Non esiste l’avanguardia; solo qualcuno che rimane un po’ indietro
Tra i compositori del Novecento, Edgard Varèse è uno dei nomi più divisivi e meno compresi, anche (e forse soprattutto) all'interno del mondo accademico. Uomo solitario, capace di picchi di euforia alternati a momenti di depressione e pessimismo difficilmente immaginabili, Varèse è stato uno di quegli artisti capaci di sfidare il proprio tempo per cercare di andare oltre le convenzioni apprese nei suoi studi in Conservatorio, di oltraggiare i suoi contemporanei per porsi oltre il limite di ciò che viene ritenuto socialmente accettabile. Costantemente irriverente, anche nelle sue idee politiche, ha fermamente avversato il concetto di Stato nell'epoca dei nazionalismi.
Chi non si sente di appartenere all’umanità, ma a un singolo Stato, è un imbecille
Una delle domande più frequenti che gli venivano rivolte nelle varie interviste era se ritenesse che le sue composizioni potessero essere definite come la musica del futuro. Nell'arco degli anni, ha sempre risposto nello stesso modo, sottolineando come la sua opera fosse "musica del presente" e che il problema stesse nel fatto che i compositori e buona parte del pubblico vivessero - a differenza sua - nel passato.
Nato a Parigi nel 1883, figlio di padre italiano e madre francese, Edgard Varèse cresce immerso nella cultura europea. Frequenta Picasso, ha una passione per Claude Debussy, Arnold Schönberg e Igor' Fëdorovič Stravinskij (assiste alle prime esibizioni di "Pierrot Lunaire" e "La sagra della primavera", quest’ultima in particolare lo influenzerà per tutta la sua carriera). A Parigi, ancora studente, diventa amico di Debussy, che lo incoraggia in tutti i modi possibili a proseguire sulla sua strada, anche di fronte alle iniziali difficoltà.
Lei ha il diritto di comporre quel che vuole nel modo che vuole, se la musica che produce è veramente sua
(Claude Debussy)
La celebre frase di Debussy “Le regole non creano le opere d’arte” diventa l’utopica chimera della sua vita artistica. Nel 1907 si trasferisce a Berlino dove conosce Ferruccio Busoni che lo seduce enormemente per la sua radicale voglia di innovazione.
Busoni confermò le mie idee, mi aiutò a precisarle e mi incoraggiò a metterle in pratica; essendo un conversatore scintillante, oltre che un brillante pensatore, aveva il dono di stimolare il mio spirito verso abissi di immaginazione profetica
Chiaramente affascinato dalla grandezza e dal fermento dei nuovi avvenimenti culturali della prima metà del 900 europeo, si sente comunque stretto all’interno della vecchia Europa, continente in cui la musica classica è ancora estremamente legata alla tradizione. Decide quindi di abbandonare la cultura di cui è imbevuto per trasferirsi negli Stati Uniti, terra dove la musica classica si trova in uno stato decisamente meno accademico e storicizzato, una sorta di terra vergine dove potersi esprimere con estrema libertà.
L’America è dura e questo è un bene. Chi è forte e sensibile qui riceve traumi continui, perché in questo paese primitivo e brutale, tutto è nuovo, senza sfumature, fortissimo
Prevale quindi in Varèse la voglia di osare, di non ripetere quello che è già stato fatto, di spezzare ogni legame con la musica del secolo scorso per dare davvero l'avvio alla musica del Ventesimo secolo. Diventerà una missione da perseguire per il resto della sua vita, che si trasformerà ben presto in una serie di obiettivi artistici simili a un’ossessione. Per poter aggiungere questo scopo, nel 1921 fonda - insieme a Carlos Salzedo - la Lega Internazionale dei Compositori, che ha l'obiettivo di diffondere la musica del 900. Ne scrive anche il manifesto, nel quale sottolinea il bisogno di aiuto dei compositori moderni.
