Bowery Electric

Bowery Electric

Dalla drone-music al battito di Bristol

A cavallo fra due mondi fino a quel momento slegati come lo shoegaze e il trip-hop, spaziando da nenie ossessive ad atmosfere urbane avvolgenti, gli americani Bowery Electric hanno compiuto una trasformazione repentina in soli tre album, che ha gettato le basi per una nuova evoluzione musicale. Una parabola intrigante, che venne però precocemente interrotta

di Alessandro Mattedi

I Bowery Electric si formano verso la fine del 1993 a New York dall’incontro di Martha Schwendener e Lawrence Chandler, quest'ultimo un collaboratore del compositore Philip Glass ed ex-studente di LaMonte Young. Assieme a loro nel periodo iniziale di carriera c'è anche Michael Johngren alla batteria per le sessioni live e le registrazioni, ma i Bowery Electric sono sostanzialmente un duo.
Il gruppo nei suoi intenti iniziali si propone di seguire le coordinate musicali che stavano venendo tracciate nel calderone del cosiddetto "shoegazing", che successivamente al punto di riferimento stabilito dai My Bloody Valentine di “Loveless” stava dando vita a una fertile e creativa scena musicale che rimescolava a vari livelli (con gruppi anche diversi fra di loro ma accomunati da determinate scelte estetiche e sonore) noise-rock, dream-pop, psichedelia, drone-music. La prima esibizione dei Bowery Electric avviene già nel gennaio del 1994, e a questa seguono diversi spettacoli negli Stati Uniti e il rilascio di alcuni piccoli singoli autoprodotti con la loro etichetta indipendente, la Hi-Fidelity.

L'avventura degli statunitensi ha il suo primo capitolo con un Ep intitolato Drop, che fa il suo ingresso nella scena all'insegna di un cupo noise/drone dilatato ed etereo, condito da effetti stranianti e soffusi tratti ambient,
La musica del gruppo si allinea dal punto di vista dei suoni con gli shoegazer Seefeel, Spacemen 3 e i Loop, e un pizzico con il rock in lo-fi dei Pavement. A livello di composizioni e arrangiamenti la proposta, tramite soprattutto l'influenza delle composizioni di Glass, viene espansa e prolungata in lunghi droni alienanti. Essenzialmente, quindi, ritroviamo cascate di distorsioni riverberate, strutture ripetute e ossessive, batteria cadenzata e ripetitiva che scandisce con continuità l'atmosfera ruvida dei brani. Il canto è quasi impercettibile, una nenia sporadicamente sussurrata che si inserisce come contorno occasionale nelle canzoni, il cui vero nocciolo è costituito dall'acido ripetersi di muri di distorsioni piene e sature. Nelle linee vocali si alternano sia Chandler che Schwendener, conferendo un minimo quasi impercettibile di variazione.
Tutto ciò nell'Ep d'esordio mostra spunti interessanti, ma fatica ancora a trovare una propria personalità. Anzi, i brani sembrano più che altro delle monotone (e alla lunga stancanti) riproposizioni dei cliché più caratteristici dei nomi che ispirano i Bowery Electric. I droni chitarristici intendono fare atmosfera, ma purtroppo non offrono spunti emotivi originali o tentativi di innovazione minimalista. 
La title track iniziale è quindi un malinconico ma fastidiosamente ridondante dipanarsi di bassi intermittenti, riff caustici e muri sonori distorti, occasionalmente spezzati dai timidi interventi di Martha al microfono. "Let Me Down" prosegue su questa scia con più decisione e meno sorprese; e "Head On Fire" la ricicla in maniera ripetitiva. Prevedibilmente "Only Sometimes" prosegue il discorso insistendo su questa litania di distorsioni stratificate per ben 7 agonizzanti minuti.
Un lavoro ancora acerbo, insomma, che non mostra ancora il meglio di ciò che i Bowery Electric avrebbero saputo fare.

