Il ritmo è il rapporto tra ciò che credi e ciò che credevi prima
(David Foster Wallace)
Charif Megarbane, artista libanese dalla produzione ciclopica e raffinata, ci porta per mano nel racconto della sua storia, del suo ultimo album, "Hawalat", e di come tutto si dirama nel segno dell'urgenza.
Sei nato e cresciuto in Libano alla fine degli anni 80, la musica ha sempre fatto parte della tua vita?
I miei genitori hanno sempre ascoltato molta musica, principalmente jazz, pur non essendo musicisti. Mi hanno incoraggiato in tal senso da sempre, fin da piccolo ho iniziato a suonare la chitarra ed è stata subito una delle mie più grandi passioni. Verso i 12 anni mi hanno regalato una Four Track Machine e lì ho scoperto di poter sovrapporre diversi strumenti. In quel momento ho capito che potevo produrre dei brani da solo nella mia stanza: lì è iniziato il mio processo di costruzione e poi, successivamente, di produzione.
In effetti tu fai tutto: dalla composizione, alla realizzazione e alla produzione.
Sì, tant'è che ho creato un'etichetta Hisstology, dove ho inserito tutti gli album che ho prodotto, tutti i miei progetti; sono più di cento. E questo mi ha poi portato a conoscere Jannis Stürtz di Habibi Funk, l'etichetta di Berlino con la quale ho pubblicato i dischi "Marzipan", "Hamra" e adesso "Hawalat".
Suoni tanti generi diversi, dall'elettronica, al kraut-rock fino al surf rock per dirne solo alcuni, spesso sotto nomi diversi. Con Habibi invece produci con il tuo nome, come mai?
Le diverse produzioni sono in parte collegate. Su Hisstology si trova la maggior parte degli album che ho fatto uscire online. E' una sorta di laboratorio musicale, l'idea era di cercare nuovi suoni ed esplorarli, spesso utilizzando dei nomi diversi, come se fosse qualcun altro a suonare. Questo mi ha permesso di esplorare e di sperimentare diversi tipi di musica. Finché, un giorno, Habibi Funk non mi ha convinto a produrre della musica con il mio nome. Ho quindi cambiato direzione e cercato di riprodurre tanti stili all'interno di un album, anziché tanti album di uno stile diverso, ovviamente il tutto cercando di farlo in maniera coerente.
E come decidi che stile esplorare?
A spingermi è semplicemente la curiosità, la ricerca della sfida. In Italia si dice "ludico" no? E' sempre un po' quella l'idea, la ricerca della sperimentazione, principalmente per esplorare, per conoscere. Io vivo questa ricerca in maniera molto ludica.
Passiamo all'album "Hamra Red", ci sono dei titoli molto diversi come "Stella Marina", "Pesce Rosso" e poi "Hamra" che invece è un quartiere di Beirut, giusto?
Hamra è effettivamente un quartiere di Beirut, e allo stesso tempo vuol dire "rossa" in Libanese. Con Habibi Funk avevamo come idea di fare delle edizioni limitate dell'album e abbiamo scelto un tema che le collegasse tutte, e il tema sono i colori primari. Quindi tutti i titoli fanno riferimento a degli oggetti, degli animali, dei luoghi che, nel caso di questo album rimandano al colore rosso, e che sono in qualche modo connessi alla geografia del Libano.
A tal proposito, pensi che i luoghi influenzino la musica che hai prodotto nei diversi momenti della tua vita?
Penso proprio di sì, per lo più da un punto di vista logistico, in particolare la luce, l'accesso agli strumenti, lo studio di registrazione. Anche al livello di ispirazione, può influenzare la vibe, ma non necessariamente da un punto di vista stilistico, nel senso che se dovessi andare a Detroit, non sentirei per forza di dover produrre un album di hip-hop, potrei produrre anche un album di calypso, non so se mi spiego. Più che allo stile, lo legherei alla logistica del posto, è meno cosciente come processo, sicuramente la luce del luogo gioca un ruolo fondamentale.
La tua musica in parte sembra avere un rimando ai film italiani polizieschi anni 70-80, è una mia suggestione oppure c'è effettivamente un legame?
Assolutamente sì! Il mio idolo è Ennio Morricone, ma anche tutta l'eredità italiana e francese della musica dei film dagli anni 60 agli anni 80. Compositori come Piccioni, Alessandroni, Nicolai mi affascinano moltissimo, li ammiro e la loro musica mi ispira continuamente. Li ascolto e scopro sempre delle nuove cose. Sicuramente la musica dei film mi influenza enormemente, perché è estremamente creativa, ha la capacità di dipingere un'immagine e un'azione, e il tutto senza voce; può essere funky o tetra o moody, ed è incredibile.