I direttori d'orchestra, molti dei quali sono delle prime donne e non pensano che a sé stessi, non ascolteranno mai uno sconosciuto, mentre gli impresari, convinti che il pubblico non gradisca le novità, non ne promuoveranno mai uno
Nuovi strumenti per il Ventesimo secolo
Uno dei suoi pensieri è rappresentato dai limiti imposti dagli strumenti tradizionali e dalla necessità di creare - grazie alla collaborazione tra compositori e ingegneri - nuovi strumenti dalle più grandi potenzialità. Nasce da qui la sua lunga collaborazione con l’ingegnere sovietico Léon Theremin nel tentativo di creare e perfezionare nuovi strumenti. Una collaborazione che lo porterà sia a momenti esaltanti sia a grandi delusioni, quando si renderà conto che i musicisti utilizzano il suono del theremin per riproporre le stesse melodie delle composizioni per archi del secolo precedente.
Frequenta Pierre Schaeffer e i suoi studi di registrazione, ma si interesserà davvero alla musica concreta solo verso la fine della sua carriera, da "Deserts" in poi. E’ ovviamente affascinato dai primi vagiti della musica elettronica e soprattutto dalla possibilità di amplificare il suono, cosa che gli fa pensare che l’orchestra classica sia destinata a essere sostituita con una orchestra amplificata nel giro di pochi anni. Questa idea ambiziosissima di creare suoni e timbri nuovi non riproducibili con gli strumenti tradizionali, ritenuti non più adatti, lo allontana dal neoclassicismo, che criticherà in ogni modo, ritenendolo la musica di chi vive nel passato e non accetta i cambiamenti della modernità.
L'irriverenza è il vero fondamento del lavoro creativo!
Ne nasce una critica, per certi versi inattesa, ai rumoristi italiani come Luigi Russolo, la cui musica non possiede alcuna varietà di combinazioni sonore ed è quindi, agli occhi di Varèse, troppo limitata. Questo crea l’ennesima cesura necessaria per poter intraprendere un nuovo percorso (almeno inizialmente) solitario.
Il ruolo del compositore e i suoi ostacoli
Il compositore è, tra i creatori contemporanei, il solo cui è negato un contatto col pubblico. Una volta che il suo lavoro è terminato, egli viene messo da parte e fa la comparsa l’interprete, non per cercare di capire la composizione, ma per giudicarla con impertinenza. Se non vi trova traccia delle convenzioni a cui è abituato, la esclude dal proprio repertorio denunciandola come incoerente e incomprensibile
(Manifesto della Lega Internazionale dei Compositori)
Nei suoi scritti Varèse sottolinea spesso la frustrazione del ruolo del compositore, a suo dire l’unico artista privato sia di ogni contatto col pubblico, sia di ogni controllo sulla sua opera che - appena terminata - si ritrova nelle mani degli esecutori, cioè di direttori d’orchestra che la interpretano in modo spesso molto diverso da come l’autore l'aveva immaginata. Non risparmia nemmeno il ruolo del virtuoso dello strumento, visto tendenzialmente come una figura conservatrice, ancorata al passato, incapace di interpretare le nuove frontiere musicali. Varèse sogna dunque un futuro della musica senza virtuosi e senza direttori d’orchestra.
L’esecutore e il virtuoso non dovrebbero esistere, in futuro una macchina prenderà il loro posto e sarà un bene
Altri nemici dei compositori moderni sono rappresentati dalla pigrizia del pubblico, troppo spesso abitudinario e incapace di comprendere e apprezzare ogni scostamento dai propri ascolti abituali, e dalla saccenza dei critici, nella maggior parte dei casi persino più retrogradi e conservatori del pubblico stesso ("l'ignoranza dei critici è pari solo alla loro malafede”). In particolare, a suo parere, i critici musicali sarebbero totalmente incapaci di comprendere quanto quelli che oggi chiamiamo classici (Varèse fa l'esempio di Bach, Mozart e Beethoven) ai loro tempi fossero stati rivoluzionari e molto spesso incompresi.
