supplanted by a sort of "permanence of availability." Even with an mp3 stored on an iPod, listeners could at least fool themselves into thinking that the mp3 file wasn't going anywhere anytime soon, and in this line of thinking, the listener could still be a collector of musical objects and experiences in the same essential way as someone with shelves full of CD's, cassettes, or vinyl. I sincerely miss my first iPod, with its click wheel and its alphabetical list of all of the artists that I loved dearly enough to include them in the device's limited disk space. With streaming, though, the act of collecting music has become more ephemeral than ever, a series of digital conceits that are entirely dependent on the availability of a strong internet connection and the willingness of the listener to suspend any disbelief regarding the connection's permanence. Consider what happened when Rdio shut down in December, effectively erasing the playlists and listening histories of its entire userbase. It's impossible to ascribe a value to that sort of loss, not because the data was priceless, but because it was an entirely ephemeral thing from the beginning, existing in the memories and associations of any given listener as much as in Rdio's servers.

Winter 2015/16

Non è solo per il senso di volatilità che mi sento risentito verso l’insinuazione del cloud computing nella mia vita di ascoltatore, è anche per la sua vastità e per l’assenza di spesa. Anche le tariffe mensili onnicomprensive delle piattaforme streaming mi infatistidiscono come ascoltatore tanto quanto mi attirano come consumatore parsimonioso. La musica è diventata come l’acqua in un paese sviluppato: un bene primario, vicina all’essere disponibile gratuitamente, immagazzinata in riserve che il pubblico vede raramente. Addirittura, se le siccità aumentano in frequenza e intensità, la musica sarà presto più simile all’acqua dell’acqua stessa, in termini della sua scarsità relativa. Questo è un sintomo di un momento più ampio nella nostra cultura, uno in cui la musica, le parole, le immagini, i media – le idee in generale – sembrano avere i loro poteri più discreti diluiti mano a mano che la tecnologia è progettata per trarre profitto dal nostro consumo aggregato.

It’s not just the feeling of impermanence that makes me resentful of cloud computing’s insinuation into my life as a music listener, it is also its vastness and lack of expense. Even the flat monthly fees of streaming platforms bother me as a listener as much as they appeal to me as a frugal consumer. Music becomes like water in a developed nation: a utility, close to freely available, stored in reservoirs rarely seen by the public. Perhaps, as droughts increase in frequency and severity, music will soon be more like water than water itself in terms of its relative scarcity.  This is one symptom of a larger moment in our culture, one in which music, words, images, media—ideas as a whole—seem to have their subtler powers over us diluted the more that the technology is designed to profit off of our consumption in aggregate.

Comunque, sono complice come chiunque altro – pago per Spotify, e apprezzo davvero il fatto che mi dà istantaneo e relativamente costante accesso a quasi ogni prodotto musicale che desidero ascoltare (un’eccezione lampeggiante è il catalogo Drag City). Brontolo sulla svalutazione della musica che amo da parte di Spotify tanto quanto apprezzo che mi introduca a musica che non ho mai sentito. Cerco di trovare nuovi modi di formare associazioni con la musica che amo. Spotify ti permette di “salvare” album, ma quando stai galleggiando in un lago di musica apparentemente senza fondo, trovo che segnare un album come “salvato” sia più un gesto simbolico che una garanzia che ci tornerai.

Still, I'm as complicit as anyone else--I pay for Spotify, and I really do appreciate the fact that it gives me instant and relatively constant access to nearly any music that I should desire to listen to (one glaring absense being anything on Drag City). I groan about Spotify's devaluation of the music that I love at the same time that I quietly appreciate it introducing me to music that I've never heard. I try to develop new ways of forming associations with the music that I enjoy. Spotify allows you to "save" albums, but when you're afloat in a seemingly bottomless lake of sound, I find that marking an album as saved is more of symbolic gesture than a guarantee that I'll ever come back to that music. 