Bowery ElectricNell'autunno del 1994, ad ogni modo, la Kranky rimane piacevolmente colpita dalla proposta musicale del gruppo e gli offre un contratto con cui incidere un full-length.
Nel 1995 così avviene il vero debutto con l'omonimo Bowery Electric. L'album riceve molti apprezzamenti dalla critica, ma in realtà il tentativo, sfortunatamente, riesce a metà e non è ancora un capolavoro. Da un lato, infatti, si tratta di un'opera fortemente densa e atmosferica, minimalista nello stile ma più ambiziosa nel dipingere paesaggi sonori dal mood teso e macchiato di visioni spaziali, sensazioni gelide e angoscianti o frammenti onirici fumosi. Da questo punto di vista la progressione rispetto a Drop è notevole e mostra già un gruppo più maturo e consapevole delle proprie capacità atmosferiche. Dall'altro, si tratta di un lavoro appesantito ancora da un'eccessiva ripetizione di cliché stilistici nei pezzi, le composizioni dei quali espandono e ripetono troppo gli spunti inquadrati dal duo e le distorsioni noise riverberate. 
Lo schema rimane sostanzialmente stabile per tutti i cinquanta minuti, con estesi muri sonori di droni chitarristici ipnotici che costruiscono scenari allucinogeni su cui si innestano una batteria cadenzata, bassi pulsanti e rabbrividenti, decadenti panorami urbani post-industriali.
Per quanto riguarda l'apporto vocale, tendenzialmente in lo-fi, Schwendener si limita a sporadici interventi minimali, quasi da tetra nenia, che rimangono in secondo piano, così come Chandler come seconda voce si mantiene anch'esso in disparte, col risultato che la parte canora non è mai in mostra, è sempre finalizzata a catalizzare l'aura tetra dei brani da una posizione di complementarietà.
“Sounds In Motion” introduce l'album con un basso cupo, eredità di shoegazer come gli Slowdive, adagiato su inquietanti droni atmosferici di sottofondo. “Next To Nothing” è una cadenzata, estenuante marcia celestiale fra ritmi accattivanti dalle percussioni funky e distorsioni acido-oniriche; un canovaccio ribadito su “Long Way Down”, che mantiene i tratti dei precedenti brani rendendoli leggermente più irrequieti. La voce è quasi del tutto assente, il che pone in risalto i ronzii delle chitarre e la sezione ritmica che scandisce la tessitura di ciascuna canzone, alla lunga però inciampando in una monotonia compositiva che minimizza i fattori positivi negli arrangiamenti raffinati e nelle melodie alienanti e angoscianti.
“Another Road” è più dolce e sognante, con Schwendener che quasi recita le sue parole, sempre rimanendo assieme a Chandler su tonalità basse, quasi difficilmente comprensibili, con la voce che funge solo da strumento addizionale, reinterpretando così la lezione degli shoegazer. “Over And Over” è un breve, lento strumentale dai tratti ambient che fa risaltare i bassi intermittenti da dream-pop/shoegazing.
“Deep Sky Objects” è un trip oscuro e melanconico, con retrogusto di disagio, ricorda per certi versi i Joy Division ad eccezione del canto onirico e del noise chitarristico, gli strumenti ritmici nel frattempo si fanno più spediti. La lunga e strutturalmente ciclica “Slow Thrills” gioca su un alienante senso psichedelico e sui riverberi di chitarra per mantenere il suono straniante, con contorno di tappeti atmosferici e di bassi spettrali, mentre la sezione ritmica cerca di variare lo schema a piccole dosi (una delle rare volte nell'album, che si nota maggiormente per via della lunghezza del pezzo). “Out Of Phase” è uno dei brani più claustrofobici e dark di tutti, un'inquietante marcia funebre che sovrasta paesaggi sonori disperati, freddi e apocalittici. Ne risulta forse uno dei momenti migliori e più significativi dell'intero disco. Conclusione più ambientale e nostalgica con “Drift Away”.
In conclusione la proposta viene stavolta maggiormente personalizzata da un'attitudine disumanizzante che esalta le atmosfere di ogni pezzo, ma anche partendo con ottimi propositi e il potenziale per concretizzarli, l'album soffre di un po' di staticità. L'atmosfericità del disco raggiunge presto climax intriganti, ma va via via sfumando sempre più, mentre l'evocatività sonora di ciascuna traccia, più che risultare sempre più corposa o straniante, a lungo andare si fa gradualmente più povera di intensità proprio a causa dell'eccessiva ripetitività.
Però vi sono sufficienti basi melodiche e atmosferiche che fungeranno da basi cruciali nell'evoluzione di uno stile più variegato, incisivo e creativo, che prenderà forma nel successivo album.