La musica moderna non è mai stata melodica. Lo è diventata solo quando ha smesso di essere moderna
Il suono organizzato, una nuova musica per un nuovo pubblico
Il passato non va rifatto. Si è già realizzato, è dentro di noi
Per Varèse la musica deve quindi tagliare i legami con la tradizione e le regole accademiche per divenire “suono organizzato”, cioè un suono violento che colpisca l'ascoltatore e lo scuota dalle sue certezze, che lo faccia sobbalzare dalla sedia, che lo porti in terreni inesplorati ma vivi ed esaltanti, che crei timbri mai uditi prima, che sia amplificato, che superi sia il classico sistema temperato sia gli strumenti tradizionali (in particolare gli archi). Per Varèse il suono organizzato deve evitare categoricamente sia la ricerca di una melodia da memorizzare facilmente (“Non appena domina la melodia, la musica diventa soporifera”), ma anche la ripetizione che rende l'opera prevedibile (“Nella mia musica non troverete le ripetizioni del jazz o gli sviluppi tematici della musica di Beethoven, che sono poi la stessa cosa”) o una storia da raccontare (“La musica non è un racconto né un quadro”, “La musica è la più astratta delle arti”). Per creare questo “suono organizzato” è necessario un altro elemento di rottura col passato, cioè relegare a un ruolo sempre più marginale gli archi, per porre in primo piano gli ottoni e soprattutto le percussioni, vero elemento di scandalo delle opere del compositore francese.
Le percussioni non sanno raccontare una storia. Hanno un aspetto vivo e immediato che nessuno strumento possiede
Per accentuare gli elementi di modernità, insomma, la musica deve riprendere i suoni che provengono dal nuovo mondo che sta emergendo con strumenti inediti, mai utilizzati nell'orchestra.
Ho sempre considerato il mondo industriale come una fonte di bellissimi suoni, una miniera inesplorata di musica in embrione
Varèse crede che un nuovo pubblico per la nuova musica esista già e possa essere coinvolto. Lo ha visto chiaramente in alcune delle sue esibizioni e lo immagina diviso in due categorie. Da una parte, un'élite progressista aperta al cambiamento, sempre alla ricerca di nuove esperienze culturali che possono spaziare dalla musica alle arti visive (la definisce un'aristocrazia colta), dall’altra una parte minoritaria del pubblico comune, con una mente non ancora oscurata dalle infinite false verità di uno pseudo-sapere. Varèse non dà alcuna chance al pubblico borghese che ha imparato alcune nozioni in giovane età, perché capisce subito che la sua mente ha già un’opinione preformata difficile da sciogliere e non ha alcun interesse a smuoversi dalle proprie certezze: è un pubblico che apprezza un concerto solo se ripropone quello che già conosce, proprio come fanno gran parte dei critici. Quindi se la musica nuova già esiste, seppur ostacolata in ogni modo, potrebbe avere anche un suo pubblico se questo avesse la possibilità di seguirla con una certa regolarità.
Se vogliamo che la musica moderna sia riconosciuta per il suo valore e che abbia una sua dignità, dovremmo smettere di parlarne e iniziare a suonarla
Le opere principali
Prima del trasferimento negli Stati Uniti d'America, Varèse distrugge tutte le sue prime opere ritenendole totalmente inadatte alla sua nuova idea di musica. Rimane solo Un Grand Sommeil Noir del 1906, composizione giovanile lontanissima dal tipo di suono che lo renderà riconoscibile negli anni successivi.
La prima opera significativa è senz'altro Amériques, scritta tra il 1918 e il 1922, composizione monumentale che richiede un’orchestra enorme di almeno 150 musicisti composta - oltre che dai consueti archi e ottoni - da xilofono, campane da slitta, glockenspiel, sirene, fruste, raganelle, celesta, richiami per corvi, tamburello, gong, nacchere, macchine del vento (eliofoni), arpa, clapper, tamburo a corde, fischietti per barche. Un arsenale davvero incredibile per un’orchestra. Il titolo può far pensare a una descrizione del continente americano, ma Varèse ha sempre negato che i suoi titoli abbiano intenzione di raccontare qualcosa, anzi, ha precisato che sono stati sempre scelti alla fine della scrittura quasi casualmente, per ispirare una sensazione più che suggerire un aneddoto.