Quindi, in un terribile tradimento della mia fedeltà da ventesimo secolo all’album come forma artistica musicale principe, ho iniziato a fare playlist Spotify per gli amici e per me. In questo momento sto preparando un mix per ogni stagione, cosa che continuerò a fare finché non mi annoierò o Spotify non chiuderà, o entrambe. Ce ne sono due al momento, una per l’autunno 2015 e una per l’inverno 2015/16, entrambe le quali superano le 30 canzoni. Penso che sia una lunghezza giusta per provare a tenere qualcosa per le prossime playlist. Cerco di fare molte scelte alternative insieme ad alcune chiamate più ovvie, e spero che chi le segue conosca qualcosa che non hanno mai sentito, anche perché una quantità considerevole della musica è relativamente nuova anche per me. La cosa di molte delle playlist ufficiali di Spotify e Apple Music è che tendono a essere piuttosto sterili e impersonali. La maggior parte delle playslit Spotify sono come un grande magazzino deserto, solo scaffali su scaffali di merce raggruppata per colore, con l’aiuto di un algoritmo ma senza un percorso unificante e personale. Le playlist ufficiali di Apple Music tendon a riflettere una saggezza condivisa su cosa “dovresti” ascoltare, con quella arrogante voce curatoriale che potresti aspettarti da quell ache era la compagnia coi maggiori profitti del mondo appena qualche ora prima che scrivessi questo (è stata appena superata dalla holding di Google, Alphabet). Cerco di fare selezioni impulsive come parte dell’esperienza di ascolto. Mi ricordo vagamente di avere fatto un mixtape o due quando ero un ragazzo, negli anni 90, ed essere limitati da quello che avevo tra le mani era una specie di benedizione, perché rifletteva l’esperienza intima della persona che faceva il mixtape in un modo che non avremo mai più davvero. Ma all’interno della quasi infinita distesa di musica che ci è ora disponibile (quasi) quando vogliamo sta il potere dell’imprevisto.

So, in a terrible betrayal of my 20th century allegiance to the album as the ultimate musical artform, I've started making Spotify playlists for friends and for myself. Right now I'm mainly doing a mix for each season, which I'll continue to do until I get bored or Spotify goes under, or both. There are two so far, one for Fall 2015 and one for Winter 2015/16, both of which hover around 30 songs. I think it's a good length to try to keep things for future playlists. I try to make a lot of leftfield choices alongside some more obvious picks, and I hope that anyone who follows along is introduced to some things that they've never heard before, as a decent amount of the music is relatively new to me too. The thing about a lot of the official Spotify and Apple Music playlists is that they tend to be rather sterile and impersonal. Most official Spotify playlists are like an empty department store, just racks and racks of merchandise grouped together by similar color, aided by algorithm but lacking any unifying and personal thread of significance. Apple Music's official playlists tend to reflect a conventional wisdom about what you "should" be listening to, the sort of haughty curatorial voice that you might expect from what was the world's most profitable corporation within just a few hours of my writing this (it was just overtaken by Google's holding company Alphabet). I try to make impulsive selections a part of the listening experience. I vaguely remember making a cassette mixtape or two when I was a kid in the 90's, and being limited to what one had on hand was kind of a blessing, because it reflected the intimate experience of the person making the mixtape in a way that we will never truly get back. But within the almost infinite expanse of music that is now available to us (almost) whenever we want it lies the power of the unexpected. 

Questo mi riporta all’idea delle stagioni: costanti, immutabili (beh, non più, grazie ai cambiamenti climatici) e naturali. La nostra dipendenza collettiva dalle esperienze online sconvolge la nostra abilità di processare e apprezzare il mondo fisico nel modo a cui eravamo abituati. Anche quando vado in campeggio, a volte sento il richiamo del mondo online, con il suo calore sintetico e rassicurante. Organizzare le mie esperienze musicali stagionalmente mi permette di segnare il tempo in modo che la mia memoria sensoriale continui a capire, e mi permette di tenere un dito nel mondo esterno, anche se il colore è sottratto dagli alberi e dal suolo e ricostituito all’interno degli stretti confini dei nostri dispositivi.

Which brings me back to the idea of seasons: constant, immutable (well, not anymore, thanks to climate change), and natural. Our collective addiction to online experiences upends our ability to process and appreciate the physical world the way that we once did. Even when I go camping, sometimes I still feel the tug of the online world, with its synthetic, reassuring warmth. Organizing my musical experiences seasonally allows me to mark time in a way that my sensory memory continues to understand, and it allows me to keep a finger in the outside world, even as the color is siphoned out of the trees and the soil and repopulated within the narrow confines of our devices.

Traduzione e introduzione di Lorenzo Righetto.