Alcuni critici, come il celebre Simon Reynolds sulle pagine di The Wire, saluteranno il talento promettente mostrato nel disco e indicheranno i Bowery Electric come "un distinto esempio di post-rock americano". A questo punto una nota storica interessante è che il termine "post-rock" venne coniato in quegli anni dallo stesso Reynolds, a indicare un variegato insieme di artisti che rifiutavano le precedenti categorizzazioni di genere per rimescolare stilemi diversi concentrandosi sul timbro, l'effettistica, i particolari negli arrangiamenti e i soundscape. Pur essendo differenti dai gruppi oggi comunemente associati a questa etichetta (e anche dai Bark Psychosis per cui il termine è nato), i Bowery Electric significativamente sono uno dei primi esempi del suo utilizzo e soprattutto con il loro secondo album si può comprendere il perché Reynolds abbia scelto di utilizzare questo termine dal senso lato.

Nel periodo successivo il duo è in tour in Nord America e in Regno Unito, questa volta alla batteria li assiste Wayne Magruder che registrerà qualcosa nel successivo disco, ma con un ruolo meno rilevante. Per il loro secondo full-length, intitolato Beat, i Bowery Electric affinano la loro ricerca sonora, realizzando risultati più soddisfacenti rispetto al debutto omonimo.
Con Beat la cura per gli effetti atmosferici e dissonanti da shoegazer si evolve e trova la sua espressione compiuta. Le distorsioni noise e i riverberi drone si ammorbidiscono, per conferire maggiore spessore al lato onirico della musica. Si espande, così, l'elemento "ambientale", che sconfina, a tratti, in vertici ipnotici da space-rock. L'aspetto vocale resta secondario, in funzione di sommessa nenia d'accompagnamento alle atmosfere col fine di catalizzarne l'evocatività. I bassi sono molto incisivi, spaziando dal dub al dream-pop in un costante vortice di sensazioni e umori.
Contemporaneamente si aggiunge una matrice elettronica che trova espressione nel ricorso al campionamento e nella drum machine che compare in diversi pezzi (nei quali si sperimentano ibridazioni fra lo shoegazing e generi come trip-hop, drum&bass e downtempo) e in certi piccoli spruzzi effettistici e campionamenti qua e là a fare da contorno; seppur accompagnati lo stesso da strumenti acustici, divengono espressione di una ricerca sonora e di un costante aggiornamento stilistico, che tende a una simbiosi tra segnali digitali e analogici. La caratteristica fondamentale del gruppo americano, a questo punto, è infatti il ricorrere a campionamenti e suoni digitalizzati per riprodurre la sezione ritmica (basso e batteria). Le sonorità si fanno più soffici e sfumate, maggiormente caratterizzate ma anche più incisive, dipingendo oscuri scenari moderni dall'avvolgente espressività e dal perenne sottofondo di malinconia: un mood che pervade i brani, in alternanza notturni e affascinanti, depressivi o inquietanti.
Infine, il duo newyorkese pone maggior cura nelle composizioni e negli arrangiamenti, cercando di minimizzare il problema che li accompagnava, cioè quello di dilatare troppo le componenti delle canzoni e di incappare nella prolissa stasi che affliggeva il precedente disco d'esordio. Tutto ciò conferisce a Beat un aspetto più fresco e ispirato, risultando fino a questo momento nel personale capolavoro degli statunitensi, per quanto sia soprattutto un assemblaggio di sperimentazioni varie. Come detto in precedenza, anche se il gruppo è ben poco sovrapponibile come stile ed elementi costituenti dai gruppi comunemente indicati come esponenti del post-rock, da un certo punto di vista si può capire perché la ricerca del suono dei Bowery Electric abbia ispirato il critico Simon Reynolds a salutarli come esempio del genere.