Ammetto che il punto di partenza possa essere un’immagine o un’idea, ma questa poi scompare gradualmente mentre l’opera si forma
Amériques rappresenta in pieno lo spirito dell'epoca in cui è stata scritta, è assolutamente la musica del presente, quando i compositori coevi erano ancora ancorati a quella del passato. Le percussioni, per Varèse, sono simbolo della modernità e della vita nuova degli Stati Uniti, frenetica e in continua evoluzione. Evita volontariamente ogni tipo di melodia per concentrarsi su dissonanze e ricerche di timbri inconsueti, su suoni inaspettati e innovativi, dalle sirene a una frusta, dalla macchina del vento alle campane da slitta sino a una particolare percussione chiamata "ruggito del leone". Le poche note di flauto iniziali, quasi una melodia, sono un semplice pretesto per rendere la composizione riconoscibile. Quei pochi secondi si perdono rapidamente per riemergere regolarmente all'interno dei venticinque minuti successivi, quasi a dividere l'opera in varie parti.
All'interno vi è la violenza di un nuovo mondo sonoro, capace di raggiungere volumi fino all’epoca difficili da immaginare. Come Varèse ci aveva detto, non esistono mai ripetizioni, non c’è alcuna possibilità per l'ascoltatore di prevedere quello che accadrà nei minuti successivi, se non le note di flauto che periodicamente riemergono dal caos. Tutto è imprevedibile ed eccitante, in particolare quando le percussioni prendono il sopravvento e quando le sirene creano un forte legame col suono della società moderna, chimera del compositore. Questi venti minuti avveniristici contengono tutte le intuizioni che saranno presenti nelle future opere di Varèse, che (con le dovute differenze) saranno sempre una continua evoluzione delle idee di Amériques (persino quando si occuperà di musica elettronica e musica concreta).
La prima esecuzione dell’opera avviene nel 1926 a Philadelphia con la direzione di Leopold Stokowski e ottiene buoni riscontri.
Dopo Amériques, Varèse scrive una serie di opere brevi, prima di tornare alla grande orchestra con Arcana. Offrandes (1921) è un'opera minore di circa sette minuti divisi in due parti per orchestra da camera e soprano. Hyperprism è una composizione breve (circa tre minuti), da suonare con un'orchestra di 18 elementi, prima di una serie di opere (Intégrales, Ionisation, Density 21.5,) dai titoli che suggeriscono legami col mondo della scienza.
Opera dissonante, disarmonica, chiaramente anti-melodica e decisamente avanguardistica, Hyperprism è incentrata sulle percussioni, sui fiati e sui legni che si sovrappongono, quasi a rafforzarsi tra loro. Il suono delle sirene crea un legame con Amériques, ma in realtà si tratta di un’opera decisamente più astratta. Alla prima, nel 1923 a New York (con la direzione di Varèse), quasi si sfiorò una rissa tra il pubblico, con una parte che fischiava e urlava e un'altra che applaudiva. A un certo punto la componente che applaudiva iniziò a fischiare quella che contestava e alcuni entrarono in contatto. Il compositore Carlos Salzedo, presente tra il pubblico, dovette intervenire per placare gli animi.
Octandre (1923) è un brano da camera di tre movimenti della durata di appena due minuti ciascuno.
Ben altra impressione suscita Intégrales (1924–1925), composizione che riprende la tecnica di Hyperprism, ma accentuando la complessità e la durata (dieci minuti). Opera di rottura radicale con la musica classica tradizionale, Intégrales sorprende per la sua ortodossia. Nella costante distanza da ogni forma di armonia, nella mancanza di ogni prevedibilità possibile, in alcuni momenti riecheggiano brevi frammenti melodici immediatamente sommersi da dissonanze.