Quindi, in maniera più ampia, diresti che le colonne sonore fanno parte della tua creatività?
Sì e secondo me c'è un genere a parte che andrebbe riconosciuto, ovvero la musica da inseguimento in macchina, sia dal punto di vista degli inseguitori che da quello dei perseguitati. La capacità di trasmettere la nozione di tensione e di pressione con le atmosfere, i tempi, gli arrangiamenti è tutto ciò che si vede in tutti i film del genere, ed è un esercizio creativo sublime. In particolare, anche perché penso che potrebbe essere qualsiasi stile musicale a farlo, dal funk fino al reggae, ma rappresenta un sentimento a sé.
Ci sono artisti italiani con i quali ti senti in sintonia da un punto di vista della creatività?
Sì, ci sono due artisti italiani, di Napoli, che stimo moltissimo e con i quali ho collaborato nella produzione del mio ultimo album "Hawalat" (in uscita l' 11 aprile), che ormai sono degli amici e sono Dario Bassolino, che ha suonato e collaborato alla produzione di diversi brani, e LNDFK, che ha prestato la sua voce magnifica. Abbiamo lavorato in splendida sintonia, quindi probabilmente cercheremo di fare un album insieme quest'anno. Ci siamo incontrati un anno fa, perché Dario ha lavorato con Jakarta Records e abbiamo passato una settimana insieme in studio, e oltre a essere una splendida persona e un bravissimo artista, credo che riveli un affinità innegabile tra la vibe di Napoli e quella di Beirut. Anche musicalmente, c'è un lato festoso ed esteticamente, negli arrangiamenti ci sono somiglianze con album degli anni 70 libanesi, ad esempio mi viene in mente Ziad Rahbani e suoni disco con arrangiamenti jazz sofisticati.
E' interessante questa somiglianza tra la musica anni 70 di Beirut e quella di Napoli.
Si, penso si potrebbe scrivere una tesi su quanto si somiglino le due città.
Parliamo dell'album "Hawalat", in uscita tra poche settimane, come l'hai concepito?
Ci sono dei temi fondamentali all'interno dell'album. Il titolo, "Hawalat", fa riferimento a dei sistemi di transfer di soldi informali che esistono in Libano, attraverso i quali le persone possono inviare dei soldi ai propri cari, in paesi come la Libia o Somalia o Yemen. Lì non ci sono delle vere e proprie banche o dei sistemi autorizzati di trasferimento, ma al loro posto si usano dei sistemi privati, informali, completamente basati sulla fiducia. Ed è cosi che in alcuni paesi la diaspora aiuta i propri cari rimasti a casa. "Hawalat" vuol dire letteralmente "trasferimento" in arabo. Volevo così parlare del trasferimento delle persone stesse, di esilio, ma al contempo di network umani basati solo sulla fiducia.
Tanto "Marzipan" e "Hamra" sono stati album ispirati al Libano centrale, tanto con "Hawalat" ho sentito il bisogno di parlare del tema dei flussi di persone, che lasciano il proprio paese e i propri cari, in un mondo dove anche per i piu privilegiati è estremamente comune scegliere di lasciare la propria nazione.
E allo stesso tempo questa idea di networking, di collaborazione tra persone, si riflette appieno nell'album. E' il primo disco prodotto con il mio nome dove ho invitato diversi artisti, provenienti da ambienti differenti, a suonare insieme. Come ti dicevo, sono nate delle splendide collaborazioni con Dario Bassolino alla tastiera, LNDFK alla voce, Sven Wunder che ha fatto un arrangiamento su un brano. E' come se avessi aperto le porte.
Hai accolto.
Sì, esatto.
Tu hai l'impressione di essere, passami il termine, in esilio?
Faccio parte di una classe privilegiata, perché posso tornare a casa e ripartire liberamente, ma purtroppo, in parte sì, la situazione in Libano è molto fragile. Io posso viaggiare e rientro tra i fortunati, appunto, ma la nozione di esilio è sempre molto presente, sono cresciuto lì e la mia famiglia è lì.
Il primo brano dell'album che è stato pubblicato è "Hanadi", cosa rappresenta?