La title track iniziale introduce dalle spedite ritmiche downtempo che si oppongono all'atmosfera alienante generata dagli inquietanti suoni tastieristici sullo sfondo e vengono accompagnate da un ripetuto giro di basso. Si tratta di un inedito e accattivante ibrido tra trip-hop, breakbeat, ambient e drone, che sembra tracciare una nuova via sperimentale da seguire. La seconda canzone, “Empty Words”, ritorna invece su terreni più noise/shoegazing dove chitarre effettate e riverberate ricreano scenari onirici scanditi dalla batteria sulle canoniche coordinate di gruppi come Seefeel o My Bloody Valentine. “Without Stopping” mette in primo piano il ritmo cadenzato unito al senso di inquietudine che si nasconde dietro le note, mentre i bassi mantengono intatto il legame con gli shoegazer, coniugando di nuovo due approcci e due attitudini differenti, ma con un sapore più da prova tecnica.
“Under The Sun” è un breve intermezzo ambient/drone in cui un gelido ma incisivo basso ripetuto emerge dagli effetti rumoristici di sfondo. “Fear Of Flying” riprende la drum machine utilizzata per creare dei beat sintetici incalzanti e coinvolgenti, la cui ripetizione ossessiva esaspera lo straniamento dei droni chitarristici psichedelici dall'andamento emotivo sinuoso ma avvolgente. Ne risulta uno dei pezzi più ipnotici e accattivanti, scelto non a caso come primo singolo. Un'ulteriore parentesi ambient, questa volta più sfumata, fredda ed evanescente, con “Looped”, prima della psichedelia onirica dei delay e delle dilatazioni psichedeliche di “Black Light”, che verso la conclusione diviene maggiormente ossessiva e angosciante. “Inside Out” è un dolce intreccio di bassi elastici, batteria leggera ma spedita e riverberi sognanti, con un retrogusto malinconico ormai classico, in una sorta di versione stemperata delle sonorità dell'esordio. “Coming Down” prosegue con i soliti riverberi drone/noise modellati sui tratti effettati e dissonanti dello shoegaze, stagliati su sfondo downtempo, senza sorprese.
La conclusiva “Postscript” è una lunga e minimalista traccia di ambient "dronizzato", dove al ripetitivo suono principale si vanno lentamente aggiungendosi tenui altre note per una sorta di claustrofobico soundscape nichilista; il pezzo risulta efficace nel costruire atmosfere desolate ma viene penalizzato da un eccessivo tirar la solfa per le lunghe che appiattisce il tutto.
Il risultato finale è in definitiva un album molto personale, ricercato e originale, solo a tratti afflitto ancora da un'eccessiva ripetitività, e arricchito, soprattutto, da uno stile etereo ma solenne, mesmerizzante ma diretto, "in stasi" atmosferica ma dinamico.
Beat è un disco molto più variegato, complesso e stratificato del precedente. Scorre in modo naturale, senza perdere mai un grammo del suo fascino, anche se le atmosfere dilatate potrebbero annoiare chi non è avvezzo a queste sonorità. Parte della stampa di settore lo saluta come inedito punto d'incontro tra trip-hop e shoegaze, ma si tratta di un'esagerazione: innanzitutto gli elementi downtempo quando presenti spiccano, ma quantitativamente sono presenti solo in alcuni frangenti, mentre qualitativamente si tratta di innesti su di una base ambient-drone che rimane il filo conduttore principale e i brani non sono costruiti su di essi; dopodiché, l'album è principalmente una parentesi sperimentale in cui si testano nuovi inserti e nuovi approcci, più che un discorso compatto di sintesi fra differenti anime musicali. 