Arcana è l'ennesimo titolo altamente evocativo scelto da Edgard Varèse, stavolta per la sua seconda composizione per una grande orchestra dopo Amériques. Composta tra il 1925 e il 1927, Arcana evoca apparentemente mondi esoterici e alchemici (il nome è ispirato dai testi di Paracelso), ma è in realtà la sua sinfonia più colorata e vivace.
Non ho mai scritto una musica tanto solida, gioiosa, piena di forza, di vita e di sole
Nonostante il titolo evochi scenari particolari, la musica di Varèse non va mai intesa come "descrittiva". Essa è sempre puro suono che non vuol raccontare alcuna storia, semmai ispirare sensazioni più vaghe possibili. La potenza evocativa è puro piacere sonoro che qui raggiunge vertici davvero insoliti, anche grazie all'orchestra davvero enorme (circa centoquaranta musicisti). Le caratteristiche sono le stesse delle precedenti composizioni (l’assenza di melodia, di ripetitività e l’uso massiccio di percussioni e ottoni), ma Arcana accentua il suo aspetto cinematico, comunque già presente in Amériques. Dal magma affiorano frammenti melodici brevi che svaniscono rapidamente, ma comunque ben più evidenti rispetto ai lavori precedenti.
Tra le sue opere brevi, quella più rivoluzionaria è certamente Ionisation per tredici musicisti che utilizzano una cinquantina di percussioni, prima composizione di musica classica con un'orchestra formata interamente da percussionisti, oltre alla immancabile sirena. Fino a questo momento le percussioni erano sempre state utilizzate come contorno, come integrazione marginale, mai immaginate come strumenti autonomi capaci di sorreggere per intero una composizione classica. Varèse cambia radicalmente questo paradigma spiazzando per l'ennesima volta il pubblico. L’aspetto spaziale è fondamentale per ottenere gli effetti sonori richiesti dall’autore. Ogni percussionista deve essere posizionato in un determinato punto dell'orchestra, formando esattamente un doppio semicerchio attorno al direttore.
Opera estremamente irriverente di sovrapposizioni poliritmiche ed effetti timbrici dei più svariati - grazie al numero di percussioni differenti - Ionisation rappresenta uno dei momenti spartiacque della musica del 900. Eppure, nonostante l’indubbia valenza storica, l'opera non nasce dal nulla, ma è chiaramente un'evoluzione che porta alle estreme conseguenze l'idea oltranzista di cambiamento già concepita con Amériques. Questi suoni erano in qualche modo già nell'aria, Varèse ha avuto il merito di coglierli prima degli altri e farli suoi con coraggio e ostinazione.
La prima a New York del 1933 è un successo e Ionisation viene riproposto varie volte sia negli Stati Uniti che in Europa. Frank Zappa raccontò non solo che decise di diventare un musicista dopo aver ascoltato questa opera, ma che la fece ascoltare a tutti i suoi amici per capire, in base alla loro opinione, quanto fossero intelligenti. Probabilmente non molti superarono l'esame.
Ecuatorial (1932–1934) è una composizione intermedia con voce lirica maschile, quasi un'evoluzione di Offrandes. Due aspetti la rendono comunque significativa: l'utilizzo del pianoforte (prima volta per Varèse) e soprattutto il primo utilizzo dell'Onde Martenot, un primordiale sintetizzatore elettronico inventato da Maurice Martenot con l’aiuto di Leon Theremin, che emerge in varie circostanze creando un immaginario del tutto nuovo.
Si chiude quindi la fase più vitale del compositore, mai stato particolarmente prolifico nella sua carriera. Se si eccettua la breve Density 21.5 (1936) - composizione atonale immaginata per essere suonata da un flauto di platino - tra Ecuatorial e il successivo Deserts passano ben quindici nei quali Varèse precipita nell’abisso della depressione e scompare dai radar.