"Hanadi" è un nome arabo femminile. E' un pezzo semplice, credo di averlo scritto e registrato in poche ore, è ispirato alla musica somala e in parte anche a quella etiope. Ho vissuto un periodo della mia vita in Somalia e trovo che la musica che ho avuto modo di conoscere lì sia incredibile. Con la collaborazione di Samra, che ha origini somale, è stato subito facile sintonizzarci subito sul genere di melodia che cercavamo di evocare. In particolare, tenevo al fatto che il primo brano fosse semplice, innocente, che rimandasse tutto alle basi. Mentre il secondo brano pubblicato, "Dreams Of An Insomniac", è più cinematografico, più complesso con più arrangiamenti. E' stato prodotto con la collaborazione di Sahra e Dana McWayne, che ha aggiunto il sassofono rimandando a una gamma melodica etiope.
E' importante l'idea di collettività anche nella produzione musicale per te, giusto?
Sì, assolutamente, hanno partecipato artisti con provenienze diverse che amano la musica e cercano di rendere omaggio alle sonorità dei differenti luoghi e paesi. Di norma, faccio le cose abbastanza spontaneamente, e rapidamente, cerco di catturare il momento e la qualità unica che quel momento porta con sé, che siano l'ispirazione o gli amici che mi circondano, pronti a partecipare. Ad esempio, l'album di Cosmic Analogue Ensemble era più incentrato su un tema, su un'emozione centrale; il tema era l'assenza, i ricordi e l'adattamento alla memoria, e il tutto era sviluppato sugli stessi strumenti. Mentre qui con "Hawalat" ho cercato di toccare più stili all'interno dello stesso album, per coerenza con il tema che è appunto la diaspora, il tutto cercando di creare una coerenza musicale per non frammentare l'album. Spero di averli dosati bene, insomma.
E "Hanadi" a chi rende omaggio?
"Hanadi" è un omaggio a uno specifico tipo di musica somala. Il mio è un tentativo di rendere omaggio a quello stile, non certo a tutta la musica somala, e di farlo creando un legame, come se volessi tessere una tela tra vari generi musicali, facendoli parlare tra loro e cercare di farlo in maniera rispettosa per la cultura e coerente musicalmente.
E ora sei in partenza con il tour in Europa.
Sì, sono in partenza in co-headlining tour con Rogér Fakhr, un artista libanese che ha una storia incredibile. Appartiene alla generazione dei miei genitori, aveva vent'anni durante la guerra civile, a metà degli anni 70, e faceva parte di questa scena musicale ricca di fermento e di artisti talentuosi. Rogér all'epoca ha registrato, in poche ore, un album su cassetta, che ha distribuito a pochissime persone, per lo più conoscenti, dopodiché si è trasferito a San Francisco a vivere per quarant'anni e ha cambiato mestiere. E' successo che qualche anno fa Habibi Funk è entrata in possesso di questa cassetta e gli ha proposto di rieditarla, ed è stato un successo. In effetti, l'album è magnifico. Dopo questo successo, Jannis di Habibi Funk è riuscito a convincere Rogér a tornare a suonare live, dopo tanti anni. Quindi ci siamo incontrati per fare insieme dei concerti. Normalmente io suono live con due musicisti, il gruppo si chiama Papier Maché, e con loro e Roger abbiamo fatto due concerti, a Londra, ed è stato estremamente commovente. Lui, dopo tutti questi anni fuori dalla scena, si è ritrovato un pubblico che cantava le sue canzoni ed è stato commovente. Un po' come nel documentario "Looking For Sugarman", lui sembrava aver abbandonato il sogno della musica e invece è andata diversamente. La sintonia tra noi è stata incredibile e abbiamo quindi deciso di ripetere l'esperienza facendo un co-headliner tour che inizierà adesso e sarà nel Centro e Nord Europa. Speriamo anche di riuscire a tornare nel bacino mediterraneo il prima possibile, probabilmente verso fine anno.
E, secondo te, da dove viene questa empatia tra voi?
E' strano, perché apparteniamo a generazioni diverse e io ho registrato centinaia di dischi mentre lui un unico album, per poi passare ad altro nella vita. Eppure siamo connessi dalla velocità, dal fatto che entrambi abbiamo registrato in pochissime ore, in maniera istintiva, di getto. Credo che ci abbia enormemente legato, più di tutto, questa nozione di urgenza, urgenza di produrre.
Grazie Charif,
Grazie a te.
(6 aprile 2025)
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