En passant, i Bowery Electric rilasciano nel 1997 sotto Beggars Banquet un album di remix intitolato Vertigo, che offre una nuova dimensione alle canzoni: l'elemento noise e psichedelico viene attenuato in favore di caratteristiche più sfumate, diluite e oniriche, con una forte espansione della componente ambient, una generale elettronificazione del sound e anche una contaminazione con il mondo hip-hop (che anticipa qualcosa dell'evoluzione che vedremo successivamente).
Vertigo si mostra quindi un disco di tracce electro-ambient e/o ambient-hop che non disdegna di coniugare droni ambientali a varie forme di battito, alternando fraseggi downtempo e passaggi più upbeat.
Ad aprire il disco provvede “Fear Of Flying, presente sia nella versione originale che nel “Chasm mix”, caratterizzato da un'atmosfera più soffusa e dilatata, intrinsecamente orientata all'ambient, realizzata principalmente con i suoni delle tastiere. I beat si fanno più sintetici e manipolati, creando una sensazione robotica assieme ai sample elettronici, mentre la voce diventa una nenia sacrale, relegata in lontananza. Più in là nella tracklist spunta anche la reinterpretazione di ben 9 minuti dei Third Eye Foundation, a rendere il tutto più oscuro e urbano, con un'effettistica vicina all'hip-hop. Anche “Black Light” è presente in due versioni: l'“Osymyso mix” è praticamente un trip-hop ambientale cupo e monotono, scandito solo dal lento incedere dei beat in downtempo, dai diversi effetti elettronici e scratching di contorno e dalla nenia di Martha Schwendener in secondo piano; il “Dunderhead mix”, invece, è un concentrato di suoni acuti e cacofonici, tappeti inquietanti di tastiere di sottofondo e bizzarri effetti elettronici rumoristici, oscillante fra il gioco sonoro divertente e l'esperimento fastidioso e che non va a parare da nessuna parte.
“Without Stopping”, col “Witchman mix”, inizia come traccia ambient minimale, lasciando poi subentrare progressivamente gli altri strumenti che la fanno diventare per un breve periodo un trip-hop dilatato e terrificante; ma poi la sezione ritmica cambia totalmente registro, divenendo un breakbeat incalzante, che contrasta con la voce celestiale e le atmosfere cosmiche e inquietanti. Si prosegue così per molti minuti fino al finale, lasciato solo ai connotati ambientali, per un totale di oltre 14 minuti di viaggio etereo. “Coming Down”, nell'“Immersion mix”, è un pezzo hip-hop sporcato di drum & bass e dei consueti riempimenti ambient cupi e siderali.
Il record di lunghezza del disco va a “Empty Words”, versione “Twisted Science mix”, che sfonda i 16 minuti di basi ambientali, cascate riverberate di chitarra in lontananza, battito freddo e meccanico, droni rumoristici distortissimi come climax sonoro, campionamenti vari e infine una distensione atmosferica condita da beat hip-hop rallentati in sottofondo. Infine, l'inedita “Elementary Particles”, con i suoi "soli" 5:07 minuti, è il brano più corto ed è anche l'unico a presentarsi come un puro ambient senza altre contaminazioni - metropolitano e futuristico, intriso di una cupezza a tratti dolente, ma anche capace di aperture più speranzose in chiusura.
Ciò che impedisce a questa release di raggiungere l'eccellenza è comunque la natura già di per sé prolungata e ripetitiva della musica che in questi remix diviene più accentuata anche e soprattutto in virtù della componente ambient di fondo.