Le difficoltà economiche, la sensazione di non essere davvero compreso dai contemporanei, dagli accademici, che lo considerano solo un idealista strambo, e in generale la convinzione sempre più forte che la sua forza innovatrice sia destinata a sparire nell’oblio del tempo lo portano ad abbandonare temporaneamente la musica.
La causa principale della depressione è comunque da ricercarsi nei rifiuti ricevuti dalle sue richieste di fondi per vari progetti di ricerca finalizzati alla creazione di nuovi strumenti elettronici. Cerca inoltre di convincere le principali case cinematografiche a utilizzare il suo “suono organizzato" come colonna sonora di film, ma anche in questo caso le sue aspirazioni vengono costantemente frustrate. La cosa risulta bizzarra, in quanto la musica di Varèse ha chiaramente aspetti cinematici e proprio gli autori di colonne sonore l’hanno ampiamente saccheggiata, in particolare dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi (ad esempio, Jerry Goldsmith in "The Planet Of The Apes" del 1968 utilizza sonorità tipicamente varèsiane). Tutto questo lo porta a chiudersi in sé stesso: nei momenti più bui, coltiva anche idee autolesioniste. Inizia a chiedere a vari medici come, ipoteticamente, si potrebbe morire senza soffrire, fino a quando si decide a chiedere seriamente al suo medico di procurargli un farmaco per potersi spegnere in modo indolore.
In questi anni, pur non riuscendo a scrivere, si dedica all'insegnamento. Nel 1948 tiene lezioni di composizione presso la Columbia University e nel 1950 insegna nella celebre scuola di Darmstadt (tra i suoi allievi ci sono Luigi Nono e Bruno Maderna). Proprio dopo le lezioni di Darmstadt si riprende un po’ e inizia a scrivere Déserts che prevede l'utilizzo di nastri magnetici. Sono gli anni in cui frequenta il laboratorio di Pierre Schaeffer, il pioniere della musica concreta, che gli offre varie nuove idee utili per terminare Déserts e per immaginare il successivo Poème électronique For Electronic Tape.
Déserts rappresenta purtroppo l'ultima grande composizione di Varèse, che chiude il cerchio della sua trilogia di opere per grande orchestra iniziata con Amériques e Arcana. Stavolta, sfrutta tutte le nozioni di musica elettronica apprese in quegli anni a Parigi da Pierre Schaeffer, la cui influenza è particolarmente tangibile. Il compositore francese raggiunge un apice sperimentale, riuscendo a scrivere una sinfonia avveniristica, divisa in quattro movimenti, a metà tra musica orchestrale, elettronica e concreta; è la sua opera più estrema e coerente, la più autentica e, proprio per questo, la più complessa. In particolare la terza parte, con le registrazioni di rumori industriali, lambisce vertici visionari.
Deserts descrive non solo deserti fisici di sabbia, mare, montagne e neve, spazio esterno, strade cittadine deserte, ma anche lo spazio interiore distante dove l'uomo è solo in un mondo di mistero e solitudine essenziale
La prima si tiene a Parigi il 2 dicembre 1954, con la direzione di Hermann Scherchen e con Pierre Henry incaricato della riproduzione dei nastri magnetici. Déserts viene eseguita tra opere di Mozart e Čajkovskij con un pubblico che, come avrebbe detto Varèse, voleva solo sentire quello che già conosceva. L'accoglienza è quindi disastrosa, da parte sia del pubblico che della critica. L’unico a complimentarsi è l’ormai anziano Igor Stravinsky, che tanto aveva influenzato sin dagli anni venti, la vita artistica di Varèse.
Edgard Varèse e Frank Zappa
Molto deluso, Varèse torna a New York nel 1955, l'anno dell’aneddoto più bizzarro e divertente della sua vita. Un adolescente sconosciuto, Frank Zappa, nel giorno del suo compleanno, chiede alla madre i soldi per una interurbana per poter chiamare quello che allora era il suo idolo. La madre lo accontenta, ma al telefono risponde la moglie che, con gentilezza, lo avvisa che il marito era in Europa e che sarebbe tornato dopo qualche settimana.