Bowery ElectricSuccessivamente alla pubblicazione di Beat, comunque, i Bowery Electric entrano in un periodo di pausa della durata di quattro anni, prima di dare alla luce un nuovo disco (ad esclusione della suddetta compilation di remix Vertigo).
In questi anni il duo rimane letteralmente folgorato dal trip-hop, al punto da convertire il proprio stile per abbracciare le caratteristiche principali di questo genere: ne risulta così il notturno e fumoso Lushlife, pubblicato nel 2000, che segna una profonda rottura con gli esordi, e che suona diverso anche da Beat per timbro, arrangiamenti e approccio.
Quindi, battito cupo e rallentato a fare da ossatura ai pezzi, atmosfere cupe e metropolitane, bassi dub e campionamenti acidificati ad arricchire il tessuto sonoro sofferente e tendenzialmente minimalista. Il disco è impregnato di un disagio psicologico di fondo che ricorda i Portishead e da tonalità dark vicine ai Massive Attack di "Mezzanine", ma più di tutti ricorda soprattutto un gruppo svizzero, gli Swandive, autori nel 1997 di "Intuition", un lavoro trip-hop cupo e malinconico che anticipa molto di Lushlife. Il suono è di base molto elettronico, in particolare per la drum machine mai tanto in evidenza: anziché essere innestata su brani condotti dai muri sonori, stavolta prende le redini e traccia la direzione da seguire.
Alcuni elementi vicini per convergenza al trip-hop erano già stati introdotti in alcuni brani del precedente Beat, ma questa volta i Bowery Electric compiono una vera e propria trasformazione, che li fa sembrare quasi un altro gruppo, perlomeno rispetto al debutto omonimo. Un altro cambiamento notevole è che Schwendener canta (e solo lei) in modo vero e proprio testi articolati, da vera cantante al centro della scena, mentre in precedenza si limitava a interventi d'atmosfera funzionali alla stratificazione sonora. La sua prova è stata paragonata a quella di Beth Gibbons ma in realtà è molto più soffusa e distaccata, il timbro dolente è rimpiazzato da elegie depressive e parzialmente eteree.
Lushlife tradisce, a volte, un sapore un po' manierista. Di loro i Bowery Electric ci mettono comunque il mood personale, le atmosfere evanescenti, in parte le linee vocali e anche l'andamento “ossessivo” delle canzoni. Il risultato è un disco in cui vi è una cura certosina nell'assemblaggio delle basi e nella scrittura delle melodie, dotato di una sua propria eleganza e di atmosfere molto efficaci e raffinate.
“Floating World” avvia il disco con la sua cadenza mesmerizzante e le avvolgenti atmosfere fumose. La voce di Martha Schwendener è bassa e afflitta, nel solco dell'animo cupo del disco, mentre le strings di tastiera di sottofondo creano un misto di spettralità e malinconia; notevoli i bassi pulsanti, che trascinano l'ascolto con fermezza, mentre gli sporadici scratch condiscono il tutto.
La title track "Lushlife" inizia con atmosfere che sembrano riprese direttamente dal tessuto cinematico dei Portishead. Non appena partono gli spediti beat le sonorità di sfondo mescolano un'emotività soffusa alla Massive Attack (strings, pianoforte lounge) con un'evanescenza che si avvicina al dream-pop dei Cocteau Twins e all'ambient-techno/downtempo degli Stereo Nova, ma il tutto viene dilatato fino a quasi 8 minuti, seguendo lo schema che i Bowery Electric si portano dentro fin dalla nascita. La prestazione vocale della Schwendener si mantiene su alti livelli e così sarà più o meno per tutto il disco, mentre i giri di basso propongono un dub elastico e ossessivo.
“Shook Ones” ha probabilmente i beat più incalzanti dell'intero album, supportati da chitarre accennate, campionamenti d'archi minimalisti, tappeti di tastiera stranianti, su cui si adagiano i bassi, sempre acidi e alienanti. “Psalms Of Survival” si mantiene sugli standard del trip-hop rendendolo più caustico tramite la ripetizione poche note di tastiera accanto al continuo aggiungere sample eterei. La bella strumentale “Soul City” è più stemperata, grazie alle stratificazioni di tastiera più dolci e alle ritmiche marcate ma che navigano leggere sulle distese atmosferiche di sfondo.
“Freedom Fighter” è un brano che risalta particolarmente: battito accelerato e spedito con piglio molto groovy, linee vocale basse e meste a fare da contrasto, con tastiere morbide e ritornello molto orecchiabile, mentre il testo è una critica tagliente alla politica estera statunitense sulla falsariga di "Cowboys" dei Portishead. È spettacolare la capacità di Schwendener di suonare al tempo stesso trascinante e malinconica. C'è un precedente in questi suoni, nei già citati Swandive: il loro brano "If I Scream" ricorda moltissimo l'impostazione di "Freedom Fighter", con musica insolitamente orecchiabile abbinata a canto dolente. Questi due pezzi praticamente fondano un sottogenere nel trip-hop. La canzone si rivela così una hit gustosa decisamente in contrasto con l'oscurità di altri pezzi, ma dagli arrangiamenti ugualmente raffinati e ulteriormente arricchita da una lieve effettistica da shoegazer nelle chitarre. “Saved” comincia con uno dei tratti peculiari del trip-hop, cioè il basso dub, seguito da beat uptempo e i soliti archi, mentre campionamenti dolenti e droni distorti aumentano a dismisura l'angoscia e lo spessore del pezzo, che si rivela, così, fra i più tetri ed espressivi del lotto. Il pezzo ricorda molto due brani, "Evdokia" dei greci Stereo Nova e "Nutopian Days" degli Swandive, non solo per la presenza del medesimo sample (cioè "Funky Drummer" di James Brown) ma anche per le atmosfere e l'uso pervasivo delle tastiere.
La successiva “Deep Blue” è una mesta ballata notturna fra costruzioni melodico-atmosferiche vicine ai Crustation e piccoli inserti lisergici che strizzano l'occhio ai Portishead. Invece “After Landing” mescola in modo interessante beat più legati all'hip-hop con effetti acidi e suoni che sembrano una versione più funerea e "filtrata" del dream-pop, sublimato dalla voce leggera e suadente della Schwendener. La conclusiva “Passages” è un fumoso e avvolgente trip-hop dalla forte componente ambientale nelle tastiere che pervadono l'atmosfera, mentre ritmiche differenti si alternano fra loro, mostrando un uso versatile della drum machine.
Si conclude così quest'album, ricco di potenziale e ben congegnato nel songwriting, con l'unico limite di apparire, a tratti, un esercizio di stile modellato secondo un linguaggio già consolidato altrove (comunque ben fatto) piuttosto che una reinterpretazione inedita del genere secondo nuove coordinate.
Le pregevoli atmosfere corpose, la prestazione canora eccellente e gli ottimi spunti melodici legati fra di loro dal duo americano tramite arrangiamenti eleganti ed efficaci vanno a costituire così un insieme di valore. 
Lushlife merita di essere ascoltato anche se non si è appassionati di questo stile, come minimo per assistere all'interessante ricerca sonora del gruppo e per assaporarne l'evoluzione confrontando fra loro i dischi.

Quello dei Bowery Electric in soli tre album è stato un viaggio a cavallo tra due differenti mondi musicali, con tutto il potenziale per preludere a un ulteriore perfezionamento del suono del gruppo, proiettato verso nuove, affascinanti alchimie. All'epoca si sarebbe potuto infatti affermare che Lushlife poteva essere considerato un altro lavoro di transizione, in cui i Bowery Electric si limitavano a sperimentare nuove sonorità, da cui erano stati affascinati, immergendocisi appieno e con la prospettiva futura di creare successivamente un anello di congiunzione fra lo stesso disco e il precedente, significativo Beat. Un vero lavoro quindi di sintesi che, purtroppo, non ci sarebbe stato: i Bowery Electric si sciolsero poco dopo, lasciando un amaro senso di incompiutezza alla loro parabola.

Separatamente, invece, Lawrence Chandler collaborerà con artisti vari (fra cui LaMonte Young e il progetto Experimental Audio Research con Sonic Boom, Kevin Shields ed Eddie Prévost) per poi trasferirsi a Londra, dove attualmente lavora come compositore indipendente e remixer. Martha Schwendener, sotto lo pseudonimo di Echostar, inciderà un album trip-hop/ambient-techno intitolato Sola, nel 2003, sotto Shadow Records. Quest'ultimo è il vero seguito di Lushlife, di cui segue molte coordinate, ma con meno incisività e meno ricchezza melodica. A spiccare sono le soffuse linee vocali, mentre il battito elettronico e i gorgheggi melodici dei sintetizzatori tendono a risultare, se non ripetitivi, troppo monotoni. Spunti interessanti emergono di frequente, ma non sono abbastanza per replicare la qualità del precedente disco. Il pezzo migliore è quasi certamente la soffusa ed evocativa "Presidio", posta in conclusione e che rispecchia appieno lo spirito di Lushlife, ma il resto del disco suona decisamente meno ispirato. Dopodiché, Martha Schwendener non inciderà altro.

Bowery Electric

Discografia

Drop (Ep, Hi-Fidelity Recordings. 1994)

Bowery Electric (Kranky, 1995)

Beat (Kranky / Beggars Banquet, 1996)

Vertigo (antologia remix, Beggars Banquet. 1997)

Lushlife (Beggars Banquet, 2000)

Sola (Shadows Records, 2003) - pubblicato come lavoro solista di Martha Schwendener

Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Out Of Phase
(videoclip da Bowery Electric, 1995)

Fear Of Flying
(videoclip da Beat, 1996)

Floating World
(videoclip da Lushlife, 2000)

Freedom Fighter
(videoclip da Lushlife, 2000)

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