Rispose sua moglie. Era molto gentile e mi disse che lui era in Europa e di richiamare tra qualche settimana. Lo feci. Non ricordo esattamente cosa gli dissi, ma era qualcosa tipo: 'Mi piace molto la sua musica'
Frank Zappa
Non contento, dopo un anno Frank Zappa decide di scrivere a Varèse una lunga lettera che inizia così: “Dear Sir, forse ti ricorderai di me e della mia stupida telefonata dello scorso gennaio, se non è così, il mio nome è Frank Zappa Jr e ho 16 anni. Il motivo della mia lettera è che sto visitando dei parenti a Baltimora e finché sarò sulla costa orientale spero di riuscire a vederti”.
Varèse risponde educatamente.
Caro signor Zappa, mi dispiace non poter soddisfare la sua richiesta. Parto per l'Europa la prossima settimana e sarò via fino alla prossima primavera. Spero comunque di vederla al mio ritorno. Con i migliori auguri. Cordiali saluti. Edgard Varèse.
E’ bello immaginare che l’ingenuità e la sincerità del giovane Zappa siano riuscite a far sorridere l’anziano Varèse in un momento della sua vita così difficile.
La carriera di Varèse è ormai quasi conclusa, ma nel 1957 torna in Europa per lavorare presso i laboratori Philips di Eindhoven e scrivere una composizione elettronica destinata a sonorizzare il padiglione di Le Corbusier per l’esposizione universale di Bruxelles del 1958. Nasce quindi Poème électronique For Electronic Tape, il suo primo lavoro interamente elettronico. A sentirli oggi, questi otto minuti potrebbero non apparire così significativi, ma se consideriamo l’anno, è facile intuire la capacità di Varèse di afferrare, come nessun'altro, i suoni del presente. I rintocchi dei primi secondi oggi potremmo definirli addirittura dark-ambient, mentre lo sviluppo successivo coniuga le consuete idee del compositore francese, che utilizza ancora le percussioni (registrate) per fare da supporto e potenziare l’effetto della musica elettronica. I rintocchi si ripetono dopo due minuti per ricreare un filo conduttore all'interno di un brano estremamente sperimentale, che può considerarsi una delle opere più pionieristiche dell'elettronica e della musica concreta.
Gli ultimi anni
Verso l'inizio degli anni 60 inizia, nei confronti di Edgard Varèse, un’opera di riscoperta, in particolare grazie al compositore e direttore Pierre Boulez che suona e registra tutte le composizioni orchestrali. Queste registrazioni sono ancora oggi disponibili. Varèse non scrive più nulla e il 5 novembre 1965 ci lascia all’età di 81 anni. Di lui rimangono sole opere incompiute, alcune delle quali (Tuning Up, Dance For Burgess e Nocturnal) completate dal suo allievo Chou Wen-chung. Manca invece Espace che avrebbe dovuto essere la sua ultima composizione orchestrale di grande respiro. Ma questa è una storia che, purtroppo, non potremo raccontare.
Bibliografia
EDGARD VARESE | ||
Un grand sommeil noir (1906) | ||
Amériques per grande orchestra(1921) | ||
Offrandes per soprano e orchestra da camera (1921) | ||
Hyperprism per fiati e percussioni (1923) | ||
Octandre per sette strumenti a fiato e contrabbasso (1923) | ||
Integrales per percussioni e piccola orchestra (1925) | ||
Arcana per grande orchestra (1927) | ||
Ionisation per tredici percussionisti (1931) | ||
Ecuatorial per coro, trombe, tromboni, pianoforte, organo, due Ondes Martenot e percussioni (1934) | ||
Density 21.5 per flauto solo (1936) | ||
Déserts per fiati, pianoforte, percussioni e nastro magnetico (1954) | ||
Poème électronique per nastro magnetico (1958) |
Wikipedia |